Auditorium Parco della Musica, Roma
Un brusio discreto inonda la Sala Petrassi, questa sera; un vociare lieve di sorrisi e chiacchiericci impazienti. Biglietti alla mano acquistati in largo anticipo, il pubblico accoglie l’ingresso sul palco di Joe Barbieri per la tappa romana del suo "Respiro Tour" con il consueto, intenso calore, liberando un entusiasmo coltivato e cresciuto in due anni di attesa. Per un genere di musica così raffinato, di questi tempi tutto ciò è un piccolo miracolo che solo un angelo della canzone come Joe Barbieri può far accadere: un’ala è la sua voce, Leggera come il brano donato a Giorgia, trasparente come il pezzetto di pensiero che in Normalmente si stacca da lui per volare nel respiro dell’aria; e come un “Respiro”, appunto, che nasce spontaneo e si espande libero, è il suo ultimo disco.
Lui abbraccia la sua chitarra, circondato dai fedelissimi musicisti Antonio Fresa (pianoforte), Sergio Di Natale (batteria), Giacomo Pedicini (contrabbasso) e Stefano Jorio (violoncello), e a dare fiato a tromba e flicorno Gianfranco Campagnoli.
Tutto è pronto per un breve viaggio senza tempo, che ha radici nella storia della grande musica, italiana e non solo, e segue il filo ininterrotto passato prima per “In parole povere” e poi per “Maison Maravilha”. Le spezie di Zenzero e cannella – che contiene anche “pepe”, “paprika”, “vaniglia”, “chiodi di garofano”, “curcuma e coriandolo” – inaugurano il suo ultimo lavoro e aprono il concerto. Non a caso, perché di ingredienti qui ve ne sono tanti. L’incedere dei suoni e dei ritmi – a tratti – ha il gusto dell’estate, fresco, profumato, ricco di colori come i fiori sul booklet dell’album: l’ironia di Diamoci del tu, Le milonghe del sabato – quasi un omaggio a Paolo Conte che nel disco è un duetto con Gian Maria Testa – e il sapore di operetta de Il balconcino del quinto piano (“La peonia si pavoneggia sul davanzale in abito da sera...”). A tratti, invece, la tenerezza dolorosa di una perdita si insinua tra le parole e i suoni: “Se ti ho perduta così/scusami” (Scusami), “Bevo dal lato del bicchiere in cui hai bevuto tu/l’istante prima di essertene andata via” (Un regno da disfare, nel disco con Stefano Bollani), “Vane le sere appese a un filo/vane le scene di questo addio/vana la forma che non ha sostanza” (Sostanza e forma). Si assaggia poi anche un po’ di quell’anima nostalgica partenopea che sa esprimersi solo nella sua lingua madre: “Parlame n’ata vota comme ajere/che ogni parola era promessa antica/che ogni suspiro nun me pareva overo” (‘E vase annure, nel disco con Fabrizio Bosso). Nel mezzo, in ordine sparso, Joe Barbieri infila perle raccolte dagli album precedenti, come Malegrìa, Lacrime di coccodrillo, In questo preciso momento, La nuda verità; e a chiudere, una vera “sigla finale” d’annata, ma alleggerita con spirito e ritmo, firmata Calabrese-Calvi: “Finisce qui, non ci rimane che concludere...”.
Foto 1 di Carmine Miceli
Foto 2 di Luigi Orrù
Foto 3 di Andrea Boccalini