Sei stato ..." />
Roberto Angelini
Sei stato a Sanremo nel 2001
con Sig. Domani e il disco omonimo. Poi hai fatto cose decisamente più pop come
Gattomatto e “Angelini”. Quindi il
tributo a Nick Drake di “Pong Moon”, il Collettivo Angelo Maj e oggi un disco
ancora fortemente cantautorale. Insomma, tanti cambi di direzione. Proviamo a
fare un po’ di ordine?Ho visto quanto basta…
Un cantautore decisamente ritrovato, Roberto Angelini, dopo
la “sbandata” di Gattomatto del 2003. Lo incontriamo in occasione dell’uscita del
nuovo disco La vista
concessa, un ritorno all’intimità
pensosa degli esordi passato attraverso un tributo a Nick Drake (“Pong Moon”,
2005) e l’esperienza con il Collettivo Angelo Maj. Il cantautore romano ci
accoglie in modo assai genuino e cordiale, dimostrando anche attraverso la
passione con cui risponde alle nostre domande di essere oggi una persona libera
da compromessi e sicura che la strada intrapresa sia proprio quella giusta.
In realtà quella del 2003 è stata una parentesi, è stata divertente e mi è
anche servita a capirmi meglio. A volte fai delle cose
molto diverse da quelle che hai sempre pensato e ti dici “io quella cosa l’ho
fatta però non è la mia strada”. Ma soprattutto per i suoni, non tanto per le
canzoni; come esperienza in generale è stata un “pò così”. C’è stato “Pong
Moon” che mi serviva, e mi è servito, per depurarmi, diciamo così (ride, ndr). E poi c’è stata l’esperienza
del Collettivo Angelo Maj, che sta
iniziando adesso a essere conosciuta fuori dalla scena romana. È un’esperienza molto
bella che mi ha permesso di continuare a sentirmi vivo, perché altrimenti
magari mi sarei chiuso in studio a non fare quasi nulla live se non alcune date
a Roma, che comunque sono fondamentali per testare i pezzi. E infatti a Roma
sono due o tre anni che suono dal vivo le canzoni presenti in questo disco, le
persone che mi seguono conoscono a memoria questi pezzi e mi vorrebbero
uccidere perché sono due anni che continuo a ripetere che l’album sarebbe
uscito entro i prossimi tre mesi. Questa lunga attesa
spero che sia ripagata, e che siano felici del disco. E poi in questi anni, insieme ai miei amici, ho
aperto uno studio di registrazione, piccolo, e anche un’etichetta. La musica per me deve essere qualcosa di quotidiano, più vicina
all’artigianato che all’imprenditoria: mi sveglio, apro la serranda dello
studio e c’è musica! Produzione, registrazione, una colonna sonora, un artista
che viene, amici, jam: questo è il mio sogno. Il mio sogno non è vendere un
disco, anche perchè è una sensazione già provata che conosco molto bene, ma è
quello di vivere quotidianamente di musica perchè solo così posso poi
migliorare e farmi venire idee di progetti e collaborazioni. In tutto questo
c’è la lavorazione delle mie canzoni, e finchè mi viene in mente qualcosa da
dire o l’ispirazione, continuerò, quando ciò non accadrà più, smetterò.
Però diciamoci la verità:
“Angelini” e Gattomatto erano
soprattutto un tentativo di arrivare al grande pubblico…
Mi sono ritrovato ad affrontare dei cambiamenti molto grossi in casa
discografica (a quel tempo la EMI, ndr)
che stava cambiando. Questi sono meccanismi che spesso alla gente non arrivano,
ma c’era aria di cambiamenti, di rivoluzione del roster della casa discografica
che cercava di capire cosa tenere e cosa no, e quindi mi hanno fatto delle
proposte del tipo “ci piace quello che scrivi, ma perchè non provi a lavorare
con questo produttore” – che era Giuliano Boursier – molto lontano da me. Però
sono abbastanza curioso per cui anche le cose lontanissime mi attirano, e ho
fatto quest’esperienza. L’ho fatta con una certa leggerezza, mi sono divertito
e sono stati un paio di anni belli; poi mi sono accorto che in realtà mi stavo
uccidendo da solo perchè quel mondo lì ti porta a vivere la musica in un’altra
maniera. O ti piace vivere la musica così e quindi sei felice, oppure soffri
perchè ti chiamano le discoteche per andare a fare alcune partecipazioni e non
riesci più a suonare dal vivo, perchè quello che tu fai è più funzionale alle
radio che ai live.
Nelle canzoni di “La vista
concessa” hai scelto di raccontarti in maniera confidenziale, sotto tutti i
punti di vista. Usi molto nei testi il racconto in prima persona. È proprio
tutta autobiografia?
