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Guido Harari

Una luce che rimane…

Remain in light” deve essere considerato “il” libro che condensa cinquant’anni di una splendida carriera professionale di uno dei migliori fotografi italiani: Guido Harari. Appassionato di musica fin da ragazzo, Harari ha costruito con metodica pazienza e sapienza una carriera straordinaria grazie alla quale ha potuto incontrare centinaia e centinaia di personaggi famosi, traendo da ciascuno, con i suoi scatti, una parte della loro essenza. Musicisti colti su un palco oppure nella vita privata, attori, registi, uomini delle professioni (iconici i suoi scatti all’Avvocato per antonomasia, Gianni Agnelli), della moda, della cultura, del giornalismo, della letteratura, dello sport e via dicendo. Molteplici le copertine di dischi che portano la sua firma così come molte sono le immagini entrate a far parte del paesaggio culturale del nostro tempo (come non ricordare il Giorgio Gaber con i pugni chiusi, Fabrizio De André assopito sul pavimento a fianco di un calorifero, oppure l’immagine, solare, di Gaber, Enzo Jannacci e Dario Fo, sorridenti e pieni di vita…). Harari non è solo uno stimato e bravo fotografo, ma anche gallerista, editore e curatore di libri di altre case editrici; promotore e curatore di mostre fotografiche sempre di grande suggestione e spessore culturale ed ora, alla soglia dei settant’anni di età, ha ritenuto opportuno mettere “un paletto” al proprio percorso professionale e di vita raccontando, con immagini e “storie”, una parte della sua carriera artistica (perché la fotografia è arte) e professionale. Per meglio comprendere il significato di questo libro abbiamo ritenuto che fosse necessaria una chiacchierata con l’autore e così è stato…Ringraziandolo per la disponibilità, questo il resoconto dell’intervista (inframmezzata da alcune foto prese tra le migliaia possibili...) che pubblichiamo in concomitanza con l’uscita del suo libro edito da Rizzoli Lizard.

Oltre cinquant’anni di carriera fotografica (e non solo) ed ora eccoci tra le mani una sorta, parziale, di “summa” di questi anni. Cosa ti ha spinto a decidere che era giunta l’ora “del Libro” (con la maiuscola)?
Tutto è stato innescato, qualche anno fa, da Paolo Marasca, assessore alla cultura di Ancona, che sull’onda di una mia mostra per il festival “La mia generazione” curato da Mauro Ermanno Giovanardi, si è entusiasticamente dichiarato disponibile a produrre una mia mostra antologica, dunque, non solo focalizzata sulle fotografie di musica, ma sul mio intero percorso. Dopo alcuni rinvii dovuti alla pandemia, la mostra è stata finalmente inaugurata il 1° giugno alla Mole vanvitelliana di Ancona, dove rimarrà aperta fino al 9 ottobre, per poi viaggiare in altre città. La mostra è “un progetto di Guido Harari, a cura di Denis Curti” ed è promossa dal Comune di Ancona in collaborazione con Rjma, Wall Of Sound Gallery e Maggioli Cultura. Il main sponsor è MAN Trucks and Bus Italia. Poi Simone Romani, di Rizzoli Lizard, si è appassionato al progetto e ha lanciato l’idea non di un semplice catalogo, ma di un vero e proprio libro. Ed eccoci qui. Il tempismo è perfetto, visto che quest’anno festeggio sia 50 anni di attività che i miei 70 anni di età.

