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Teatro Dal Verme, Milano

Davide Van De Sfroos

 

Era un tour atteso da due anni e che avrebbe dovuto accompagnare l’album “Maader folk”. Un album importante per la discografia di Davide Van De Sfroos, che ne ha fatto sottolineare la capacità di creare atmosfere e suoni nuovi per lo sviluppo della sua carriera e della sua proposta artistica. Due anni sono tanti, due anni sono importanti, due anni fanno crescere oppure fanno appassire un talento. Ma Davide Van De Sfroos ha al suo fianco amici storici e veri (Paolo, Marina, Nicola fra i più vicini) e un management solido, con Gianpiero ed Emanuela, che lo segue e lo sostiene con grande professionalità e - lust but not least - anche affetto. E poi c’è il pubblico, che lo segue da almeno due decenni e che non smette di applaudirlo e sostenerlo. Un pubblico variegato che ha affollato i due concerti del 28 febbraio e del 1° marzo presso il teatro Dal Verme a Milano. Un pubblico che lo segue con entusiasmo e ne “assorbe” il desiderio di comunicare il mondo che lo abita.

Van De Sfroos è un visionario, colto e popolare al contempo, che sa usare la parola in maniera mirabile unita ad una musicalità che i suoi musicisti sanno interpretare come pochi. Angapiemage Galiano Persico, storico collaboratore di Davide (qui insieme nella foto), suona il violino con la solita perizia e minore enfasi degli esordi, quasi a voler dimostrare che il virtuosismo può essere “tenuto a bada” per, paradossalmente, esaltarne i suoni. Anche questa sera, primo marzo, il concerto ha rappresentato una porta dalla quale Van De Sfroos ti fa entrare e dalla quale ti farà uscire solamente quando riterrà che chi ascolta ha compreso le sue parole pieni di magia, che evocano mondi immaginati ma mai esattamente individuati e compresi fino in fondo.

 

Il concerto è fondato in particolare sull’album “Maader folk”, e non poteva essere altrimenti, e l’ascolto dal vivo ne esalta ancor di più la qualità e la profondità nei testi oltre ad una costante a cui Davide ci ha abituato e cioè la potenza della musica. Riascoltare dal vivo i brani di “Maader Folk” aggiungono un quid importante al giudizio complessivo del nuovo lavoro che, a parere di chi scrive, rappresenta l’album della maturità dell’artista monzese di nascita ma laghèe di adozione e, ormai, intriso di storie di laghi, boschi, cieli, fiumi, personaggi, folletti e tanto altro che abitano i suoi mondi… Come scrisse Walt Whitman a metà dell’800 e come cantò Bob Dylan solo due anni fa, anche lui contiene moltitudini. Sono le moltitudini dei “tipi” cantati ma, soprattutto, le moltitudini di coloro che sono percepiti e non ancora proposti. Sono i segni della presenza di altri soggetti, animati o meno, che si muovono intorno a questo cantore che celebra la natura insieme alla complessa semplicità degli uomini. Nulla è scontato nel suo mondo e se si partecipa ad un suo concerto, come questa sera, ci si accorge di quanta potenza silente sia nascosta nel modo che Van De Sfroos ha di porsi e proporsi al pubblico: una sottile linea di demarcazione tra ciò che è visibile ed udibile e ciò che, invece, appartiene solo alla sfera dei sensi in versione “extra”. Quel che vogliamo dire è che la percezione di tutto questo mondo è comprensibile solo a chi ha la dote e il talento di ascoltare il vento, catturalo e riversarlo in parole e musica inondando, chi ascolta, di sensazioni impreviste, nuove, accattivanti e misteriose.

 

L’ho visto molte volte in concerto, Van De Sfroos, e in momenti diversi della sua carriera, ed ogni volta ho capito che al di là della indubbia professionalità, quel concerto era, per lui “il” concerto. Un luogo fisico ma, soprattutto della mente, dove tutto è possibile, dove tutto è sdoganabile, dove uscendo dai propri limiti e paure è possibile essere veicolo “terapeutico” per chi ascolta. Ed il finale di questa serata, lasciato a due canzoni totem come Pulènta e galèna frègia e La curiera, ancora una volta colpiscono non solo per la loro cantabilità e bellezza ma soprattutto per essere pervasive nell’animo. Due brani che hanno – ancora dopo vent’anni – la capacità di abbracciare ed ammaliare l’immaginazione degli ascoltatori che, ovviamente, le cantano come loro inni. Qualcosa di naturale nei live dei grandi artisti, un effetto ‘ricordo’ imprescindibile. Nello specifico però, se parliamo di Van De Sfroos, se possibile si aggiunge qualcosa in più. Il pubblico viene attraversato da una sensazione impalpabile, e lentamente quelle non sono più canzoni ma segnali sul cammino, libri da leggere, vie da seguire, luci da non perdere di vista perché, a volte, anche una canzone, in un tempo oscuro e pieno di demoni, infidi ma suadenti, può farti superare meglio la durezza della quotidianità.

p.s.
Chiudiamo con un plauso particolare ad una band solida e ben inquadrata nelle sonorità di un album che, a distanza di tempo, cresce e non smette di stupire… 

foto di Andrea Ostoni

  

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In dettaglio

  • Data: 2022-03-01
  • Luogo: Teatro Dal Verme, Milano
  • Artista: Davide Van De Sfroos

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