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Un docu-film su Giorgio Gaber in autunno e da oggi la ristampa rimasterizzata dei suoi album

di Annalisa Belluco

Il primo giorno del 2023 ci riportava alla memoria un anniversario: quello della scomparsa - avvenuta vent’anni fa - di Giorgio Gaber: artista, intellettuale, libero pensatore (in questa giornata solitamente di “festa” si celebra anche la scomparsa del grande Ivan Graziani, avvenuta il 1° gennaio 1997, due giganti della musica italiana uniti da questa coincidenza). Gaber è stata una persona che ha vissuto in simbiosi con il suo personaggio pubblico, che con la sua prematura assenza, non sembri una frase retorica, ha lasciato un vuoto difficile da colmare nel mondo della cultura e dello spettacolo italiano, ma che continua ad affascinarci e a scuoterci grazie alla potenza delle sue opere. E proprio per questo, la Fondazione Gaber in collaborazione con Carosello Records ha deciso di ripubblicare tutti gli album del Teatro-Canzone. Si partirà ad inizio febbraio con l’album del 1973 “Far finta di essere sani”. Un lavoro certosino di rimasterizzazione (tutta l’operazione di ristampa del catalogo si chiama “Remaster G”) che darà – se possibile – ancora più valore e forza a quelle parole scagliate contro la luna senza far vedere il dito.

Avrebbe compiuto 84 anni il 25 gennaio scorso, ed è proprio questa la data che è stata scelta dalla Fondazione Gaber per dare l’annuncio del via alle riprese di un docufilm a lui dedicato dal titolo ‘Vent’anni senza Giorgio Gaber’. Un lavoro co-prodotto da Atomic Production e RAI Documentari e promosso dalla Fondazione Gaber. Ottime le premesse, visto che è stato scritto e sarà diretto da un grande estimatore della figura e dell’opera di Giorgio Gaber, Riccardo Milani, che recentemente ha realizzato anche un emozionante documentario dedicato al fuoriclasse del Cagliari calcio, Gigi Riva. “Riccardo è la persona che meglio di chiunque altro può raccontare il Signor G. Lo conosce, lo stima, lo ha visto varie volte a teatro e pensiamo che sia senza dubbio la persona che, potrà tratteggiare mal meglio il suo carattere di uomo e di artista” - hanno dichiarato Paolo Dal Bon (storico collaboratore, responsabile organizzativo e amministrativo dell’attività artistica di Gaber dal 1984) e Dalia Gaberscik (figlia di Giorgio Gaber e della moglie Ombretta Colli), che ricoprono i ruoli rispettivamente di Presidente e Vice Presidente della Fondazione.

Le riprese inizieranno a Milano, partendo dalla casa natale di Gaber, in Via Londonio 28, e alcune scene verranno girate anche in Versilia, luogo amatissimo dove passava molto tempo, spesso in compagnia di Sandro Luporini, compagno di viaggio inscindibile quando si parla della potenza comunicativa dei testi di Gaber. La messa in onda del docu-film è prevista in prima serata e sarà firmata Rai Documentari, con una data approssimativa prevista per il prossimo autunno.

 

Giorgio Gaberscik, in arte Gaber - milanese con radici triestine - inizia il suo percorso nella metà degli anni’50 e dopo aver conseguito il diploma di ragioniere si iscrive all’università Bocconi. Il suo amore per la musica jazz e il rock & roll lo portano ad esibirsi, in qualità di chitarrista, con nomi che diventeranno centrali nel panorama della musica italiana: Enzo Jannacci, Paolo Tomelleri, Luigi Tenco e Gian Franco Reverberi. Luogo privilegiato di queste performance è il palco di uno dei locali più particolari e storici di Milano, il Santa Tecla, crocevia di artisti, promoter, produttori, gente che sta scrivendo le future pagine di storia musicale. Tra questi conosce anche Adriano Celentano, che lo invita a essere anche il suo chitarrista e anche Giulio Rapetti, ergo Mogol che insieme a Nanni Ricordi gli offrirà la prima occasione contrattuale discografica.

Il tutto senza nessuna aspettativa particolare, un voler cavalcare il mondo della musica quasi per gioco, come succedeva spesso in quegli anni. Gaber non ha infatti la consapevolezza né la velleità di pensarsi un artista, affronta questa avventura discografica con lo spirito goliardico di un giovane che ancora non ha compiuto diciannove anni e che come tutti i teenager del mondo, ama trascorrere le sue notti in compagnia degli amici e della musica. In realtà è proprio in quel momento che inizia a delinearsi il disegno della strada del suo destino. Gaber è dotato di una grande personalità e soprattutto di un carisma che cattura immediatamente l’attenzione del pubblico e l’interesse si fa sempre più crescente, sera dopo sera. Il 18 maggio 1957 si esibisce al Primo Festival Nazionale del Rock And Roll al Palazzo del Ghiaccio di Milano. Protagonista della serata è il brano Ciao ti dirò che porta la firma di Giorgio Calabrese (indimenticato paroliere e autore televisivo) e Gian Franco Reverberi (musicista e compositore) ma che è stata scritta da Gaber e Tenco. Una canzone che verrà incisa nel 1958 dalla storica Casa Ricordi, che inaugura proprio in quell’anno la sua attività di produzione discografica. A ridosso degli anni’60 Gaber diventa uno dei migliori cantanti della scena italiana che si fa conoscere al pubblico con canzoni come: Geneviève, Non arrossire, Le strade di notte, Le nostre serate, La ballata del Cerutti, Trani a gogò, Porta Romana, Il Riccardo che vedono la fondamentale collaborazione della penna dello scrittore e autore teatrale milanese Umberto Simonetta.

