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Alessandro Grazian
Ci puoi parlare delle ispirazioni alla base di “Indossai”, che conduce
dritto alla Mitteleuropa? E poi come mai questo interesse per il passato?
Ad est (in seppia)
Alessandro Grazian, cantautore padovano, ci racconta il nuovo
lavoro Indossai, che a differenza
dell’album d’esordio “Caduto”, crepuscolare ed intimistico, apre l’autore a ciò
che gli ruota intorno ed accompagna l’ascoltatore in un’esperienza salgariana,
attraverso luoghi sconosciuti e sensazioni mitteleuropee che finiscono
magicamente per appartenergli.
“Indossai” è un disco con cui ho
cercato di mettere a fuoco molte mie passioni e influenze, non solo musicali.
L’ho vissuto come un’occasione per ridefinire i miei confini: a differenza
dell’album d’esordio, nelle canzoni di “Indossai” ci sono nomi, luoghi e
storie. In sostanza ho lasciato che le canzoni si nutrissero di tutto ciò che
mi sta a cuore e durante la lavorazione del disco respiravo forti suggestioni
mitteleuropee a cavallo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Il
passato è il bacino da cui continuo ad attingere, sia come
ascoltatore/osservatore sia esponendomi a livello creativo.
In tal senso immagino vadano anche le foto inserite nel booklet del
disco, per il quale hai aperto l’album di famiglia (oltre alle tue due immagini
in seppiato). Come mai questa voglia di aprirsi al pubblico mostrando il
proprio passato, le proprie radici? E in generale ci puoi parlare della scelta
grafica che hai fatto, in fondo più che un cd sembra di avere fra le mani un
oggetto d’altri tempi, legato alla memoria, ai ricordi…
Quando ho cominciato a lavorare
all’artwork del disco cercavo qualcosa che completasse con le immagini i
contenuti dell’album, ma volevo evitare di essere didascalico e di cadere nel
revivalismo. Un giorno mi sono imbattuto in alcune vecchie foto di famiglia e
mi è sembrato di avere trovato quello che cercavo. Semplificando potrei dire
che le foto raccontano le mie radici e le canzoni raccontano le mie ali, ma
ovviamente c’è molto di più.
Come mai hai scelto “Indossai” per dare il titolo al tuo secondo
lavoro?
“Indossai”, oltre ad essere la
canzone che apre il disco, è un titolo al passato remoto, un po’ come l’album.
Per me Indossai è la canzone che ha
dettato un po’ le coordinate stilistiche del nuovo lavoro: è un brano con cui
tutti gli altri pezzi si sono dovuti confrontare.
In questo album crei delle atmosfere magiche, eleganti ed anche
storiche, ci sono i musicisti del tuo primo lavoro e qualche new entry, quanto
hanno contribuito alla stesura musicale dei tuoi brani i tuoi collaboratori?
Durante la lavorazione del disco
ho avuto l’opportunità di coinvolgere numerosi musicisti. Grazie alla
complicità di Enrico Gabrielli, di Nicola Manzan e di tanti altri
collaboratori, sono riuscito a sviscerare completamente le mie “urgenze
sinfoniche”. Fin da subito ho pensato ad un album ricco di musica e così la
produzione artistica l’ho curata personalmente e gli arrangiamenti sono stati
scritti da me e, a seconda dei brani, co-arrangiati e sviluppati con i
musicisti.
La raffinatezza della tua musica avvolge e contemporaneamente sembra
condurre in un mondo parallelo, nel passato di ognuno di noi, un mondo teatrale
e classico. Tale approccio non potrebbe non renderla di facile lettura. Quanto
incide e se incide il rapporto con il pubblico?
Confesso che realizzando questo
disco non mi sono posto il problema di quanto le canzoni potessero essere
accessibili di primo acchito; ho cercato piuttosto di scrivere qualcosa di
importante per la mia idea di musica e mi piace pensare che questa onestà
intellettuale ha dato buoni frutti. Il mio pubblico è molto vario, ci sono
anche ragazzi molto giovani che mi scrivono per dirmi che apprezzano il mio
modo di scrivere.
