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Teatro Leonardo, Milano

TOP JAZZ 2015

In collaborazione con Area M e incasso devoluto in beneficenza, Musica Jazz, storica rivista nata nel 1945 da un manipolo di appassionati milanesi, fra i quali Giancarlo Testoni, suo primo direttore, nonché paroliere di successo (da Grazie dei fior, prima vincitrice di Sanremo, a In cerca di te, Amore baciami, Mambo italiano, ecc.), e Arrigo Polillo, che ne resse poi le sorti in un ventennio rovente con in mezzo il Sessantotto e quanto ne seguì, ha voluto quest’anno premiare i vincitori dell’annuale referendum indetto fra i critici di settore con una serata ad hoc (l’8 febbraio) svincolata, a differenza degli ultimi anni, dal cartellone di Umbria Jazz Winter.

L’edizione del Top Jazz (questo il nome del referendum, per parte sua nato nel 1982) era ovviamente quella del 2015, lungo le quattro sezioni che ne contrassegnano il versante italiano (ce ne sono poi altrettante in ambito internazionale, più due sezioni “miste”, dedicate rispettivamente alle ristampe e, da quest’anno, agli inediti storici), vale a dire miglior disco, singolo musicista, gruppo e nuovo talento, cui dal 2014 si è aggiunto un premio speciale, non soggetto a referendum ma assegnato direttamente dalla rivista, intitolato Una vita per il jazz. Procedendo in ordine di apparizione (ogni artista/gruppo aveva a disposizione una ventina di minuti), il primo a salire sul palco è stato il contrabbassista pugliese Matteo Bortone, nuovo talento dell’anno grazie, in particolare, all’album Time Images, di cui abbiamo riferito in una delle ultime puntate di Arcipelago Jazz (leggi l'articolo).

Del suo quartetto, che ha offerto un jazz pieno e felicemente contaminato non immune dalla lezione di uno dei fari del jazz contemporaneo, Henry Threadgill, fa parte anche la virulenta, e comunque cangiante, chitarra di Francesco Diodati, che è tornato subito dopo in quanto membro pure del gruppo che è risultato il più votato dall’ottantina di elettori del Top Jazz 2015, vale a dire il quartetto di Enrico Rava, a sua volta protagonista di un miniset dalle tinte feconde e – in qualche misura – faconde (con Rava regolarmente al flicorno soprano, come gli è usuale da un po’ di tempo in qua).

La “vita per il jazz” meglio spesa, a giudizio di chi assegna l’omonimo premio, è stata quest’anno giudicata quella dell’ottantacinquenne fisarmonicista alessandrino Gianni Coscia, che, da solo o in coppia col percussionista Stefano Bertoli, ha offerto, in pillole, un gustoso quanto emblematico excursus lungo oltre sessant’anni di jazz, alternando brani propri, di regola desunti dal folklore piemontese (Tributo a Frumento, La leggenda del Moro, ecc.), a celeberrimi standard, da Laura, con cui ha aperto le danze, a How High the Moon, con cui le ha chiuse, che è poi il tema con cui si era misurato nel lontano 1954, quando – fra lo scalpore generale, visto lo strumento imbracciato – vinse la Leva del Jazz.

Dopo un denso quanto elegante piano solo di Franco D’Andrea, per l’ennesima volta (la decima? se non son dieci poco ci manca) eletto jazzista dell’anno (la prima fu proprio all’edizione inaugurale del 1982), Coscia è tornato come ospite dell’ottetto che – sorta di “riassunto” dell’orchestra che ha inciso Notes Are But Wind, eletto miglior disco del 2015 (anche qui ne abbiamo scritto, stavolta una recensione specifica, come del resto per gli ultimi album di Rava e D’Andrea: rovistate gente, rovistate...) – Dino Betti van der Noot ha riunito per l’occasione (Mandarini, Visibelli, Begonia, Gusella, ancora Bertoli, ecc.), costruendoci attorno un programma ad hoc, con cui la serata si è chiusa in gloria, anzi, in divertissement, come ci ha tenuto a precisare il bandleader milanese (di cui in precedenza alcuni fortunati avevano gustato le impagabili crostate, ribattezzate seduta stante crostaDine), non senza generose dosi, sia quel che sia, di sicura sostanza musicale.

Appuntamento fra un anno, ci auguriamo vivamente.

Foto di Alberto Bazzurro

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In dettaglio

  • Data: 2016-02-08
  • Luogo: Teatro Leonardo, Milano
  • Artista: TOP JAZZ 2015

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