Teatro Smeraldo, Milano
Il tour teatrale di Davide Van De Sfroos sta per ripartire (la prima
data il 12 febbraio a Brescia). Il nostro racconto della splendida anteprima meneghina dello
scorso novembre.
Il Teatro Smeraldo di Milano era
gremito di appassionati, innamorati, infatuati da un magico incantatore di
cuori. La sera era piena di nuvole colme di voglia di piovere ma l’entusiasmo
del pubblico, caldo e colmo di aspettative, spazzava via ogni angoscia. La
seconda serata era cominciata con i migliori auspici perché nela prima delle
due serate il pubblico aveva celebrato una sorta di festa della vittoria della
musica e della fantasia, dell’immaginazione, del desiderio, delle emozioni. Ed
anche il 5 novembre la festa si è replicata con grande tripudio di
immaginifiche bandiere di gioia sventolate dal pubblico entusiasta. Quasi due
ore e mezza di immersione nelle acque della fantasia con venti brani, accolti e
salutati dal plauso sentito e partecipato del pubblico, ad accarezzare le ali
della fantasia dei presenti. E le tante storie scaturite dalla memoria di Davide Van De Sfroos, dalla sua
tavolozza di personaggi, infiniti, deboli, improbabili eppure umanissimi e veri
(impagabile il racconto di quando Rosanna Fratello… no, non ve lo
sveliamo, anche solo questo aneddoto vale il prezzo del biglietto).
Coadiuvato da una band
impeccabile (Angapiemage Galiano
Persico al violino, mandolino,
tamburino; Davide “Billa” Brambilla
alle tastiere, fisarmonica e tromba, Francesco
Piu alle chitarre elettriche, acustica, dobro, lapsteel, armonica; Sergio Centamore alla batteria e
percussioni, Paolo Legramandi al
basso elettrico) Van De Sfroos ha sciorinato un set di grande spessore
artistico e, cosa fondamentale, ha mostrato come si possono fare concerti
“importanti” con grande professionalità, naturalezza e allegria. Che la serata
fosse una di quelle da incorniciare il pubblico lo aveva capito dalle prime
note di El temp: malinconica, scura,
struggente, giocata sulla melodia suonata dalle tastiere e dal violino. A
seguire El puunt, con violino e fisa
ad aprire spazi, praterie armoniche per una bella ballata popolare, con la
slide di Piu che propone melodie piene di morbide sonorità. Introdotta da un
discorso sul tema dell’acqua nelle sue accezioni lacustri arriva Akuaduulza, gemma della canzone d’autore
gli ultimi anni, che strappa l’applauso all’apparire delle prime note. La voce
di Davide pare giungere da altri tempi/mondi: piena di magia e di immagini
piene di struggenti ricordi. Il suono pianistico a chiudere pare una sorta di
campana con rintocchi pieni di memoria e la chitarra elettrica annuncia folgori
di malinconia. Grand Hotel arriva a
spazzare i pensieri malinconici con un soffio potente come quello che amavano
proporre i Pogues dei tempi
buoni, potente come una ballata popolare che ti pare di avere già sentito e che,
forse, è nel cuore da sempre e noi l’hai mai saputo. E i personaggi dove sono
finiti, direte? Ci sono, e sono tutti sul palco anche se non li vediamo ma ne
percepiamo la pressante presenza. L’Alain
Delon de Lenn si presenta travestito da bluesman che è alla ricerca del
dono dell’arte eterna in cambio di sappiamo bene cosa… Il suono è sanguigno,
fortemente marcato di blues ed il brano è davvero notevole trascinato dalle
note scure di Piu che al suono del dobro, ricco di sfumature e pathos, dimostra
di avere i numeri giusti per essere su quel palco, con quella band. Non si è
ancora placato l’applauso che le note de La
ballata del Cimino annunciano questa storia piena di fantasia e simpatia
per un contrabbandiere alla ricerca di un approdo sicuro e con una scusa che
assale ogni evidenza. La fisa ed il violino sono accompagnati dal battito delle
mani da parte del pubblico, Piu si destreggia tra banjo ed armonica mentre la
voce di Davide è una mitraglia che racconta, declama, canta, costruisce
immagini, sradica la fantasia. Il
costruttore di motoscafi si affaccia con la voce diretta, forte, decisa di
Davide ben supportata dalla chitarra elettrica di Piu che costruisce un treno
di note intriganti e ficcanti. Il suono della fisa e della chitarra acustica
aprono una versione brillante de La
ballata delle quattro carte, con il violino a spargere sul palco
reminescenze da folk inglese. Annunciata da una serie di aneddoti, veri, sul
significato di alcuni soprannomi di persone conosciute da Davide, arriva una
bella versione de Il libro del mago,
apologo sulla magia ma, forse ancor di più, sul senso della vita. Il suono
hammondiano delle tastiere rappresenta la cifra stilistica di più immediato
riscontro emotivo, con quelle note che si insinuano sotto le pieghe
dell’immaginazione. A ridosso dell’ultimo applauso arriva una versione gioiosa
ed irresistibile de Lo sciamano, con Persico
che pizzica il mandolino, la sezione ritmica che non lesina nota e ed atmosfere
rendendo il suono sincopato, tribale, misterioso. Una bella cascata di note a
cui si aggancia, mirabilmente, Pulènta e
galèna frègia con il pubblico che batte il tempo deciso e partecipativo. La
voce si accompagna, alternativamente, alla fisa ed al banjo, mentre il violino
ricama la melodia di una canzone piena di gioia ed, al contempo, di malinconia.
