Giua
Così, a bruciapelo chi è Giua?
Giua, donna, cantautrice e pittrice. Ama quello che fa, ha il privilegio di poterlo fare e di poter collaborare con amici musicisti straordinari. Dipingere, per lei, è un altro modo di suonare.
Parliamo subito del tuo nuovo disco ‘E improvvisamente’: almeno tre buone ragioni per ascoltarlo?
Che domanda difficile Guido! Praticamente mi chiedi di auto-recensirmi! Allora, vediamo...
La prima: ‘E improvvisamente’ è un disco eclettico, non ripetitivo, che si muove tra le sonorità della musica d'autore verso il folk, la musica jazz e la tradizione popolare. Un viaggio da fare con calma, passando attraverso temi, sensazioni e pensieri diversi.
La seconda: è un disco ricco di ospiti, di voci e di strumenti, che allargano i contorni delle canzoni spalancando finestre: la voce di Zibba e di Pilar, la trumpet voice di Victoria Vox, le chitarre di Armando Corsi, l'impronta inconfondibile dei Liguriani, gli arrangiamenti di Stefano Cabrera...
La terza: è un disco fatto con amore.
Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
I miei primi ricordi sono legati a mio padre: sono immagini e suoni di lui che canta dopo cena per gli amici o sul divano mentre gli gironzolo intorno. Sono ricordi bellissimi e allegri.
Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una cantautrice?
Mi ci sono ritrovata! Ho iniziato fin da piccola a scrivere canzoni, mio padre ha avuto la pazienza di insegnarmi a suonare la chitarra e poi negli anni ho continuato a scrivere e suonare perché era la cosa che mi piaceva di più fare. Poi ho conosciuto Armando Corsi, ho iniziato a studiare con lui, a fare concerti con lui, e lì ho intuito che avrei potuto trasformare la mia passione per la musica in qualcosa di diverso, di più complesso. Ed è diventato il mio lavoro. Potrei dirti che è una "vocazione".
Ma ti va bene la definizione cantautrice o preferisci cantatessa, folksinger o altro?
Cantautrice va benissimo!
Cos’è per te una canzone?
Una canzone è un'occasione, è un'indagine personale che va verso l'universale, uno strumento potente per arrivare al cuore delle persone, per lasciare un'immagine, una domanda, anche solo una risata. È condivisione.
Come lavori sul rapporto testi/musica? Vengono prima le parole o le note?
Non seguo una regola, alle volte è una melodia a suggerirmi un testo, alle volte un testo a suggerirmi una melodia. Ogni spunto è buono per scrivere una canzone!
Visto che nel disco ci sono pure atmosfere jazzate, quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che tu associ alla musica jazz?
La libertà innanzitutto; l'amore nella sua accezione più ampia, la ricerca, la sperimentazione e l'allegria.
Tra i brani che hai composto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionata?
Difficile sceglierne uno... Forse la canzone con cui apro il disco L'albero di manghi, una canzone sul valore delle promesse, quelle che si fanno e che spesso non si mantengono; sulle promesse che fanno i padri ai figli, e su come possano "mettere i piedi" o toglierli. Una canzone sulle promesse e sulla speranza.
E tra i dischi che hai ascoltato, nella vita, quale porteresti sull'isola deserta?
Uno solo è impossibile! Porterei ‘Fina estampa’ di Caetano Veloso, i due concerti dal vivo di Ivano Fossati, quelli prodotti da Beppe Quirici; porterei il live di Londra di Leonard Cohen, ‘Blue’ di Joni Mitchel, ‘Estrella Azul’ di Mercedes Sosa... Rinuncerai ad altro, ma porterei un sacco di dischi!
Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?
Nella musica sono stati sicuramente mio padre Gianfranco Pierantoni Giua, Armando Corsi e Beppe Quirici, e tutto quello che queste persone si portano (o portavano) dietro come ascolti, amici, musicisti e personale rielaborazione. Nella cultura i poeti, i pittori e i pensatori del Novecento; facendo tre nomi direi Montale, Kandinskij e Freud. Nella vita il mio riferimento più grande è stata ed è mia madre, una donna forte e delicata, colta e appassionata, che mi ha fatto amare fin da piccola l'arte e l'architettura e mi ha dato gli strumenti per affinare il mio pensiero; e poi gli amici di una vita e dulcis in fundo il mio compagno, Pier Mario Giovannone, un uomo meraviglioso, poeta e chitarrista con cui ogni giorno condivido il mio tempo.
E i cantautori che ti hanno maggiormente influenzata?
Sicuramente De André, Fossati e De Gregori.
Qual è stato per te il momento più bello nella tua carriera di musicista?
Il momento più bello è proprio quello che sto vivendo adesso: mi sento "a fuoco", dentro quello che faccio, con le persone giuste.
Come vedi la situazione della musica e della cultura oggi in Italia?
Non mi sembra affatto un buon momento, ma proprio per questo tante persone sono stufe della situazione stantia e asfittica in cui viviamo e hanno voglia di cose belle. Bisogna essere molto tenaci e aver voglia di unire le forze e le idee, di trovare canali diversi per promuoverle e fare un salto verso mezzi meno conosciuti. Io sono fiduciosa!
Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
Sto preparando il tour di ‘E improvvisamente’ con la mia casa discografica, Egea Music, e a gennaio ripartirò con la tournée teatrale dello spettacolo "Quello che non ho" con Neri Marcorè, regia di Giorgio Gallione e arrangiamenti di Paolo Silvestri, uno spettacolo su Faber e Pasolini.
Nel frattempo continuerò a scrivere canzoni!
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