Erica Mou
Erica Mou, giovane cantautrice pugliese alla prima esperienza
discografica, voce elegante e distintiva. Può andare come prima presentazione?
Ho dimenticato qualcosa?
Hai dimenticato altezza 1,63 m e odio incondizionato verso chi
suona i clacson ai semafori, appena scatta il verde!
Fatte le dovute presentazioni, mi racconti come la musica è entrata nella
tua vita e quando hai scelto la chitarra come compagna di viaggio?
Non c’è mai stato un momento
della vita senza musica… e non mi riferisco solo alla giostrina musicale sulla
culla (anche se le musiche dei cartoni animati hanno un’influenza fondamentale,
credo, su tutti i bambini, se ancora da adulti riusciamo a ricordarle!). La
musica fortunatamente si è respirata subito in casa mia. Non che qualcuno dei
miei sia un musicista… ma si ascoltava e si ascolta in casa. Racconto sempre la
storia di come sono finita a prendere lezioni di canto a cinque anni… ed è una
storia che inaspettatamente rivaluta l’educatività dei programmi televisivi
dell’ora di pranzo! Mia nonna vedeva “I fatti vostri” e lì, nell’orchestrina,
c’era una violinista che si chiamava Erica. Allora decisi che dovevo suonare il
violino. Per forza. Ma una volta arrivati a scuola di musica, ci dissero che
per quello strumento ero un po’ troppo piccola, così a quattro anni mi iscrissi
al corso di propedeutica musicale. Al saggio di fine anno vidi una signora e
decisi che volevo fare lezione con lei. Era un’insegnante di canto, e l’anno
dopo cominciammo…e non abbiamo ancora finito! La chitarra invece l’ho scoperta
quando ero un po’ più grandicella. A undici anni infatti mi sono iscritta ad un
corso sperimentale di una scuola media della mia città, che il pomeriggio
prevedeva lo studio obbligatorio di uno strumento. Ed ho cominciato a studiare
chitarra classica.
Mai un momento senza musica. Mi elenchi allora tre dischi che sono
stati importanti nella tua “costruzione musicale” o che semplicemente giravano
spesso nel tuo stereo quando eri più piccola…
Il primo che mi viene subito in
mente è “Buon compleanno Elvis” di Ligabue,
perché è stato il mio primo disco personale. Mio padre me lo comprò nel 1995,
se non erro, e mentre gli altri bambini cantavano “nella vecchia fattoria
ia-ia-oooo” io mi divertivo come una pazza a cantare “vivo morto o iiiiics”! Poi
ti dico “Fleur” di Battiato, del
1999, che è stato da allora uno dei dischi più gettonati come colonna sonora dei viaggi della mia
famiglia e che cantavamo a squarciagola tutti insieme in macchina. E infine
“Burn to shine” di Ben Harper che è
del 1999 ma che io ho comprato più o meno quattro anni fa. E’ per me un disco
speciale perché l’ho preso super istintivamente ed è uno degli acquisti di cui
vado più fiera. Entrai in una libreria Feltrinelli e il disco era in sottofondo
(ma non si sentiva molto bene) e, davvero, mi emozionò tantissimo. Così chiesi
al commesso che disco fosse e lo comprai. Troppe volte ci perdiamo delle cose
belle perché non facciamo domande.
La tua voce. I paragoni si sono sprecati, chi ti avvicina a Carmen
Consoli, chi ad Elisa, due grandi della nostra musica italiana. Questi
paragoni, inevitabili quando si è agli esordi, ti danno più “responsabilità” od
orgoglio?
Se devo essere totalmente
sincera, provo certe volte una egoistica sensazione di fastidio. Come tutti,
credo, vorrei non assomigliare a nessun altro. Ma come dici tu, è inevitabile,
e sono contenta che le artiste a cui mi accostano più frequentemente siano due
grandi musiciste che stimo molto. Poi di musicisti/e a cui sono stata
paragonata ce ne sono già almeno una trentina che io diligentemente raccolgo in
una lista che ho chiamato “secondo il mondo assomiglio a…” e che è di una eterogeneità
divertentissima.
Veniamo all’album “Bacio ancora le ferite”. Il titolo è già presente
nel primo brano E’, mi spieghi quali
sono le ferite di cui parli e se queste sono in via di guarigione.
“Bacio ancora le ferite” è un
titolo che abbiamo creduto potesse raccogliere al meglio tutto il lavoro fatto
per il disco. La canzone E’ dice: «ma
io bacio ancora le ferite per far andare via il dolore come faceva mia madre e
prima ancora sua madre, io bacio ancora le ferite per far andare via il dolore anche
se ormai non credo più che faccia effetto». E’ stato difficile tollerare
durante tutta la realizzazione del disco le migliaia di affermazioni sul
tramonto del mercato musicale e della discografia. Noi sappiamo che se cadiamo
e ci facciamo male, non sarà un bacio a guarire le nostre ferite, ma
continuiamo a farlo, anche se con una consapevolezza diversa, perché crediamo
sia ancora giusto così.
Mi racconti un po’ com’è nato questo lavoro, se avevi quei testi nel
cassetto da un po’…
Alcune canzoni esistevano già da
un po’…altre sono venute dopo. Ma i pezzi del disco sono scritti tutti entro marzo
del 2008. Perché poi da quel mese in poi, abbiamo registrato delle tracce guida
(chitarra e voce) di una trentina di pezzi, e le abbiamo affidate a degli amici
o a delle persone del settore. Ognuno votava le sue tre canzoni preferite. Le dodici
più votate, infine, sono state quelle scelte per il disco (anzi, undici, visto
che poi abbiamo deciso di inserire anche una cover). Questo metodo della
“giuria popolare” è stato fondamentale. Né io, né Marco Valente, produttore del disco, avevamo la giusta obiettività
per prendere questa decisione. Anche se, ovviamente, tutto è stato alla fine
supervisionato da noi. L’abbiamo fatto anche per capire delle cose che ci
sfuggivano, che hanno anche avuto la capacità di sorprenderci.