Non ho scelto di farlo, fosse stato per me non l’avrei fatto perchè è
abbastanza doloroso. È come se ci fossero cinque anni di analisi dallo
psichiatra messe su un piatto a disposizione di tutti. In realtà potendo
scegliere in maniera razionale non l’avrei mai fatto. Purtroppo le canzoni
escono e vivono così, e quindi facciamo questo viaggio, e così com’è tanta la
gioia quando trovo qualcuno con cui condividerle così è doloroso quando magari
non viene capito, perchè raramente siamo profondamente noi stessi.
Giocando con le parole del titolo: cosa ti ha concesso la
vista? E cosa avresti voluto che ti risparmiasse?
Da una parte avrei
potuto desiderare mi risparmiasse tutto! È un pò come Matrix, con la pillola
blu e la pillola rossa. Da una parte posso dire “cazzo era meglio non sapere
certe cose” e continuare a essere abbastanza illuso su determinate cose;
dall’altra posso dire “bello, conosco quella cosa, l’ho vista coi miei occhi e
devo anche imparare ad andare oltre, a fare in modo che non mi condizioni”.
Questa è una considerazione che io posso riportare al mio settore, al rapporto
con le case discografiche e il fare musica. Nasce come una passione ma poi
entri in casa discografica e senti parlare di priorità, di music control, di
auditel. E dici “cosa succede qui!? Io voglio fare un fa diesis!” ma nessuno
parla di questa roba! Adesso io non ne voglio più sentire parlare! So benissimo
come funzionano queste cose per questo mi sono aperto un’etichetta, la
Fiorirari, ho imparato cosa vogliono dire le edizioni e i diritti connessi, non
mi faccio più fregare e ho le idee molto chiare per poter fare il disco come
voglio io senza dover chiedere soldi a nessuno e senza avere una sudditanza
psicologica su suoni e canzoni. Poi il disco è mio e trovo qualcuno che abbia
voglia di licenziarlo; loro, quelli di Carosello intendo, sono stati
meravigliosi.
A proposito della tua etichetta: Fiorirari è anche il nome di uno dei pezzi del tuo disco. Pare sia
una parola a cui tieni molto, come mai?
Ci ho pensato tanto. Dare un nome a un’etichetta non è semplice. Ci abbiamo
pensato tanto, tutti noi che l’abbiamo fondata. L’idea di prendere il nome
della canzone è semplice, perchè intanto l’idea di un fiore raro nel deserto
era un po’ l’idea di un genere musicale minimale, spesso acustico, con una cura
del suono e delle parole; ci poteva stare all’interno del nostro mondo l’idea
che chi facesse dischi con noi fosse un fiore raro. Dall’altro, quella canzone
è proprio il manifesto della follia di inseguire i propri sogni e andare oltre
le difficoltà che uno può avere in famiglia. È difficile seguire le proprie
passioni, e con questo disco ce l’ho un pò con questo concetto perchè mi dispiace vedere le persone tristi che
fanno cose che non gli piacciono: mi rattrista profondamente. Io mi sento un
fortunato, anche se sono molto tenace, l’ho proprio voluto fortemente e non è
mai semplice, perchè a volte i periodi sono buoni e a volte no. La cosa
importante, però, è che mi sveglio e faccio quello che ho sempre desiderato, ed
è una vita bella, dura se vuoi, ma bella. E mi dispiace incontrare amici, o
conoscenti, che non ci hanno creduto. Magari c’era quello che sapeva disegnare
benissimo ma non ha portato avanti la sua passione. Certo non si può
generalizzare perchè nella vita possono capitare mille cose che ti portano in
direzioni diverse e sei costretto a bloccare i tuoi sogni e lasciarli in
disparte. Per me la vista concessa, per tornare alla tua domanda di prima, è
proprio questo: provarci! Non pensare di doversi accontentare sempre per colpa
di qualcun altro, perchè non ha avuto altra scelta. Io non sono figlio di
discografici, non era già in questo ambiente, che mi sembrava così
irraggiungibile, eppure io come altre persone ce l’ho fatta con la passione.
Ormai la pericolosità di spendere la vita per qualcuno che poi ti licenzia è
reale, per cui tanto vale rischiare per qualcosa in cui credi. L’unica cosa che
invidio a chi fa un lavoro di cui non gli importa più di tanto è la possibilità
di staccare, e il sabato e la domenica coltiva le sue passioni, magari va a
pesca e non pensa a niente. Chi è nel campo della musica, della scrittura, non
stacca mai, è un’ossessione, però è una bella ossessione.
In Vulcano parli
della superficialità del fermarsi alle apparenze. Quanto è negativa questa
abitudine nella musica? Ci sei passato?