 

Nel tempo cresce nei suoi confronti un forte interesse anche da parte dei mass media, in particolare della televisione; partecipa a Sanremo, Canzonissima e al Festival della canzone di Napoli e soprattutto vende un numero considerevole di copie di 45 e 33 giri, cambiando anche etichetta discografica. Nel periodo a cavallo tra il 1960 e il 1961 già si iniziano a intravedere i primi elementi dell’evoluzione che caratterizzerà il suo futuro, con il récital Il Giorgio e la Maria diretto da Giancarlo Cobelli e portato in scena con Maria Monti che lo affianca anche nell’edizione di Sanremo del 1961 per interpretare il brano Benzina e cerini. Ha inizio un momento davvero favorevole per la vita artistica e personale di Gaber, che veste anche i panni del mattatore televisivo e che a metà degli anni Sessanta si unisce in matrimonio con colei che sarà l’inseparabile compagna di una vita: Ombretta Colli. Il mondo, nel frattempo, sta cambiando e le nuove generazioni di cantanti che si affacciano in quel periodo segnano una svolta nel suo percorso, rivelando in lui l’esigenza di assumere una nuova identità artistica che predilige maggiormente il teatro e la ricerca. Un percorso che lo porta a sperimentare e creare una nuova forma d’arte, quella del Teatro Canzone, che debutta con la trasposizione scenica dell’album Il signor G del 1970, che contiene brani cantati che si alternano a monologhi recitati, cui seguirà l’iconico e dirompente Far finta di essere sani del 1973. Oramai il dado è tratto, la strada è chiara. La verve esuberante del mattatore cede il posto a quella più riflessiva del comunicatore impegnato, che racconta e porta in scena le disillusioni di un mondo in forte crisi di valori. La sua storia artistica continua ad arricchirsi per molti anni, fino a quando arriva il prematuro momento di scrivere la parola fine, il 1° gennaio del 2003.

In questo mondo tecnologicamente avanzato che arretra dal punto di vista intellettuale e intellettivo, sarebbe stato un ottimo storyteller con lo stile di un “filosofo ignorante” - come si era ironicamente autodefinito. Di sicuro non avrebbe aspirato al ruolo di influencer, termine che avrebbe probabilmente preso a spunto per costruire nuove considerazioni ironiche. Le tematiche che caratterizzano il patrimonio artistico delle opere scritte da Giorgio Gaber in più di trent’anni, tra monologhi e teatro-canzone, annoverano il senso della vita e dell’amore, il disincanto e la disillusione dell’uomo comune, l’attualità, le vicende di carattere storico-politico con un occhio di riguardo per l’impegno civile e sociale. Il suo stile comunicativo utilizza come strumento l’ironia realistica e pungente ma anche la leggerezza; chiavi di lettura che rappresentano e costituiscono il filone narrativo di una storia che ri-suona ancora molto attuale ai giorni nostri. Ciò che nel tempo Gaber ha espresso attraverso il suo pensiero e le sue opinioni sempre coerenti, continua a far discutere, crea occasioni di dibattito tra chi è favorevole e chi si sente contrariato da ciò che l’artista esprimeva e spinge in ogni caso un po’ tutti alla riflessione.

Il suo particolare sguardo sincero e lucido sulle tematiche della vita moderna in alcune scuole è diventato materia di studio, proprio perché di cose da dire, da far ascoltare e da insegnare alle nuove generazioni, ce ne sono parecchie. Una riflessione profonda sulla “sua” generazione Gaber ne raccontava tra le strofe del brano La razza in estinzione, brano presente nell’album “La mia generazione ha perso, realizzato con la collaborazione dell’inseparabile Sandro Luporini, nel 2001. Un lavoro nel quale descrive – con piglio e un taglio personalissimo - le problematiche politiche e sociali e le lotte ideologiche che compongono la malcreanza della società moderna, dove gli ideali sembrano sconfitti e lasciano spazio al trionfo di un conformismo alimentato dall’ipocrisia.

Sono stati scritti molti libri che parlano di lui, i palchi dei principali teatri hanno visto e continuano a vedere rappresentate le sue opere e vengono organizzati eventi che portano il suo nome. Spesso viene naturale e istintivo domandarsi: come avrebbe reagito ai problemi mondiali di questi ultimi tre anni, cosa avrebbe pensato e detto di tutto ciò che sta accadendo? Sarebbe riuscito a darci una delle sue preziose chiavi di lettura, cercando di svegliarci un po’ da quel torpore che sembra caratterizzare i vari ambiti delle nostre vite e che permea anche il contesto artistico? Purtroppo questa intervista non gliela possiamo più fare, però attendiamo con viva curiosità di vedere il docufilm ‘Vent’anni senza Giorgio Gaber’ questo autunno. Chi oggi ha (almeno) 50 anni, conosce perfettamente o dovrebbe conoscere la figura di Giorgio Gaber. E per chi non li ha, il consiglio è di farlo, magari partendo proprio dalla rimessa in circolo della sua produzione di teatro-canzone in versione rimasterizzata cui accennavamo in apertura.

Foto Archivio Fondazione Gaber

 

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