Trovo in questo tuo lavoro una capacità di scrittura difficile da
rintracciare in una ragazza di soli diciannove anni. Penso tu abbia, come ho
scritto nella recensione, una sensibilità particolare ed uno sguardo senza
filtri che è in grado di lasciarsi attraversare dalle cose del mondo, per poi
“digerirle” e gettarle nuovamente fuori. Analisi errata?
Analisi lusinghiera che non posso
però giudicare data la mia… parzialità! Io scrivo semplicemente di cose che mi
sono molto vicine. Più piccole sono,
più sono per me fonte di ispirazione e credo siano degne di essere cantate.
Queste cose che conosco bene, posso raccontarle altrettanto bene, dal mio punto
di vista. Un appunto alla tua analisi, le cose che getto nuovamente fuori,
molto spesso le ho ben assimilate, certe altre pur conoscendole bene…sono
davvero difficili da “digerire”.
Parliamo di come “suona” questo Bacio ancora le ferite. Sonorità
aperte, ampie, senza confini ristretti in un solo stile: dall’acustico,
all’elettronico, sprazzi di jazz e di rock. L’album è a immagine e somiglianza
del tuo modo di vedere e vivere la musica (senza confini)?
Questa eterogeneità è stata una
scelta. Volevamo che fosse rispecchiato il mio mondo, con riferimento sia alla
diversa natura delle cose che scrivo ma soprattutto ai differentissimi generi
musicali che ascolto e che amo ascoltare. D’altra parte poi questa varietà è
stata anche una decisione “didattica” per così dire, un’occasione di
sperimentare cose diverse e di imparare. Non mi andava a diciotto anni di
incasellarmi già in un preciso modo di intendere la musica, volevo provare cose
diverse, quelle che sentivo fossero più adatte ai pezzi, aiutata soprattutto
dall’arrangiatore del disco, Antonello
Papagni.
Nell’album c’è una tua personalissima versione di Pensiero stupendo di Patty Pravo, ti piace accostarti ai brani
altrui e farli tuoi? Ci sono altri esempi, riuscitissimi aggiungo io, di questi
esperimenti?
E’ divertentissimo! Magari è un
po’ meno divertente per gli autori del brano (in questo caso Fossati e Prudente), sentirlo così massacrato…ma per me è un’operazione
bellissima, spontanea come quella dello scrivere. A volte mi capita di
“stravolgere” qualche altra canzone, ma per Pensiero
stupendo c’è stato un discorso a parte. Non era nostra intenzione inserire
nell’album una cover. Ma lei è venuta così, molto casualmente e molto
semplicemente (è, tra l’altro, l’unico pezzo esclusivamente chitarra e voce del
disco) e ci è sembrato bello documentarla.
Anche se, come ci hai raccontato, non sei stata tu a scegliere i brani
da inserire nell’album, tra quelli che hanno vinto quella votazione, ce n’è uno
forse più degl’altri che ti rappresenta o che senti di dover “coccolare” un po’
di più?
Avendoti descritto l’impossibilità
di scegliere i pezzi da inserire nel disco… beh, è ovvio che per me è
difficilissimo rispondere a questa domanda! Anche perché io so. So quando le
canzoni sono state scritte, ovviamente, e il perché. Quindi non riesco ad
esprimermi! Però posso dirti che, quelle che mi hanno più sorpreso dopo il
lavoro di arrangiamento, sono state Indietro
ed E mi. La prima, per come è cambiata
nel corso del lavoro e per come me ne sono reinnamorata a disco finito, tanto
da decidere di inserirla in una posizione per me strategica: l’ultimo brano di
un cd è importante quanto e forse più del primo. Invece E mi… quando ho ascoltato i violoncelli che Greg Heffernan ha deciso di regalare a questa canzone, mi è davvero
venuto da piangere. E ho difficoltà ad ascoltarla ancora adesso, a distanza di
tempo.
Questo è il primo album. Oltre che a te stessa, per l’impegno che
immagino ci avrai messo, senti di dover dire grazie a qualcuno per la buona
riuscita di questo progetto?
Il booklet del disco si apre con
i ringraziamenti. Prima di tutto ho voluto ringraziare tutte le piccole cose
(dalle merendine alla neve) e le persone che hanno reso possibile questo
progetto, che hanno creduto incondizionatamente in me (e qui è d’obbligo citare
Mauro Di Pierro, Marco Valente e Red Ronnie) e che hanno influito sulla
mia vita musicale e non (i miei amici, i miei insegnanti). Per la buona
riuscita di questo progetto in particolare ringrazio tantissimo Antonello,
l’arrangiatore di cui ti dicevo prima, che ha capito quello che io avevo in
mente e quello che le canzoni volevano dire e l’ha ricreato attraverso la sua
sensibilità e poi tutti i fantastici musicisti che hanno suonato per me,
regalandomi un po’ della loro arte e del loro mondo. La pagina dei
ringraziamenti si chiude con una dedica a Lucy, Dino e Marco. E non mi
stancherò mai di dire che i miei genitori e il mio produttore tutto fare,
insieme ad ogni singola persona che compra il disco e che viene ai concerti,
fermandosi anche solo per un momento ad ascoltare la mia musica… beh, loro ne
sono il motivo.