Teatro Filarmonico, Verona
Mah. Il fatto è che Luca Carboni, nella
sua prima tappa del tour relativo alle “Musiche Ribelli”, ci lascia una
sensazione non sgradevole ma neppure di grande entusiasmo. Ci lascia un po’ a
metà tra la sua più classica, ormai quasi storica produzione (che nei momenti
migliori – diciamo per esempio la Stellina
dei cantautori con cui ha aperto il concerto – ha un suo buon sapore da
cucina casalinga, con ingredienti non particolarmente fantasiosi ma ben
assimilati) e quella più “antica” ed “elevata”, nella gran parte dei casi, dei “padri”
cantautori anni settanta. L’operazione di recupero sfociata nell’album “Musiche
Ribelli” viene ripetutamente presentata da Carboni come un atto affettivo nei
confronti di personaggi che lui sin da piccolo si era abituato ad ascoltare nei
dischi dei fratelli più grandi. E in tal senso l’operazione si può accettare.
Più azzardata ci pare la lettura – pure abbozzata in concerto da Luca – di una
sorta di “percorso di passaggio”, anche dal punto di vista cronologico, appunto
tra i maestri del settore anni settanta e la sua poetica, contaminata dal rock,
del decennio successivo. E ci pare un po’ eccessivo presentare il tutto anche
come un modo di recuperare canzoni altrimenti a rischio di oblio. Musica ribelle, tanto per citare la
canzone eponima di disco e tour, è un ben noto sempreverde, e semmai andarla a
riprendere ha più la connotazione di un passaporto sicuro al gradimento del
pubblico. Insomma, a differenza dei “Fleurs” di Battiato, che almeno in certi
casi hanno davvero avuto il merito di battere sentieri un po’ desueti ai tempi
dell’uscita (per esempio l’“Aria di neve” di Endrigo), le “Musiche Ribelli” di
Carboni puntano più sul sicuro.
Sul piano degli esiti, nell’esibizione veronese
(impreziosita, su questa parte del repertorio proposto, dalla presenza di Riccardo
Sinigallia alla chitarra e alla voce), ci sono piaciute soprattutto La casa di Hilde di Gregori (ariosa,
aperta ed elettrizzante, uno dei massimi esiti di Francesco) e l’Eppure soffia del conterraneo Pierangelo
Bertoli. Meno efficaci, anche per una certa tendenza di Carboni ad una
pronuncia non sempre nitida delle parole, L’avvelenata
gucciniana e Ho visto anche degli zingari
felici di Lolli, un capolavoro musicalmente trattato in una dimensione
troppo minimale rispetto all’originale.