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Michele Gazich

Come Giona

Conversare con Michele Gazich è sempre un piacere. Persona tanto colta e squisita quanto estremamente essenziale, il polistrumentista bresciano ha la capacità di focalizzare con rapidità ed efficacia ogni aspetto del suo percorso, non disdegnando attenzione per ciò che lo circonda. L’uscita de La nave dei folli, suo primo lavoro in cui non è collaboratore ma autore a tutto tondo, ci dà l’occasione per scambiare qualche riflessione su questa sua fatica discografica e sul suo modo di intendere l’esperienza artistica.  


A mio avviso “La nave dei folli” inizia, idealmente, dove finiva la canzone La sposa del diavolo dell’album “Segreti trasparenti” di Massimo Bubola che tu hai coprodotto. E’ possibile una sorta di transfert, almeno sonoro, d’atmosfera, tra quella canzone ed i brani incisi su questo tuo primo lavoro solista?
Oltre ad essere coproduttore dell’album “Segreti Trasparenti”,  sono anche coautore della musica de La Sposa del Diavolo. Nella registrazione della canzone, inoltre, suono il piano e ho curato l’arrangiamento di viole e violini, tutti sovraincisi da me personalmente. Infine ho coinvolto la  mia amica e concittadina Silvia Butturini al clarinetto nella parte solistica: “il clarinetto nel registro basso, poco comunemente utilizzato nel rock, ha un suono preromantico, soprannaturale che, fluttuando sul tappeto srotolato dagli archi, conferisce alla ballata un carattere ancor più inquietante, dolcemente insinuante, demoniaco appunto”, come dissi a Guido Giazzi a suo tempo (la citazione è tratta da un’intervista a Buscadero, n.254, Febbraio 2004, ndr). C’è molto anche di me, insomma, in quella canzone a cui, non a caso, ti riferisci. Ho sempre cercato l’impatto degli strumenti classici sulla grammatica rock, a partire dal mio violino. È significativo, dunque, e illuminante per i lettori il fatto che tu ricordi La Sposa del diavolo, introducendo il discorso su “La Nave dei Folli”

Questo è il primo album a nome Michele Gazich ma a cantare è sempre Luciana Vaona. Quali le motivazioni di questa scelta “originale” che vede l’autore in posizione defilata, almeno dal punto di vista vocale?
L’Italia è il paese degli improvvisatori: non cantanti che fanno i cantanti, critici d’arte che fanno i politici, eccetera…. Chi sa fare sedie di solito non sa fare buone scarpe: meglio riconoscere i propri limiti. Luciana Vaona è l’interprete ideale per queste canzoni, che sono state scritte pensando alla sua voce. Tanti mi avevano invitato a cantarmele da solo per avere maggiore “visibilità”, ma – siamo seri! – lei le canta meglio. Il mio non è il mondo della tv e del presenzialismo forzato: il mio è il mondo del bello. Con Luciana alla voce, aumenta la bellezza di questo lavoro.

Parlare di poeti come Ezra Pound e di poesia come elemento “vitale” non ti pare desueto e fuori fuoco rispetto allo svolgersi della vita e delle relazioni del quotidiano?
Il ritornello di questa canzone è la traduzione di due versi di Ezra Pound: “Quello che sai amare non ti sarà strappato”. La poesia, quella vera, non quella fatta per i circoli del the, è carne, è vita. L’Amore è forse desueto?

La nave dei folli è uno degli ambiti in cui, nel medioevo ed ben oltre, venivano posti i matti insieme a vari elementi ritenuti come disturbatori della società. Oggi questi luoghi non esistono più (ameno in forma nautica...) ma, ugualmente, l’emarginanzione sta tornando ad essere uno dei tratti caratteristici della nostra realtà. C’è una ragione pe questo trend e come l’arte può aiutare a costruire ponti ed abbattere mura?
L’emarginazione, purtroppo, è uno dei tratti caratteristici dell’Età Moderna, non solo di questi tempi. Al riguardo inviterei i nostri lettori a leggere “La Storia della Follia nell’Età Moderna” di Michel Foucault, dove tutto è spiegato in maniera assai più efficace di come potrei fare io in questo contesto. L’arte e gli idioti, che parlano attraverso il discorso artistico, hanno il compito di urlare contro questa emarginazione, di denunciarla, gettando ponti e parole, che vengono spesso bruciati, abbattendo mura che, purtroppo, vediamo ricostruite sempre più solidamente. Ma questo non deve impedirci di urlare, di avere fede nella nostra denuncia. Pier Paolo Pasolini aveva previsto tutto questo lucidamente, a metà anni settanta, nei suoi “Scritti Corsari”. Era disperato, ma questo non gli impedì di urlare la sua denuncia contro l’omologazione culturale e l’emarginazione del diverso nelle società neocapitaliste.

