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Carlo Poddighe

Cogito ergo sum. E quindi suono.

    Carlo Poddighe è un cantante, chitarrista e polistrumentista di Brescia, il cui nome sta cominciando a circolare sempre più frequentemente tra gli addetti ai lavori della musica italiana ma anche tra gli appassionati di musica italiani ed esteri, entusiasmati dai suoi video che da qualche mese a questa parte hanno iniziato ad apparire sempre più spesso sui social, legati al suo nuovo progetto ‘Carlo Poddighe SUPEREGO’.
Un format che lo vede impegnato, sul palco e in studio, in versione one-man band, con chitarra, tastiere e batteria. In realtà i più attenti e i bresciani come lui ben conoscono il suo valore come musicista, avendo costituito e militato in diverse formazioni bresciane.  Da alcuni anni è il chitarrista nonché arrangiatore principe di Omar Pedrini, che grazie a Carlo Poddighe e nonostante i suoi problemi fisici, si sta rilanciando con entusiasmo. Partiamo però proprio dal clamoroso risconto che Carlo Poddighe – che come dicevamo sta avendo in Italia e all’estero grazie ai suoi video - nei quali alterna l’esecuzione di cover di brani più o meno famosi, italiani e internazionali, a sue composizioni. Stiamo esagerando? Non proprio, e a riprova ecco qui un video che può aiutare ancora meglio ad entrare nel mondo di Carlo ‘SuperEgo’ Poddighe. Se poi volete vederlo dal vivo andate sui suoi social e cercate la data a voi più vicina. Per esempio il 09 giugno è Milano, al Legend (clicca qui per l’evento). Ma lasciamo che sia lui a raccontarci come nasce tutto questo.
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Carlo, ci vuoi raccontare come è nato questo progetto che ti vede sempre più protagonista?
Parto da una data precisa, l’11 ottobre dello scorso anno. È quello il momento in cui questo mio modo di proporre musica live ha avuto una forte eco, è quando ho caricato il video di Strawberry field forever dei Beatles (vedi il video). Lasciami dire che fu un successo immediato, che come si dice in gergo, ha fatto il botto, registrando 1.600.000 visualizzazioni! Un paio di giorni dopo, mentre stavo seguendo lo sviluppo di questo video che era diventato virale, mi arriva una notifica: Al Di Meola mi aveva lasciato un commento! I love you! Un bell’attestato di fiducia da parte di un mostro sacro come lui. Poi ho avuto altri personaggi già conosciuti nel settore che mi hanno seguito, tipo Federico Zampaglione che mi ha scritto chiedendomi di conoscermi. Lui che scrive a me, Al di Meola che mi fa i complimenti… una cosa stranissima che non mi sarei mai aspettato!

Il fatto che tu suoni chitarra, batteria, tastiere e altri ammennicoli e contemporaneamente canti certamente colpisce. Al di là dell’indubbio effetto scenico, mette anche in luce la tua straordinaria abilità nel padroneggiare gli strumenti, cosa che noi bresciani già sapevamo perché da sempre ti abbiamo considerato un musicista fortissimo. E poi, se uno chiude gli occhi, fatica a credere che sia uno solo a suonare, a creare quel mood sonoro.
Non ho inventato nulla 0vviamente, di one-man-band ce ne sono altri, ma credo che il merito di questo “successo” sia stato l’aver rinnovato, reinterpretato questa formula rendendola originale e soprattutto personale. E calcola che sinceramente è una ‘categoria’ che non ho mai amato, a parte Lino Banfi nel film ‘Grandi Magazzini’ o ‘Totó - Le Mokó’, quelli li ho sempre visti con simpatia! Ho sempre considerato l’one-man-band un fenomeno circense, un po’ pericoloso, perché cadere nell’eccesso è un rischio sempre dietro l’angolo. Nel momento in cui ho iniziato a fare questa cosa, casualmente - perché le cose che funzionano nascono sempre per caso - ho visto che mi divertivo, che funzionava, che la musica girava, che riuscivo ad esprimermi e ne vedevo il potenziale. Allora ho iniziato a fare video in maniera un po’ più continuativa e tre anni fa ho postato il primo. In contemporanea è uscito il video virale di un altro americano che si chiama Steel Beans, molto bravo, che però fa una cosa un po’ più garage, un po’ più rock, con un set di batteria più ampio. In quel momento ho un po’ smesso, temevo che la gente pensasse che avessi copiato da lui. Ho continuato la mia attività di turnista, sono andato avanti a suonare con Omar Pedrini, facendo sempre il mio lavoro di musicista, con The Matt Project e con tutti i progetti che ho aperti. Poi a metà ottobre scorso mi sono detto: io ci provo, buttiamo fuori un po’ di video e vediamo cosa succede. Al secondo video come ti raccontavo prima, ho avuto questo botto pazzesco. Tra l’entusiasmo nel vedere che c’era il riscontro del pubblico e i gestori che mi chiamavano numerosi da tutta Italia e anche da qualche città in Europa, ho pensato di farlo diventare un mezzo per esprimermi, come uno che ha in mano una bellissima auto e decide di andare a fare un bel giro.