La chiusura di questa bella ballata popolare è giocata sulle note del violino
di Persico e della fisa di Brambilla che mostrano d’avere tra le dita una
grande capacità d’espressione poetica. La stessa modalità espressiva la si
ritrova nella bella versione di 40
pass che Davide canta con grande trasporto, nel completo silenzio
del pubblico che si “beve” le parole della canzone con attenzione e
partecipazione. Le tastiere ed il violino si uniscono mirabilmente alla voce
calda, profonda, nostalgiche di Davide che racconta storie di perdenti con cui,
spesso, pensiamo/temiamo di identificarci. Dopo tanta emozione uno scarto di
lato ed arriva una versione chitarra e voce di Ventanas, brillante, veloce, partecipata. Un giusto momento di
separazione tra differenti momenti dello spettacolo che si incammina, con Rosanera, in un bel climax
musicale con la chitarra elettrica di Piu che governa il suono, il violino di Persico
che fa ruotare le note come fossero scintille, la fisa di Brambilla che
illumina l’atmosfera.
E’ una creatrice di emozioni
questa band, non c’è dubbio, ed il suo leader insiste sull’acceleratore e,
complice il suono struggente del violino ed il suono brillante della fisa, New Orleans appare in tutta la sua
delicata bellezza. Una canzone dove protagonista è l’assenza, la memoria, la
nostalgia, l’incompiuto. Ottimo il lavoro del dobro di Piu, quasi in sordina ma
molto efficace nel ricamare le trame sonore tra della canzone. Presentata da
una bella storia di introduzione (protagonisti due personaggi reali ed
incredibili come zio Menta e Geppo), con l’affabulante bravura di sempre, Il duello viene proposto in una
bella versione caraibica, con le immagini cantate che scorrono quasi come
fossero proiettate su uno schermo immaginario, la tromba di Brambilla a creare
la giusta, calda, coinvolgente atmosfera ed il violino di Persico che fa
scaturire note che paiono scaturite da un film muto degli anni ’20, quasi
fossero l’ideale colonna sonora di un duello immaginato attraverso le liriche
cantate da Davide. Il ritmo caraibico non si placa ed accompagna la bella,
nuova versione di Caino e Abele
che si ritrova rivestita di una nuova vita. Una canzone ora mossa, calda,
solare, piena di vita e di straordinari incastri tra le parole che viene
accompagnata alla fine da un appassionato solo di tromba. Una versione che
sarebbe piaciuta a Compay Segundo, citato
nella presentazione del brano che, nel mondo di Davide si è trasformato nel
lombardo Coupà el secund... voce
e chitarra si accendono dopo i copiosi applausi del brano appena concluso e
così appare una bella versione de Il
prigioniero e la tramontana, mossa ed illuminata dalla slide di Piu
ed il violino di Persico morbido ad accompagnare il suono della chitarra
acustica di Davide.
Sono passate le 23.30 ed il concerto sembrerebbe terminato sotto un
profluvio di applausi ma, fortunatamente, non è così e la band rientra e parte
in una sarabanda infuocata che vede la chitarra di Piu sugli scudi a trascinare
il gruppo in un brano dal sapore “meticcio” che vede “il Flumendosa incontrare
il Mississipi” e Davide canta in sardo, visibilmente soddisfatto della sua
performance canora. La curiera
arriva a chiudere una bella serata di musica, di festa, di passione. Il
pubblico, mentre il violino e la fisa macinano note senza sosta, batte il tempo
e canta soddisfatto. Sa di essere anche lui su quella “curiera”, nel mondo, con
le sue contraddizioni; nel mondo con la sua molteplicità. Anche noi siamo
“chiamati” a cantare, e bene, su quella “curiera”.