DatchForum, Assago (MI)
La domanda che sorge spontanea è
sempre la stessa: ma come fa Francesco
Guccini a riempire così tanto, e da anni, i Palasport italiani come ha
fatto anche questa volta al DutchForum di Assago? La seconda domanda è
conseguenza della prima: che cosa si aspettano tutti quegli spettatori da un
signore incanutito, sempre in forma (più mentale che fisica, a dire la verità),
ma ormai verso i settanta? Probabilmente il pubblico premia, oltre che la capacità
poetica, la professionalità artistica, la leggerezza che arriva dal palco, la
coerenza umana che in oltre quaranta anni di carriera quest’uomo, grande e
grosso, con la erre arrotata, l’improbabile fisico da “front man”, ha fatto
tracimare dalle sue canzoni a cui, anno dopo anno, in tanti si sono avvicinati
e grazie alle quali hanno sognato in libertà.
Assistito da una band attenta e
precisa con i soliti, imprescindibili Flaco
Biondini alle chitarre, Vince
Tempera alle tastiere, Ellade Bandini
alla batteria e Antonio Marangolo al
sax e percussioni, Guccini ha esordito con una serie di aneddoti e pensieri in
libertà che hanno accompagnato il pubblico verso l’apertura classica di Canzone per un’amica, accompagnata dal
battito delle mani del pubblico e dal relativo, potente, supporto canoro. Uno
sguardo verso la platea dove “galleggia” un venditore di bibite a cui il
“Guccio” chiede il prezzo di una bevanda. Alla risposta, quattro euro, parte un
sentito «Ma è un furto!» che strappa l’applauso, sentito, da parte del
pubblico. Il tema arriva mesto, ma
solido, a scaldare la platea (ma non ce n’era bisogno…) che ascolta con
attenzione una canzone tanto nota nel canzoniere gucciniano eppure sempre
affascinante. La chitarra di Biondini è fortemente beat quando parte l’attacco
di Noi non ci saremo, anticipato dal
ricordo di Augusto e da quello di Dylan. Il pubblico canta in coro con forza,
sentimento, trasporto e la prova vocale del cantautore di Bologna è notevole.
Dal ricordo della Milano e della Bologna notturne si incammina una bella
versione di Canzone delle osterie di
fuori porta, piena di nostalgia e rimpianto. Brano tanto lontano nel tempo
eppure tanto vicino nelle situazioni, nei contenuti, nelle speranze infrante.
Il finale ha un suono morbido e felpato che pare rendere ancora più “sospesa”
la chiusura della canzone. E come fosse il proseguimento del tema precedente
arriva a bussare alle porte del cuore del pubblico una bella versione di Vedi cara le cui parole, ricche di
interiorità e di attenzione alla crescita umana, sono ancora così radicate nel
cuore di tutti i presenti che seguono la canzone cantando fino all’applauso,
potente, alla fine del brano.
Canzone quasi d’amore si avvale dell’arpeggio iniziale di Biondini
e del sax, morbido, di Marangolo, e Guccini appare come un grande affabulatore
canoro e scalda i cuori per condurli, con maestria, verso una notevole versione
di Incontro che il pubblico canta
dall’inizio alla fine dimostrando un affetto totale ed incondizionato verso
questa straordinaria canzone che non smette mai di affascinare per la sua
capacità di penetrare nell’animo di ciascuno. Arrivano Farewell e Ti ricordi quei
giorni, colme di nostalgia che traboccano da ogni parola e da ogni nota.
Canzoni capaci di scaldare i cuori e di preparare il terreno a due inediti. Il
primo è Su in collina, storia
partigiana che Guccini presenta chiedendo ironicamente scusa ai revisionisti.
La canzone, con tanti personaggi, è fiera nel suo incedere e la batteria è
potente come una mitragliatrice. Un pezzo che potremmo definire della memoria
(ma quante sono le canzoni prive di memoria nel repertorio di Guccini?) e che
introduce Il testamento del pagliaccio,
con piano elettrico e fisarmonica a rendere un incedere circense perfettamente
abbinato al testo. I sax alto e tenore si fondono con i loro suoni inebrianti
costruendo una sorta di corteo funebre sulla nostra realtà, e la chiusura,
sempre con il ritmo circense sugli scudi, è una sorta di intro, interrotto,
verso Fratelli d’Italia.
Le tastiere di Tempera e la
chitarra di Biondini introducono poi la voce di Guccini per una sentita
versione di Don Chisciotte, anche
questa accompagnata dal coro all’unisono da parte del pubblico che riempie il
Forum di straordinario calore. L’arpeggio folk della chitarra di Biondini è il
giusto viatico per una delle canzoni cult del cantautore emiliano, Eskimo, che è immediatamente presa sotto
tutela da parte del pubblico che la seguirà con un incessante battito di mani
fino alla sua conclusione, partecipando al canto, sentendosene parte,
ritenendosene, a pieno titolo, compartecipe nel testo, nella memoria, nelle
speranze, nelle delusioni. Cyrano completa
il quadro dei sognatori che vanno dai personaggi di Cervantes a quelli
raccontati da questo romanziere e drammaturgo francese. La voce di Guccini ed
il piano elettrico di Tempera riempiono il Forum di immagini che scorrono
rapide nella fantasia del pubblico. Il grande sax di Marangolo e Bandini, con
la batteria a mille, chiudono un brano pieno di malinconia e voglia di
riscatto. La poesia pura di Un vecchio e
un bambino irrompe nello spazio del Forum, forse impreparato a “subire” una
nuova emozione e, per assecondare questo “vegliardo” mai domo tutto il pubblico
ne accompagna ogni parola, assaporandola quasi fosse un viatico di giovinezza.
Il bisogno di ritrovare valori veri è forse una risposta alle domande che sono
in cima a questo articolo. E questi valori tracimarono già dalle prime note di Auschwitz, una canzone ormai patrimonio
della cultura popolare, cantata a pieni polmoni da Guccini e da tutto il
pubblico. Una canzone attesa, che riesce ancora oggi ad emozionare. Un altro giorno è andato è, nonostante
il tema e le liriche, cantata e suonata con allegria, brillantezza ed il
battito delle mani è continuo fino alla fine con la chiusura del sax di
Marangolo. Dopo i copiosi applausi arriva il momento di Blue suede shoes, passaggio autenticamente rock che in molti non si
aspetterebbero di ritrovare in questo (apparentemente) serioso cantautore che
ha attraversato la storia culturale ed artistica del nostro paese in maniera
fondamentale ed insostituibile.
E’ finita? Ma no, nel rito gucciniano manca all’appello l’inno generazionale, Dio è morto, che tutti si aspettano. Ed arriva, puntuale, micidiale, acuminato, tagliente. Arriva a fare cantare a squarciagola tutto il pubblico del Forum che si riconosce, ancora e fortunatamente, nelle parole di Guccini. E se Dio è morto scalda i cuori e galvanizza “le truppe” è con La locomotiva che l’entusiasmo arriva al culmine, trabocca, supera gli argini, travolge le emozioni. Tutti cantano estasiati, rapiti, affascinati, determinati, emozionati, trasfigurati in questa storia ascoltata mille volte eppure sempre nuova ed affascinante. Già più di trent’anni fa Guccini, alla fine di questo brano, esplodeva in “an poss pièu” che tradotto significa “non ne posso più”. Me le ricordo al Palalido nel maggio del 1976, la sera del terremoto in Friuli, queste parole. Meno male che, invece, “ne può ancora”. Mezzanotte, giù il sipario: il pubblico farà fatica ad addormentarsi questa notte.