Qual è ..." />
Alberto Patrucco
Qual è l’idea di base di “Chi non la pensa come noi” e perché hai
sentito la necessità di realizzarlo?Chi non la pensa come lui
Alberto Patrucco, con l’energia che lo contraddistingue e spinto
dall’entusiasmo di Sergio Secondiano Sacchi, ha scelto di debuttare in ambito discografico
servendosi della musica e della scrittura affilata di Geoges Brassens. Schietto
come sempre, in questo incontro ci ha
parlato della realizzazione e dei retroscena di Chi non la pensa come noi, un album senza peli sulla lingua, pieno
di motivi d’interesse e lontano dalla scialba consuetudine.
Non avvertivo la necessità di
fare un disco. Sentivo la voglia di unire musica e parola, e Brassens, sotto questo punto di vista,
è un riferimento assoluto. Questa non è un’operazione dettata dalle strategie
del mercato discografico, è una cosa venuta fuori dal sentimento. Sento la
mancanza di un certo modo di intendere l’emozione.
La figura di Brassens, negli ultimi tempi, è stata sottostimata?
È un autore saccheggiato da tanti.
C’è stato un periodo dove l’interesse intorno a lui era molto alto, ma poi è
andato scemando. Non so cosa si sia meritato o cosa no, ma sicuramente meritano
le sue opere: le sue canzoni, per esempio, toccano tutti i cinque sensi, arco
riflesso compreso.
Su quale aspetto della sua arte ti sei voluto soffermare?
La proposta di questo cd è una
lettura musicale che va oltre l’attenzione sul testo, un aspetto spesso
lasciato in secondo piano.
Cosa è che rende Brassens ancora attuale?
Oltre all’ironia che accompagna
il suo pensiero, c’è il modo particolare di concepire la parola, fatto di
linguaggio e gergo messo insieme, e anche l’impasto musicale con il quale
argomenta la canzone. Ha scritto delle pagine di musica straordinarie, fatte di
armonia e melodia che stanno in piedi da sole e vanno al di là del testo. Brassens
è qualcosa che non muore mai.
Cos’è che più ti ha colpito in lui?
Il fatto di non prendersi sul
serio: la capacità di “spaccare” il discorso con una battuta di gusto straordinario.
Poi la perfezione della scrittura, e il modo di far arrivare il pensiero in maniera
semplice e diretta. Queste capacità mi hanno sempre intrigato e affascinato,
fin dalla tenera età quando ascoltavo mio zio di Quebec intonare le sue
musiche.
Ti rispecchi nel suo pensiero e nelle sue idee?
Moltissimo, e realizzare “Chi non
la pensa come noi” è stata una gioia.
Come è stata fatta la scelta dei brani? C’è uno in particolare che
riassume il senso di questo disco?
L’obiettivo era di tradurre e di
mettere mano a quello che non era stato toccato, escludendo tutto ciò che era già
stato tradotto. Quindi ho scelto i brani che mi emozionavano, e la canzone che
più mi rende felice è Supplica per essere
sepolto in spiaggia, che ha comportato una fatica enorme renderla in
italiano.
Per le traduzioni ti sei affidato a Sergio Secondiano Sacchi, come è nata
la vostra collaborazione?
Abbiamo iniziato a parlare della
possibilità di fare questo disco da un incontro al Tenco 2005. Lì è uscita la
mia passione di Brassens; Sergio
Secondiano Sacchi mi ha invogliato a intraprendere questa avventura. Io non
mi sarei mai permesso di cimentarmi in un repertorio del genere, poi è
intervenuto lui e siamo partiti insieme
Nel disco ci sono diversi ospiti: qual è stato quello decisivo dal
punto di vista prettamente musicale?
Ci tengo a citare soprattutto Daniele Caldarini con il quale facevo
musica già trent’anni fa, poi ho smesso per dedicarmi ad altro. Quando l’ho
chiamato per questo lavoro abbiamo ripreso i contatti da dove l’avevamo
lasciati; lui ha curato gli arrangiamenti. Poi vorrei sottolineare la
partecipazione di Mauro Pagani che è
stata strepitosa, senza tralasciare l’apporto di Mimmo Locasciulli e di Giorgio
Conte. Durante le registrazioni non c’è mai stato calcolo, c’è stata solo
la bellezza e il piacere di suonare insieme, come tra amici.
Chi sono quelli che non la pensano come noi?
Partendo dal presupposto che oggigiorno,
simpaticamente, ci stiamo un po’ tutti sulle palle e non ci sopportiamo, chi
non la pensa come noi è il babbeo. In altre parole lasciamo al prossimo la
facoltà di non pensarla come noi e ricambiamo della stessa moneta.
L’etichetta di “comico di televisivo” pensi che possa essere un
ostacolo per la credibilità della tua carriera in ambito musicale?
Potrebbe essere un ostacolo,
anche se io mi auguri di no. Ma come ti dicevo prima in questo progetto non ci
sono stati calcoli, neppure sotto questo aspetto. Non a caso mi sono un po’
tolto dal carrozzone di questi programmi d’intrattenimento comico, che hanno
sempre la stessa tinta, lo stesso tono e la stessa misura, proprio per cercare
di intraprendere nuove strade.
Hai recentemente dichiarato che il comico «deve abbattere, non deve
preoccuparsi di costruire», il musicista che dovere ha verso il proprio
pubblico?
Per me la comicità è fatta di
badile e di piccone, mentre il musicista ha il pregio di abbattere con poesia.
Non pensi che la musica – considerata oggi una forma d’arte usa e getta
– sia il veicolo peggiore per far arrivare al pubblico la propria idea, il
proprio pensiero?
Sono dell’idea che l’importante è
il contenuto e non l’involucro. Bisogna vedere come si riempie il contenitore,
non c’è un mezzo più opportuno. Oggi siamo pieni di tecnologia straordinaria, al
cospetto di un valore musicale basso; mentre alla mia epoca, quando ascoltavo
la musica, avevo il grammofono o dei mezzi di fortuna, ma c’era ottima qualità,
non so: Jimi Hendrix.
Qual è la prima cosa che pretendi da te stesso quando sei davanti a un
pubblico che ti ascolta?
Di ascoltarmi più che di essere
ascoltato. Suggerire un modo di comunicare diverso. La comicità è emozione,
mentre oggi prevale la programmazione, bisogna ridere ogni dieci secondi, quindi
apparire e non essere: ma questa è la politica dei fantasmi.
Questo progetto avrà la possibilità di essere proposto anche dal vivo,
magari arricchito, ampliato?
Sì, con uno spettacolo tra musica
di Brassens e le mie parole comiche. È una cosa che mi intriga: argomenti
trattati mezzo secolo fa, ma ancora attualissimi. L’idea è quella di suggerire
uno spettacolo di teatro-canzone; una “musica chiacchierata”.
Ci sarà la possibilità di un disco d’inediti?
Non è da escludere, ma sono per non
presidiare gli spazi con cose che farebbero bene a stare nel cassetto, di
pattume in giro ce n’è abbastanza, quindi meglio stare attenti su queste cose.
(07/01/2008)Altri articoli di Roberto Paviglianiti