Villa Arconati, Bollate (MI)
Sono
il gruppo del momento in Italia, o perlomeno il complesso nazionale che vanta
il più sonoro exploit del 2008. Hanno alle spalle la Warner che investe su di
loro e davanti un pubblico che man mano cresce. Dove i Baustelle notoriamente steccavano era nei concerti dal vivo. Ma per
fortuna ultimamente, pur rimanendo lontani dalla perfezione, sono migliorati.
Rivisti
a distanza di mesi hanno imparato come far uscire i pezzi di “Amen” da quel frastuono senza nerbo sentito a
marzo al Rolling Stone. E soprattutto a stonare meno. Francesco Bianconi ci ha
“deliziati” con la temuta sciatteria vocale solo in Charlie fa surf (curiosamente cantata senza accompagnarsi con la
chitarra, il che, si sa, aiuta). Quella di stasera è la migliore performance
del gruppo toscano a cui io abbia personalmente assistito.
La
sempre più appariscente Rachele deve ancora sforzarsi di farsi sentire – e di
sentirsi lei stessa – su quella matassa di suoni forse eccessiva, per quanto
sia ormai a suo agio come polo di attenzione “alternativo” e calata in più di
un’occasione nel ruolo della protagonista.
Il
concerto dal vivo 2008 dei Baustelle è curiosamente rockettaro, molto
chitarristico e con una dose di programmazione che esula comunque dai molti dei
passaggi di contorno del disco nuovo – le code o le intro strumentali sono
cassate senza patemi preferendo compattare gli arrangiamenti.
L’idea
del rock show è finanche nelle citazioni: durante Il liberismo ha i giorni contati ormai di consueto parte il riff di
Satisfaction, che neanche una cover
band di provincia (cronica). Altri elementi fanno pensare al prog italico e la
parte cantautoriale è omaggiata come sempre da un estratto da Bandiera Bianca di Battiato inserito tra
il ritornello e la seconda strofa in Colombo.
L’inizio
è quello collaudato: Antropophagus,
finalmente con una resa all’altezza della situazione, non piena ma buttata giù
con grinta, senza affogarne del tutto le velleità di pezzo forte con tante
sfumature nella solita dinamica accorciata. Un po’ il respiro corto la band dal
vivo ce l’ha, qualche attacco non irreprensibile e certe versioni discutibili
dei brani rimangono. Però è salita molto di tono.
I
brani de “La Malavita”
in genere suonano meglio. Quando Claudio Brasini innesca La guerra è finita la scena è di quelle da riempipista in
discoteca, la gente lascia le comode poltroncine – da cui c’è già chi si era
staccato per ballare da solo – e si stipa sotto il palco; alcuni improvvisano
un trenino neanche fossimo a Capodanno.
Si
passa al clima da Studio 54 esistenzialista di Baudelaire: alla fine il maestro Nicola Manzan alias Bologna
Violenta si trasforma in Al Jourgensen dei Ministry tirando giù una schitarrata
pesantissima che sulle prima lascia allibiti.
Il
bello viene dopo. Ospite un quartetto d’archi, Il corvo Joe e Alfredo
respirano un po’ dell’aria delle loro incisioni originali. Più toccante ancora Latte 70 di Giorgio Gaber, con un
Francesco curiosamente adatto, più di quanto fosse lecito pensare.
Nei
ripescaggi finali dal “Sussidiario”, il solito medley tra Gomma e La canzone del
riformatorio, e, per fortuna, una bella sorpresa: la meravigliosa Il musichiere 999, prima di dire amen
con Andarsene così.
I
lavori per costruire i modern
chansonniers sono ancora in corso. Non sono finiti ma il cantiere sembra aver imboccato anche sul palco la direzione
giusta. O almeno così pare stasera. Un piccolo sforzo e forse ce l’avranno
fatta, finalmente.