Come è strutturato il libro, quali i capitoli, quale la tipologia di carta utilizzata per rendere al meglio le immagini proposte?   
Il libro conta 432 pagine, un volume prezioso e riccamente illustrato con oltre 400 immagini, tra fotografie, documenti, memorabilia. Oltre alla mia introduzione e ad un saggio critico di Denis Curti, ognuna delle nove sezioni si apre con un mio testo a cui si aggiungono, nell’ultima parte del libro, circa 200 “storie” legate ad altrettante immagini, per me le più significative o curiose. Queste le sezioni:
1 - Light My Fire. Il Big Bang di una passione, quella per la musica e per la fotografia. Copre la mia adolescenza fino al 1972, circa, e nella mostra corrisponde ad un ambiente in cui ho riprodotto in chiave idealizzata la stanza di quand’ero ragazzo, con tutta l’iconografia che mi ha ispirato: poster, fotografie, ritagli di giornale, pagine di diario, copertine di dischi, vecchie riviste musicali, libri, memorabilia, persino la macchina fotografica di mio padre.
2 - All Areas Access. Il racconto dei miei primi passi nell’ambiente della musica, le prime collaborazioni giornalistiche, le tattiche di avvicinamento delle rockstar, i reportage di tournée, il backstage: Peter Gabriel, Fabrizio De André, PFM, Frank Zappa, Gianna Nannini, Kate Bush, Jackson Browne, Simple Minds, Skin, ecc.


3 - Fronte del palco. Il palco come dimensione ideale per approfondire la melodia cinetica dei miei soggetti prima di passare alla dimensione più intima del ritratto.
4 - Woodstock ’94. La coda della cometa. Quell’esperienza segnò per me la fine dell’innocenza, o dell’illusione che qualcosa fosse rimasto del vecchio spirito utopico del festival del ‘69.
5 - See Me, Feel Me. Nuove complicità. Gli incontri ravvicinati del cuore, la scoperta di un’ipotesi di esplorazione e approfondimento esclusivi, con lunghe frequentazioni e collisioni isolate: Lou Reed e Laurie Anderson, Joni Mitchell, Bob Dylan, Leonard Cohen, Kate Bush, Bob Marley, George Harrison, Patti Smith, Tom Waits, Nick Cave, i Clash, Weather Report, ecc.
6 - Il ritratto come incontro. Oltre la musica, ritratti di personalità ed eccellenze di ogni ambito, rincorrendo i miei eclettici interessi: Josè Saramago, Zygmunt Bauman, Mikhail Baryshnikov, Richard Gere, Robert Altman, Wim Wenders, Madre Teresa, Pina Bausch, Greta Thunberg, ecc.
7 - Italians. Un progetto nato alla fine degli anni Novanta, per me tutt’ora in progress, per ‘censire’ le eccellenze italiane di ogni campo, i protagonisti della cultura e della società, a volte fotografate come se fossero delle rockstar! Da Umberto Eco a Roberto Benigni, Rita Levi Montalcini, Alda Merini, Vittorio Gassman, Ettore Sottsass, Carla Fracci, Toni Servillo, Roberto Baggio, Indro Montanelli, Gillo Dorfles, Monica Vitti, Carmelo Bene, Lina Wertmüller, ecc.


8 - Restare in luce. I fotografi. I ritratti di alcuni dei fotografi che amo di più e che ho avuto la possibilità di incontrare. Alcuni di loro mi hanno onorato della loro amicizia.
9 - Fotografare senza macchina fotografica. Questa sezione riguarda gli ultimi vent’anni che mi hanno visto impegnato tra libri, la mia galleria Wall Of Sound, il lavoro sugli archivi di altri autori, la curatela di mostre, la mia casa editrice con cataloghi e libri in tiratura limitata.
Chiude tutto un Epilogo, 'In cerca di un altrove', in cui racconto il mio presente e, spero, alcuni trampolini per il futuro, le mie ultime sperimentazioni e i reportage come antidoti alla fotografia commerciale.

Del tuo esordio fotografico che cosa ricordi in particolare e come ti eri immaginato “dopo cinquant’anni”?
Ho sostenuto la mia curiosità e alimentato la mia “scintilla” semplicemente credendo che nulla sarebbe mai finito, ma avrebbe continuato a trasformarsi in qualcos’altro, aprendo orizzonti sempre nuovi, con progetti sempre diversi, ampliando le mie competenze, oltre la semplice fotografia. Non avrei mai immaginato di aprire una galleria, di curare dei libri in ogni aspetto della creazione e produzione, di curare mostre e ora addirittura un museo, la ‘Casa dei Cantautori’ di Genova. Come canta Warren Zevon, “dormirò quando sarò morto”.