Giona è un altro elemento di contraddizione forte nel racconto biblico. La canzone Come Giona sembra che ci inviti a prendere posizione, a parlare, a fare, a lottare. E’ così, oppure l’intendimento è altro? Ed inoltre, esistono ancora dei Giona che parlano (o dovrebbero farlo) indicandoci il giusto orientamento necessario a salvarci l’anima?
Pasolini era certamente un Giona. Di Giona, inoltre, mi affascina la tensione forte nel cambiare vita, il suo emergere dalle acque totalmente mutato nel cuore: “un’altra vita, stessa faccia”, come scrivo nella mia canzone.

Se quelli che viviamo sono per te tempi da guerra civile, che cosa è necessario fare/creare per arrivare alla pace? Per riportare una maggiore armonia in noi stessi ed in chi ci circonda?
Non vorrei essere predicatorio e pretesco: prendi queste parole con il loro significato profondo, pulendo da esse l’usura di un abuso millenario. Sarebbe necessario tornare Idioti, avere un cuore puro. Et eramus idiotae et subditi omnibus: “eravamo idioti e sottoposti a tutti”, come scrive San Francesco nel suo testamento, parlando di sé e dei suoi frati. Abbandoniamo gli atteggiamenti antagonisti, è ora di farlo, perché non abbiamo alternative.

Hai scelto di non usare la strumentazione classica per un album di canzoni escludendo batteria, chitarre e tastiere affidandoti al pianoforte, al flauto, violino, viola e basso. Con il senno di poi pensi che il risultato sia stato soddsfacente oppure un altro colore musicale ti avrebbe potuto dare, magari su qualche pezzo, un risultato diverso/migliore?
Ho elaborato questo progetto nel 2003, a livello ideativo, e ci ho lavorato sistematicamente dal 2006 al 2008. Ho avuto molti “senni di poi”. In una fase iniziale ho anche lavorato con organici diversi, che includevano anche chitarra e batteria. Ma ho deciso di avere il coraggio di essere originale e ciò che ho pubblicato, infine, è frutto di una scelta ponderata, di cui mi prendo tutta la responsabilità, ma che non sta a me, ovviamente, giudicare quanto soddisfacente sia. Mi piace, piuttosto, ricordare tutti i musicisti che hanno contribuito alla realizzazione de “La Nave dei Folli” e cercato a fondo in se stessi prima di suonare:  la già menzionata Luciana Vaona alla voce, Beppe Donadio al piano, Fabrizio Carletto al basso ed Elena Ambrogio al flauto traverso.

Quali corde emotive l’ascolto di questo album potrebbe/dovrebbe stimolare in chi già ti conosce oppure ti incontra, artisticamente, per la prima volta? 
Ho quarant’anni: ho già vissuto la maggior parte della mia vita. Non ho tempo né voglia per scherzare. In questo album, come dicevo, ci sono carne e sangue, c’è amore e c’è vita. C’è ciò che io amo e per cui vivo.

Nella vita appari come una persona normalissima, anche molto sfuggente, non amante di ribalte o di essere al centro dell’attenzione. Ma sul palco ti trasformi ed entri in una sorta di trance che ti lega al tuo violino in maniera quasi fisica. Dove sta, allora, il confine tra il sig. Gazich ed il maestro Gazich? 
Penso, in realtà, che ci sia forte continuità tra il Gazich sul palco e quello fuori dal palco. Solo le modalità di comunicazione sono diverse: forse più espressionista quella sul palco. Io sono un artista, non ho mai fatto l’artista.

Sei molto apprezzato in un certo giro di cantautorato U.S.A. di qualità (Michelle Schocked, Mark Olson, Victoria Williams, Mary Gauthier, Eric Andersen...) tanto che hai già fatto oltre duecento concerti con questi artisti ed altri potranno venire. Quali le differenze che hai notato tra quel mondo monlto professionistico e quello del cantautorato/discografica nostrano?
La mia amica Michelle Shocked diceva che “la musica è una cosa troppo importante per lasciarla fare ai professionisti”: è la chiave di tutto. Gli artisti che mi hai menzionato sono professionisti che tuttavia vivono il loro essere professionisti con la gioia e lo spirito d’avventura che di solito attribuiamo ai non professionisti. In Italia c’è più tristezza, clientelismo, opportunismo, c’è tante volte assenza di gioia nel fare musica.

Attualmente che genere di musica ascolti e qual’è l’ultimo libro che hai letto?
Nella mia borsa oggi ho: “Sail Away”, album capolavoro di Randy Newman, “The Yellow Princess” di John Fahey e “Stabat Mater” di Pergolesi, per quanto riguarda i dischi. “Scritti Corsari” di Pier Paolo Pasolini e “Minima Moralia” di Theodor Adorno per quanto riguarda i libri. Grazie per le tue domande radicali, dunque feconde.

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