Che peso ha ora questo progetto nell’ambito della tua attività di musicista?
Sta diventando la cosa principale. È la prima volta che ho progetto a nome mio e del quale sono completamente convinto. Se vuoi fare il cantautore devi essere bravo a scrivere i testi, devi avere dei messaggi da lanciare e io non sento di avere questa responsabilità. Fare il cantautore in Italia ti impone di lasciare un po’ in disparte la musica per evidenziare il testo. A me invece la parola un po’ mi strozza, io di base sono un musicista, con questo progetto la prima cosa che arriva è la musica e finalmente ho trovato una chiave per arrivare alla gente. Questo mi ha stimolato a scrivere delle canzoni appositamente per lo spettacolo, non per velleità artistiche ma per suonarle dal vivo, come se fossero uno strumento funzionale al live.

Parliamo quindi del live, che è fatto da un mix di tue canzoni e di cover: in che misura le mescoli?
Adesso siamo quasi al fifty-fifty tra cover e mie canzoni, 8-9 pezzi miei su 19 che ho in scaletta.

Diventa quindi ancora più interessante il progetto, non è una pura esecuzione di cover da parte tua, pur con l’anomalia di suonare tutti gli strumenti…
Nel momento in cui ho visto che il progetto aveva delle potenzialità mi sono dato come punto di partenza quello di fare tabula rasa di ciò che avevo prodotto prima e lavorare su qualcosa di nuovo. Ho lasciato perdere le cose vecchie per dedicarmi a brani ad hoc per sviluppare sempre meglio questo progetto. Il recente disco Carlo Poddighe SUPERGO è stato realizzato proprio per avere un supporto da vendere durante i concerti, per avere un biglietto da visita, sapere che qualcuno può portarsi a casa un pezzetto di me. Sono canzoni che suono abitualmente in concerto. È un album con canzoni scritte in poche settimane e registrato live nel mio studio in ancora meno tempo; avevo urgenza di averlo disponibile rapidamente per il tour che ho fatto in Francia ed in Belgio nei primi mesi di quest’anno.

 

Come è andato quel primo tour di inizio anno?
Molto bene. Tre date, una a Nancy, con una buona presenza di pubblico, le altre due invece sold out. Una in un centro culturale enorme, molto bello a Lesquin, vicino a Lille; in quel centro c’è una scuola di musica, fanno danza, arti varie, sono stato chiamato dal direttore. La terza invece in Belgio, una sorta di concerto ‘privato’ a Braives, un paese vicino a Liegi, invitato da un musicista locale. Lì ho avuto parecchi contatti perché ho incontrato diversi musicisti. Ho notato che in Belgio c’è vivacità, una data che mi ha consentito di organizzare in seguito un altro tour, ancora più ampio. Questa estate andrò ancora in Francia, partirò dal sud per arrivare in Bretagna; poi farò Germania e Finlandia, ho delle date già fissate. Ad aprile maggio ho suonato molto anche in Italia, oltre che in Lombardia nelle Marche, in Veneto e pochi giorni fa ho partecipato al Concertozzo di Elio e Le Storie Tese nello stadio di Monza, mentre come ricordavi tu il 9 giugno suono a Milano, in uno dei locali rock per eccellenza del capoluogo lombardo, il Legend (clicca qui per le info) e poi, tra una data e l’altra il 12 luglio farò anche Pistoia Blues. Senza contare i nuovi contatti che mi arrivano ogni giorno che mi portano a dire che avrò un’estate molto piena...

 

Tutto questo impegno organizzativo lo segui tu?
Certo, faccio come Edoardo Bennato, è la mia fonte di ispirazione. Dal management, ai trasferimenti (guido io la mia auto!) al concerto vero e proprio. Mi piace molto questa totale libertà d’azione da tutti i punti di vista, sia musicali, sia manageriali, ho il pieno e totale controllo di tutte le decisioni. Questo mi responsabilizza, oggi mi sento di avere un adeguato bagaglio di esperienza che mi consente di fare scelte di un certo tipo, mi sento pronto. Vent’anni fa una cosa del genere non sarei stato in grado di gestirla.

A 47 anni del resto sei nel pieno della maturità
Direi di sì. Sono in una fase della vita nella quale ho tutto al massimo livello. Poi l’Italia notoriamente non è un paese per giovani!