Ma è stato faticoso arrivare a pubblicare questo secondo lavoro?
È stato molto faticoso perché il
disco era molto ambizioso sul piano della realizzazione e io dovevo fare i
conti con i ritmi e le risorse di un’autoproduzione. Tuttavia la mia etichetta
discografica Trovarobato ed Enrico Gabrielli (che è il produttore esecutivo del
disco) hanno creduto molto nel nuovo album e così, nonostante le mille
difficoltà che una realtà indipendente deve affrontare, ce l’abbiamo fatta.
Come mai un trentenne come te è così profondamente legato alla chanson
française? Come mai la senti così affine alla tua indole e come ti sei
avvicinato ai grandi maestri?
La mia curiosità mi ha avvicinato
alla musica francese diversi anni fa; la musicalità della lingua francese e il
“carattere” di certi suoi autori mi ha intrigato da subito. Il fatto che Ferré, Brel o Françoise Hardy siano pochi conosciuti in Italia è un vero peccato.
La tua maniera di essere cantautore ti accomuna a personaggi d’altri
tempi, non a caso poi scegli di citare E’
vero di Bindi, ce ne parli un po’?
Della musica di Umberto Bindi mi piace la componente
sinfonica e la citazione che faccio in Ballata
è stata assolutamente spontanea. Quella porzione di È vero che cito la sentivo in qualche modo iscritta nell’andamento
ciclico che aveva la canzone che stavo scrivendo io. È il mio modo di omaggiare
un autore che apprezzo e che purtroppo è sconosciuto ai più.
Le tue scelte sia a livello di citazioni che di utilizzo della lingua
non sono mai scontate, al contrario sono ricercate, basti pensare al tilacino
che utilizzi in Acqua. Come mai
scegli queste vie di espressione?
Preferisco evitare certe parole e
mi piace l’idea di usarne alcune meno inflazionate. C’è un intenzione poetica
molto precisa dietro questo mio modo di scrivere ma è anche un fatto naturale
per me. Mi limito ad attingere dal mio immaginario: per me è davvero più
spontaneo parlare di un tilacino che di calcio!
Acqua tra le altre cose cita
anche il celebre «acqua azzurra, acqua chiara» di Battisti…
Acqua è l’ultima canzone che ho scritto per “Indossai” e sono
consapevole di quanto sia ingombrante la scelta di citare parole che subito rimandano
alla coppia Battisti-Mogol. Ma mi affascina il potere che nell’immaginario
collettivo hanno certi accostamenti di parole rievocanti slogan o versi
celebri: volevo tentare l’equilibrio su questo pericoloso crinale.
Prima di concludere ci puoi parlare anche di A San Pietroburgo?
A San Pietroburgo è un brano che contiene la mia urgenza di
scrivere musica evocativa, quasi cinematografica. In questa canzone ho cercato
di fare nomi, di dare coordinate geografiche, di parlare di assenze e di fare
un’esperienza un po’ salgariana di scrittura, visto che a San Pietroburgo non
ci sono mai stato.
E infine, tornando a quanto dicevamo all’inizio di questa
chiacchierata, le radici, questa regione, la tua famiglia quanto sono
importanti per la tua arte? Ritieni che essere rimasto qui a Padova invece che
andare a cercare fortuna a Milano o a Roma abbia preservato la tua originalità
artistica?
Penso che ogni cosa ha i suoi pro
e i suoi contro. Vivere a Padova mi ha garantito una libertà creativa che forse
non avrei avuto nelle grandi città dove le scene sono ingombranti e decidono il
buono e il cattivo tempo di un percorso artistico. Ovviamente una vita non può
essere fatta solo di sottrazione ed io non posso permettermi di costruire un
progetto senza avere anche contatti umani, artistici e di lavoro con l’esterno.
Ad esempio frequento spesso Milano perché è una città che mi permette di tenere
viva la mia attività di musicista.di Silvia Gorgi