Detto dei nove grandi capitoli con cui hai diviso il lavoro, quali i criteri di scelta delle foto che hai proposto nel libro, considerando che dai tuoi scatti sono state create migliaia e migliaia di immagini?
La pandemia mi ha regalato il tempo di scandagliare il mio archivio recuperando le foto più conosciute, ma anche molte inedite, soprattutto tra quelle non legate alla musica. Le ho post prodotte cercando di aggiornarle, cioè di portare i miei sguardi di trenta o quarant’anni fa al mio sguardo di oggi, ad una sensibilità diversa, inserendole in un racconto che segue logiche diverse e che ricerca connessioni inedite tra le immagini. Nell’editing ho privilegiato personaggi che, per i motivi più disparati, sono stati significativi per me e, malgrado le 432 pagine del libro, la selezione è stata tutt’altro che esaustiva!

Quali le fotografie, di quelle pubblicate, a cui sei più legato non solo per la loro bellezza estetica ma perché, ancora oggi, rappresentano un elemento di stupore?
La bellezza di una foto non è estetica: è data semmai dalla profondità di quello che ha da esprimere, da comunicare. Il valore assoluto è la pregnanza dello storytelling per chi ne è l’autore. Se libro e mostra riusciranno a comunicare questo, sarà per me un successo. In ogni caso, quelle a cui sono più legato sono quelle di Alda Merini, Rita Levi Montalcini, Dario Fo, Josè Saramago, Ennio Morricone, Tom Waits, Fabrizio De André, Paolo Conte, Peter Gabriel. La lista è lunga! Guardandomi indietro, pare impossibile aver potuto incontrare tanti e tali (s)oggetti d’affezione.

C’è qualcosa che ancora è capace di emozionarti quando incontri un artista, un personaggio importante, una persona “qualsiasi” alla quale scatti delle fotografie?
È l’incontro stesso ad emozionare, sia che si tratti di una “celebrity” o di una persona comune. È la curiosità per il ticchettio della sua intelligenza, per il linguaggio del suo corpo, per un viso che lascia affiorare tracce di verità. Ognuno di noi ha una storia, una vita, che meriterebbe di essere raccontata. Io cerco di farlo attraverso la fotografia.

Come è cambiato (se è cambiato) nel tempo il tuo approccio alla fotografia ‘al palco’ e alla foto ritratto?
Ho sempre usato il palco come fosse il mio studio personale, fino a quando le restrizioni imposte dagli artisti hanno reso risibile questo tipo di fotografia. Il ritratto consente uno sguardo ravvicinato, un incontro che può, nel migliore dei casi, produrre complicità, attrazione, approfondimento. Quello che non è mai cambiato è la mia curiosità per l’altro, la mia “estroflessione” nei suoi confronti, che parte dal desiderio di conoscere, approfondire, possedere e poi, naturalmente, condividere. Quando questo è diventato impraticabile, mi sono dedicato ai libri, che sono diventati una forma di “fotografia senza macchina fotografica”.

La digitalizzazione ha cambiato la fotografia sia per la possibilità di scattare immagini in serie (senza timore di consumare i rullini) che per la metodologia della stampa e la possibilità di modificare illuminazione, colori etc. Quanto questa innovazione ha reso migliore dal punto di vista qualitativo il tuo lavoro?
La fotografia digitale ha velocizzato il processo creativo, lo ha liberato da lentezze e complicazioni tecniche e, soprattutto, ha regalato una qualità che la pellicola non garantiva affatto. Provate a scansionare un vecchio negativo e vedrete quanti dettagli si possono guadagnare rispetto ad una stampa analogica. Poter lavorare, con agio, anche in condizioni criticissime di luce è una delle gioie del digitale. Da parte mia ho trasferito le mie esperienze di camera oscura in Photoshop, aprendo un orizzonte infinito di scoperte e sperimentazioni.

