Teatro Libero, Milano
Il periodo di crisi, economica e di valori, fa sì
che l'urgenza civile e di denuncia prenda comprensibilmente il sopravvento
sulla forma artistica, pur senza soffocarla. È ciò che accade allo spettacolo
di Moni Ovadia, che assume lungo il suo generoso svolgimento (quasi tre ore)
l'aspetto di un monologo, di un comizio, di una conversazione tra amici
(complice il luogo raccolto), di un concerto, di una lezione di storia. Le
vicende dell'Unione Sovietica, dalla sua nascita al suo tramonto, ed oltre,
fino ai giorni nostri, costituiscono l'ossatura principale dello spettacolo. Ci
accompagna in questo viaggio lungo un secolo l'ebreo Rabinovich, che è di volta
in volta un popolano, un arricchito, un bambino in un'aula scolastica o un
anziano ad una manifestazione. Ma sempre con l'immancabile e tagliente ironia
che caratterizza i personaggi di Ovadia, capace di osservare con il distacco
dello humor le miserie dell'uomo e della storia, di darne una visione dolente
eppure arguta. Di tanto in tanto questo distacco tuttavia si assottiglia e
l'urgenza prende il sopravvento, e con essa lo sdegno, seppur senza mai
sopraffare l'arte. Nascono così battute sulla quotidianità della politica
italiana, sul nostro presidente del Consiglio e sulla politica internazionale.
E anche l'amarezza ha modo di esprimersi.
Nella lunga narrazione trovano spazio grandi personaggi, come Lenin (per il quale è chiara l'ammirazione di Ovadia), dallo splendore della sua personalità tanto umile quanto rivoluzionaria all'orrore del suo mausoleo attraverso il quale Stalin, altro grande, ma in negativo, dell'Urss, ha potuto costruire la sua religione laica. Nel buio degli anni dello stalinismo proliferano, clandestine, delle voci limpide e poderose, come quella del cantautore Vladimir Visotskj. Moni Ovadia lo rievoca cantando le sue parole, con la sua voce potente e espressiva, che sola basta ad emozionare. Nonostante la lunghezza dello spettacolo, l'attenzione e la partecipazione del pubblico non vengono mai meno, a dimostrazione della capacità di narratore di Ovadia, con la sua naturale tendenza all'iperbole.
Complice musicale dell'attore, il pianista Carlo Boccadoro, che accompagna Moni Ovadia e che si prende meritatamente la scena in due occasioni: quando esegue un brano di Mauro Montalbetti e la sorprendente “Sette pezzi nani”, inedito composto per lo spettacolo da Nicola Campogrande, divertente e lieve, che mette in risalto l'ironia del pianista, oltre alla sua peraltro risaputa bravura.