Pensi che ..." />
Moltheni
Pensi che “I segreti del corallo” sia il tuo album più completo ed
equilibrato?«A cosa serve un disco?»
I segreti del corallo potrebbe essere l’ultimo disco di Moltheni registrato in studio, e rappresentare
per lui un punto di svolta verso nuovi modi di esprimersi. A quarant’anni
compiuti e con due lustri di carriera alle spalle è arrivato il momento di fare
il punto della situazione, di voltarsi indietro, per vedere cosa si è seminato,
e cercare di scorgere all’orizzonte la retta via per proseguire un cammino fino
ad oggi assai interessante. Gli abbiamo rivolto alcune domande che hanno
trovato risposte dapprima schive, incerte, e poi, come di consueto, poco
convenzionali, schiette e per certi versi illuminanti.
Più completo ed equilibrato non
lo so. Forse è una domanda a cui non so rispondere, però è sicuramente l’album
più rappresentativo, perché rivela al cento per cento quelle che sono le mie
due anime. Ovvero, quella indie e quella di adesso, prettamente più folk.
Hai impiegato molto per realizzarlo?
No, non abbiamo impiegato
moltissimo. È stato un procedimento più lungo rispetto al passato, ma è un
lavoro fatto in tempi più brevi rispetto a come si è abituati in Italia.
Giacomo Fiorenza ha avuto molto peso riguardo le scelte fatte in fase
di produzione?
Assolutamente sì. Quando
registriamo lui ha una buona fetta di responsabilità, non tanto dal punto di
vista artistico, ma tecnico.
Hai una routine di lavoro o ci sono stati dei cambiamenti?
Le persone con le quali lavoro
sono più o meno le stesse, quindi non ci sono differenze rispetto al passato.
In questo citi l’Ovomaltina, in "Toilette memoria" dicevi che
«la vita ti ha cotto al vapore». C’è
una certa ricorrenza d’immagini culinarie, come mai?
È solo una coincidenza.
Vita rubina, rispetto agli
altri pezzi, è meno folk, quasi vira verso il post-rock. È stata una cosa
episodica o pensi di aver trovato una nuova strada per esprimerti?
Non mi sono mai posto questa
domanda e quindi non so darti una risposta.
Hai sempre dato
spazio ai brani strumentali. Ti piacerebbe comporre una colonna sonora?
Mi piacerebbe moltissimo fare una
colonna sonora, ma non mi chiedere perché non mi sia mai stata proposta.
E girare un film?
Come regista sicuramente no.
Hai detto che «Gli album rappresentano i cicli storici della mia vita».
Assolutamente sì. Questo
rappresenta tantissimo il mio attuale ciclo storico, per il semplice fatto che
sono in una fase decisamente di transizione. Sono al sesto lavoro, quindi sto
in qualche modo facendo un resoconto di quello che ho fatto fino adesso. In
questo momento ho una sorta di limite entro il quale mi vedo. Limite che una
volta scavalcato non so dove mi porterà.
A quaranta anni e dieci di carriera sulle spalle, è tempo di bilanci?
Sì, è tempo di bilanci e non vedo
un futuro preciso davanti a me. Perché non sento la necessità di continuare su
questa strada.
Quale è stato il momento più difficile?
Forse quando dovevo scappare
dalla major e dovevo trovare il sistema di staccarmi da loro.
Da "Splendore Terrore" in poi la tua musica è mutata, sia
nelle atmosfere che nelle sonorità. Immagino che la cosa sia coincisa con un
cambiamento di ascolti, ci puoi spiegare cosa è accaduto?
Non c’è stato granché
d’importante. C’è stata solo una riscoperta di tante cose, anche perché sono da
sempre un grande ascoltatore e un enorme fruitore di musica: dal rock all’hard
rock, la psichedelica, l’elettronica. E quindi è stato sono un passaggio dovuto
al guardarsi in faccia e capire cosa stavo cercando.
Sei nato nel 1968, un anno rivoluzionario. Quanto ti senti vicino a
quelle tematiche?
Ho un forte senso di giustizia,
soprattutto alle vicende legate al sociale. Sono un grosso esperto dei temi di
quegli anni e mi ci rispecchio molto.
Mi sembra dalle tue parole che tu ti senta sottovalutato…
No, mi considero una persona
oggettivamente realista e guardo in faccia la realtà, nient’altro.
Cantare, come scrivere, dipingere o recitare, vuol dire esprime se
stessi attraverso una maschera. Sei d’accordo con quest’affermazione?
Sì, sono d’accordo, anche solo in
parte però. Nel senso che non necessariamente dietro il gesto artistico c’è un
qualcosa di autobiografico che rispecchi l’autore che l’ha realizzato.
Cosa c’è dietro la maschera di Moltheni?
C’è molta poeticità, c’è molta
sensibilità, c’è modo di fare, c’è molta delicatezza e gesti un po’ passati di
moda che non hanno niente a che fare in genere con l’ascoltatore.
Da dove nasce tutta questa passione per il passato e per tutto ciò che
suoni vintage?
Non lo so, nasce così,
dall’ossessione del circondarsi del bello e apprezzare le cose meno
appariscenti, più piccole, più delicate, che secondo me hanno valore.
È vero che passi molto tempo a pulire casa?
Sì, è verissimo.
Allora facciamo un gioco. Lava via un periodo storico della musica
italiana.
A freddo non è facile. Gli anni
’80. Li ripuliamo, li gettiamo nella spazzatura immediatamente.
Perché, c’è un motivo particolare?
Perché sono stati anni
estremamente bui, decadenti, brutti, scadenti, falsi, danneggiatori e quindi li
eliminerei.
Togli un disco dalla tua discografia.
Vorrei togliere il secondo (“Fiducia nel nulla migliore” del
2001, ndr) solo perché è il più sacrificabile.
E un album in generale?
Troppo difficile, ce ne sono
talmente tanti.
Un modo di fare che ti dà fastidio?
Fammi pensare. Mi dà fastidio
l’atteggiamento degli addetti ai lavori. Sono una categoria di persone che ho
visto di malocchio e negli anni sono finito per detestarli. Naturalmente quelli
legati alle major.
Riguardo la pessima situazione discografica, è anche colpa loro?
No, è solo per colpa loro.
Come pensi che lo scenario si possa risollevare?
Non credo che si possa rialzare.
È una cosa legata alla società, quindi pressoché definitiva. Non lo dico con
rammarico, lo dico con oggettività. Credo che il mercato discografico sia come l’inquinamento,
come il clima. È una cosa che tutti vorremmo migliorare, ma dove ormai non si
può più tornare indietro e quindi bisogna solo subire quelle che sono le
conseguenze. Punto e basta.
Un collega che non digerisci?
Non credo di avere colleghi.
Non ti senti un musicista e cantautore?
Non mi piace appartenere alla categoria.
Allora, chi è Moltheni?
È uno che suona, che scrive, che
interpreta, ma a cui non piace rientrare nella categoria dei musicisti della
musica italiana, non mi interessa. Preferisco essere uno che fa la proprie cose
e basta. Sto mettendo in preventivo di non fare più uscire dischi. La ritengo
una cosa banale e stupida. Chi vuole sentire le nuove cose di Moltheni se le
viene a sentire dal vivo, anche perché non vengono registrate.
Quindi a te piace molto il contatto con il pubblico?
Penso sia abbastanza
fondamentale.
Ma senza un disco non è difficile proporsi dal vivo.
Tanto è difficile lo stesso, anche
se fai il disco, quindi a cosa mi serve?
(27/01/2009)Altri articoli su Moltheni
Altri articoli di Roberto Paviglianiti