Quando scatti una fotografia, cosa vuoi trasferire, di quella immagine, a chi la incontrerà?
Quando scatto, penso solo alle sorprese che il soggetto vorrà riservarmi, a non finire nelle trappole di un immaginario sovraffollato, a non ripetere cose già viste. Laurie Anderson mi ha definito un “kamikaze” della fotografia e forse ha ragione: pur preparandomi meticolosamente ad ogni incontro fotografico, quello che desidero di più è spostarmi ed essere spostato da una qualunque comfort zone, anche a rischio di cadere col culo per terra. Comunque, vorrei comunicare almeno un po’ di autenticità.

Un personaggio con il quale avresti voluto avere, nel tempo, una maggiore confidenza per scoprirne la personalità oltre l’immagine?
Al di là della fotografia, avrei desiderato incontrare Pierpaolo Pasolini, Amy Winehouse, Muddy Waters, Jimi Hendrix, Federico Fellini. Avrei desiderato avere più tempo con Tiziano Terzani e Zygmunt Bauman…La lista è, ovviamente, lunghissima.  

Che cosa ti auguri che venga percepito di quanto il libro andrà a raccontare a coloro che lo acquisteranno?
L’autenticità di un percorso e della passione che ha animato quasi tutti i miei progetti, e il loro carattere utopico. Senza utopia non c’è futuro.

Come ti immagini il futuro della fotografia, dell’immagine e cosa consiglieresti a un giovane che volesse intraprendere la tua professione?
Tutto è cambiato drasticamente, anche più volte, da quando ho mosso i miei primi passi. Indipendentemente da considerazioni tecniche o professionali, il mio suggerimento è di vivere appieno la propria vita e di raccontarla con onestà, passo dopo passo, senza tentazioni esibizionistiche. È una strada perennemente in salita e non esistono scorciatoie, mai. Il futuro della fotografia (quella vera, e non quella ignobile bulimia di banalità che appestano il web) è legato al futuro dell’uomo. Purtroppo, questo sembra assottigliarsi sempre di più.

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L’intervista è finita, anche se le domande avrebbero potuto essere molte di più data la vastità degli spunti dati dalle immagini pubblicate e dai racconti che le corredano. Viene spontaneo pensare, sfogliando le pagine di ‘Remain in light’, che avrei voluto essere al posto del suo autore potendo così ‘vantare’ ricordi di incontri con personaggi straordinari. Ma nella vita ho fatto altro e così…ma per fortuna Harari ha voluto condividere questi incontri con chi è appassionato di musica, di cultura, di arte rendendo possibile l’immergersi in cinquant’anni di storia appassionante. Questo è uno di quei libri in cui si percepisce - forte e chiaro - la professionalità dell’autore e la sua cura (maniacale) nei particolari. Chi ha acquistato qualcuno dei suoi ponderosi ed accurati libri (cito solo quelli su Fabrizio De André, Giorgio Gaber, Kate Bush) oppure di quelli da lui curati (‘Further up the road’, con le foto di Bruce Springsteen realizzate da Frank Stefanko, fra gli altri) conosce il senso di quanto sottolineato. Aggiungo, infine, un particolare per me fondamentale: Guido Harari, nella perizia della sua professione, è una persona che è stata capace di rimanere con i piedi, per terra, semplice, alla mano, disponibile, dimostrando che l’essere un bravo artista e grande professionista può coniugarsi con l’essere “una bella persona”. E all’ennesimo giro di pagine resta fortemente impressa, nell’immaginario di chi scrive, sia la fotografia di copertina che quella in prima pagina dove si incontra una fotografia dell’autore che viene sfumato nel raggio rosso dell’autofocus della sua macchina fotografica. Un effetto moderno che, però, ci rimanda idealmente alle suggestive immagini del grande pittore francese del ‘600 Georges de la Tour che del gioco magico delle luci è stato custode pittorico di eccelsa levatura. Remain in light, Guido… 

 

Guido Harari
Remain in light. 50 anni di fotografie e incontri

Rizzoli Lizard

432 pagine – formato 24x30 cm
Prezzo: 59,00 euro

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