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Il Teatro degli Orrori
A
Sangue Freddo prosegue il percorso del precedente Dell’Impero Delle
Tenebre, mantiene quell’equilibrio assolutamente affascinante e
personale tra liriche e costruzioni sonore spigolose, ma rispetto
all’esordio è meno grezzo, arrangiato in maniera più stratificata
e forse più accessibile. Sei d’accordo? Sono
d'accordo. Volevamo un disco più classicamente rock, nel quale la
violenza e l'eccesso che contraddistinguono Dell'Impero
delle Tenebre
cedessero il passo ad arrangiamenti più orchestrati e, come dici tu,
più stratificati. Ma il territorio musicale che esploriamo rimane il
medesimo: in A Sangue Freddo il sound è sicuramente più
accessibile, ma si tratta, ne sono convinto, di un'evoluzione utile,
se non necessaria.
Col
senno di poi, la scelta di cantare in italiano è stata cruciale per
la vostra storia. Anche A Sangue Freddo, dal punto di vista delle
liriche, è molto ricercato, colto, pieno di invettive e ironia.
Insomma, una cifra stilistica ben definita e riconoscibile. Inoltre
mi pare ti diverta molto giocare con le citazioni, in un parterre che
va da Celentano al Padre Nostro o da Carmelo Bene a Majakovskij,
passando per De Gregori, Pino Daniele e un sacco di altra roba. Dico
bene che ti diverte? Ma
perché no! Le citazioni e i riferimenti letterari sono comunque
tutti molto ben meditati: rappresentano espedienti narrativi che
hanno la precisa funzione di aggiungere senso al significato della
canzone. E
certo, la scelta dell'italiano è cruciale. Finalmente chi ci ascolta
capisce cosa dicono le canzoni.... Capirai che traguardo. La poetica
che sta alla base de Il Teatro degli Orrori è infatti non così
dissimile da quella di One Dimensional Man, ma è la lingua italiana
che fa la differenza, perché arriva dritta al cuore, senza
mediazioni. E
gli One Dimensional Man? Dobbiamo considerarli ormai un capitolo
chiuso, o è possibile che in futuro possano tornare a dire la loro? Mi
riservo il piacere di sorprenderti quanto prima. Non so quando, ma mi
sta tornando una voglia imperiosa di suonare il mio strumento. Dopo
quasi quattro anni che non tocco il basso elettrico, incomincio a
sentirne la mancanza. A
Proposito di Padre Nostro, vorrei chiederti come mai questa scelta:
in mano vostra è diventata qualcosa di molto laico e arrabbiato. Più
in generale, Dio ricorre spesso nelle vostre canzoni, sei credente?
Che rapporto hai con le religioni? Io
sono laico. Ma ho ricevuto una profonda educazione cristiana, che mi
spinse anche ad un breve periodo di studio della teologia. Avevo
vent'anni... Sono convinto che tutte le religioni del mondo non siano
che forme di esercizio del potere, ma credo nella figura
pacificatrice e rivoluzionaria di Gesù Cristo; non è un ossimoro: i
valori della giustizia, dell'uguaglianza, e della pietà sono quanto
di più rivoluzionario si possa pensare nella feroce contemporaneità
dell'oggi. Abbiamo
citato Carmelo Bene e potremmo citare Artaud, dal quale avete mutuato
il vostro nome. Quanto è importante per voi il teatro? Il
teatro di Artaud si poneva agli antipodi di quello tradizionale, e
intendeva trasmutarne i valori. Il teatro non più come
rappresentazione della realtà, ma come realtà in se stessa.
Rappresentazione più reale del reale, un magnifico paradosso che
esprime innanzitutto l'urgenza di riportare in vita la parola,
riesumarla e resuscitarla dalla morte della scrittura, liberarla
dalla dittatura della pagina. Ecco, in qualche misura Il Teatro degli
Orrori si prefigge uno scopo analogo. Io non sono una fatua rock star
che si pavoneggia su di un palcoscenico e poi, se dio vuole, non se
ne sente più parlare. Tutto ciò che accade nei nostri spettacoli è
vero. Non c'è finzione alcuna.