Per quanto riguarda le cover in base a cosa le scegli? Passi da Pigro di Ivan Graziani a Old man di Neil Young, dalla splendida versione di Whola Lotta Love dei Led Zeppelin (vedi video) ad un pezzo raffinatissimo dei Pink Floyd o di David Bowie (vedi il video di Space Oddity) per poi lanciarti splenditamente nei territori più arditi del Battisti "bianco" con Cosa succederà alla ragazza...
Di cover in repertorio ne ho tante, perché ho fatto sempre molti concerti, ho ascoltato tantissima musica e ogni volta che intercetto qualcosa che mi piace ho voglia di suonarlo. Mi spinge la curiosità di vedere se riesco ad immergermi in mondi a volte alieni. Ho avuto innamoramenti con la musica africana, con la musica francese, tedesca, di tutti i generi. Ogni volta che assaggio qualcosa di nuovo ho voglia di provare a replicare quel tipo di musica. A volte mi trattiene il problema linguistico. Però questa mia curiosità mi ha aiutato molto e adesso mi consente anche di riempire di contributi la mia pagina di Facebook che è stata decisiva per lanciarmi. È un giardino che devo continuare a tenere coltivato. Per fortuna lo faccio senza fatica perché ho questo bagaglio che mi consente di tirar fuori dal cilindro qualche canzone magari meno famosa, alternandola a qualche classico che sicuramente aiuta, soprattutto dei Beatles dai quali attingo sempre molto volentieri.

E che esegui molto bene anche a livello vocale, sono canzoni nelle tue corde.
Sono le prime cose che ho ascoltato, i Beatles e i Rolling Stones, sono stati il mio esordio musicale.

Come si svolge il concerto, hai una scaletta, accetti anche le richieste?
Preparo una scaletta per comodità e per rendere fluido il concerto, all’americana. Lo show deve avere un suo ritmo, non ci devono essere tempi morti, così anche l’ascoltatore ha la percezione di trovarsi di fronte qualcosa di strutturato, serio e non raffazzonato. Dentro questo range di cose organizzate io mi prendo la libertà di cambiare, dovendo fare i conti solo con me stesso. Come forma mentis ho bisogno però di avere uno schema per il concerto, un tema, visto che lo spettacolo è già talmente libero. Troppa libertà nuoce.

 

Il format SUPEREGO one-man-band sta diventando, come hai detto tu stesso, la ragione principale del tuo essere musicista. Riesci a gestire le altre attività che porti avanti, i concerti con Omar ad esempio?
Per quanto riguarda Omar Pedrini lui per fortuna, o sfortuna, visti i limiti fisici dovuti al suo cuore matto, è in una fase in cui sta valutando se lasciare il rock e puntare più sugli acustici e sui readings. Tra l’altro la OP band è un team affiatato, ci sono altri musicisti che lavorano con lui come Davide Apollo alla voce e il chitarrista Simone Zoni che mi può sostituire. Le date con la band non sono molte, una mezza dozzina circa nel periodo estivo. È una situazione comunque gestibile, io comunico le date in cui non ci sono e ci organizziamo. Con la band di cui faccio parte da anni, The Matt Project (con Jury Magliolo e Matteo Breoni), gioco in casa, siamo in famiglia per cui le decisioni sono sempre tranquille (qui nella foto in alto un live del 2018).

Due parole sul disco che hai appena realizzato, che si intitola “Carlo Poddighe SUPEREGO” come il tuo progetto, raccontaci qualcosa in più.
Non è il mio primo album in assoluto, tecnicamente è il secondo; il primo era “Canzoni d’asporto”, uscito nel 2021 e che si può trovare su Spotify e sui vari portali. Questo però è il mio primo album come Carlo Poddighe SUPEREGO, che è il nome del progetto, un contenitore che raccoglie le forze maggiori che si trovano nella psiche, quelle inaspettate!

 

Il nome delinea un progetto eclatante, non temi sia considerato un po’ presuntuoso magari da chi non ti conosce e non coglie anche l’ironia che insita nel tuo modo di essere?
In effetti è un po' un gioco, come il titolo che hai scelto per questa intervista, "Cogito ergo sum", quel "Penso quindi sono" che mi rappresenta. Eccomi qui davanti al pubblico, sono un musicista, sono consapevole dei mie mezzi e quindi s(u)ono. Perchè nel momento in cui uno sale sul palco in maniera determinata e suona tre strumenti, si dichiara già in maniera lampante! Aggiungici che è un nome internazionale, legato però anche al Latino, alla scienza, mi piaceva in tutte le varie declinazioni e in tutti i collegamenti che il nome genera. La parola SUPEREGO può ricordare anche un supereroe, ha a che fare con la psicologia. Insomma, ha tante chiavi di lettura che lo rendono particolarmente efficace, senza contare che è stato poco utilizzato, aspetto banale ma non del tutto trascurabile.

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