Infine, il teatro così inteso è la vita stessa. Quando salgo sul
palco, sono finalmente vivo, e ti sbatto in faccia senza scrupoli
ogni mia lagnanza, speranze e disperazioni, dolore e gioia, odio,
amore. E' quando torno a casa, davanti alla tivù, o in ufficio a
fari di conto, o in fabbrica a girar bulloni, che crepo, muoio
lentamente. Tutto questo non vale solo per me, vale anche e
soprattutto per il pubblico. Ogni nostro concerto è un evento a sé:
chi viene ad ascoltarci, a "vederci", dovrà avere la
sensazione di assistere ai propri stessi drammi esistenziali. Tutto
il resto, non son che fregnacce. Anche
queste nuove canzoni indagano sul rapporto tra individuo e potere,
raccontando storie in bilico tra il pubblico e il privato. Il tuo
però, mi sembra uno sguardo essenzialmente pessimista, di chi vede
un Paese andare allo sfacelo e sente
il bisogno di gridarlo, pur avendo la consapevolezza che risalire la
china sarà impossibile.
So
che ci vorrebbero spazio e tempo, ma in breve, cosa credi che sia
accaduto al nostro paese negli ultimi 20, 30 anni? Una
considerazione preliminare: grida di disperazione nascondono sempre
un desiderio di emancipazione, di rivolta, di liberazione. Risalire
la china non soltanto è possibile, è necessario. La lotta per
migliorare il mondo, e con esso la nostra società, il nostro paese,
la comunità in cui viviamo, è una fatica che vale la pena
affrontare, perché rende le nostre vite degne d'esser vissute. La
società italiana si è involuta in un modo impressionante,
diventando egoista, ignorante, e più brutta che mai. Lo sappiamo
benissimo tutti che cos'è accaduto. Gli impulsi più rapaci di un
capitalismo e di una borghesia cialtrona che contraddistinguono il
nostro paese, hanno preso il sopravvento sulla cultura, la poesia, la
buona politica. Una
parte enorme della responsabilità di questa involuzione è nelle
mani del ceto politico. Non ci piove. La
title-track, scelta anche come primo singolo, narra del poeta
nigeriano di etnia Ogoni Ken Saro Wiwa, che pagò con la vita il suo
impegno contro lo sfruttamento del Delta del Niger da parte delle
multinazionali del petrolio. La scelta di fare una canzone che
raccontasse questa storia è legata alla consapevolezza che questa
vicenda è ancora troppo poco nota in Occidente? Quando,
nel Novembre del '95, impiccarono Saro Wiwa, la notizia fu un colpo
al cuore di tutti i democratici del mondo. Non ci si voleva credere.
Abbiamo la memoria corta. Grazie alla nostra canzone, Ken Saro Wiwa
si prende così una piccola rivincita. Ho
pensato di raccontare Wiwa, attraverso le sue stesse parole (perché
A Sangue Freddo è un riadattamento in chiave rock di una sua poesia,
"La vera
prigione"),
per ricordare agli smemorati della mia età, e per informare i più
giovani, un esempio tanto significativo della lotta delle moltitudini
del mondo contro lo sfruttamento criminale dell'ambiente. Perché chi
stupra l'ambiente, uccide a sangue freddo donne e uomini che vi
abitano, e lo fa con il candore peloso delle grandi banche
d'investimento e degli azionariati diffusi, e più spesso con
l'arroganza oscena dell'opulenza, della ricchezza sfacciata, del
lusso ostentato. Nel
Delta del Niger vivono nella più profonda disperazione trenta
milioni di persone che da generazioni bevono acqua sporca di
petrolio, mangiano pesci morti, e mai vedono le stelle, perché
Chevron, Shell, Texaco, Elf, Agip (l'italianissima Agip) bruciano
illegalmente i gas naturali del sottosuolo per estrarre il greggio:
dal Delta del Niger proviene il 3,5 % del CO2 di tutto il pianeta.
Devo aggiungere altro? Certo, devo aggiungere: tutto ciò è
intollerabile e deve finire.
Siete
compagni di etichetta di gente come Vasco Brondi, Giorgio Canali, The
Zen Circus, storie musicali che, con le dovute differenze, sento
molto vicine al vostro modo di fare musica. Dato che, anche con One
Dimensional Man, sei in giro ormai da parecchi anni, volevo chiederti
qual è il tuo punto di vista sullo stato di salute del nostro rock
alla fine di questo primo decennio del nuovo millennio. ...
Non saprei. Credo di poter dire che, tutto sommato, del buon rock e
della buona musica ci sono sempre stati. Oggigiorno non mi sembra che
le cose vadano poi male. Anzi, percepisco un certo desiderio, da
parte di giovani e meno giovani, di contenuto e di impegno.
Forse il tempo dell'edonismo berlusconiano è vicino alla fine.
Perlomeno, me lo auguro.Amore e rivolta
Autori
di uno dei dischi più acclamati
dell’anno appena trascorso, Il Teatro degli Orrori si raccontano
attraverso le parole di Pierpaolo Capovilla, voce e mente di una
delle realtà più solide e rappresentative del nostro nuovo rock.
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