Nella musica ci sono molti preconcetti, a volte qualcuno ti sta antipatico
senza motivo. All’inizio magari mi stavano antipatici diversi cantanti, poi li
ho conosciuti ed erano simpaticissimi! Vulcano
è proprio un mio sfogo personale su una cosa che mi assilla da quando ho
cominciato il mio lavoro ufficiale, dal 2001, e cioè capitava che mi dicessero:
“com’è possibile che uno solare, simpatico, con il sorriso sulle labbra, così
carino com’è possibile che faccia questa musica così malinconica così triste!?”
e a me sembrava così strano che mi facessero questa domanda, con la parola
“triste” così ricorrente. A me è capitato di conoscere dei comici che poi in
realtà sono persone estremamente tristi nella vita, malinconiche, o degli
intellettuali, al pubblico, che sono dei cazzoni terribili. Quindi magari si
fanno apparire determinati atteggiamenti per diversi motivi: magari io non
voglio far pesare il mio nero a chi mi sta intorno, è un mio rapporto personale
con la mia anima, posso anche avere un delirio dentro ma me lo vivo io da solo,
non lo faccio pesare a te che mi stai davanti, poi magari trovo un amico e
poveraccio è finito! Non si può giudicare dall’aspetto, tu vedi uno sorridente
e dici “ah ma allora fa il gattomatto!”, per un periodo lo può anche fare, ma
non è detto che lo sia.
Visto il tuo “andirivieni” tra esperienze più commerciali ed altre più
concentrate sulla musica in sé, mi sembri la persona ideale a cui chiedere un
parere sui vari “X Factor” e simili. Può essere una possibilità per farsi
conoscere, sapresti indicare altre strade?
È
dura, e sicuramente il “farsi conoscere” non deve essere l’obiettivo. Non
bisogna essere ossessionati da “X Factor” o da “Amici” o da quel tipo di talent
show, tranne che se si tratti di un fenomeno da baraccone; ma quelle sono delle
cose – vorrei usare un termine un po’ pesante – ci vedo dietro un Matrix. “X
Factor” lo posso anche vedere e mi posso anche divertire, però vedo il team non
le persone, vedo i soldi che fanno con i televoti e vedo le lobby che si
accaniscono, vedo contratti manageriali con percentuali orrende per l’artista
perchè è passato da lì, vedo tutto un meccanismo di programmi televisivi che,
in quanto tali, sono mossi dall’auditel – più ascolti, più pubblicità, più
soldi, fine, solo i soldi, del resto non gliene frega un cazzo a nessuno.
Quindi se un ragazzo vuole suonare secondo me deve intanto diventare bravo, un
mostro, deve essere forte, deve essere inattaccabile per come suona, per come
scrive, e per questo ci vuole tanta gavetta. Ogni città ha un locale, forse
due, dove poter suonare le proprie cose; ci sono, anche se poi gli altri trenta
fanno cover band o tribute band – un altro virus nostrano terribile. La
situazione è chiaramente complessa, non è facile. Però non è mai stato facile.
Questo tipo di cose nella vita sono sempre state una scommessa, non è facile
nulla.
Visto che prima hai accennato al Collettivo Angelo Maj, per finire
parlacene un po’…
Il Collettivo è
un’esperienza che nasce da un posto a Roma, l’istituto Angelo Maj, che è stato
occupato più o meno quattro anni fa da un’associazione che si occupava di
aiutare delle famiglie senza casa organizzando eventi o spettacoli sfruttando
questo spazio gigantesco composto da una chiesa sconsacrata, molte stanze, è un
posto meraviglioso. È diventato uno dei punti di ritrovo più belli di Roma,
centinaia di persone andavano all’Angelo Maj, era una realtà meravigliosa. A me
è capitato che Pino Marino e Andrea Pesce, che erano dentro
all’organizzazione, mi hanno chiamato per fare un tributo a Drake ma alla fine
abbiamo pensato di fare un disco, in quattro giorni, registrando con una
modalità molto bella, molto anni settanta live nel teatro, per aiutare queste
famiglie tramite l’associazione che stava per avere l’ordine di sgombero
imminente. Abbiamo fatto il disco, il posto è stato sgombrato, ma grazie a
questo disco il Collettivo continua a mantenersi vivo e in questi due anni e
mezzo si sta trasferendo in un altro spazio. È una bella cosa perchè mescola
per esempio un trio jazz con un pianista, o cinque cantautori con esperienze
diverse e questo ha attirato la curiosità di molte persone, abbiamo fatto una
serata all’Auditorium molto coinvolgente per esempio. C’è Carmen Consoli che è rimasta entusiasta del progetto, è stata
nostra ospite in quella serata sviluppando l’idea di fondo di tutto questo
gruppone insieme sul palco con cantanti che fanno i musicisti su pezzi altrui e
viceversa; tu puoi vedere Niccolò Fabi
che canta E’ non è ma poi
improvvisamente va al piano e accompagna Pino Marino che a sua volta accompagna
me con la fisarmonica. È questa “orchestra mobile di musicisti e canzoni”,
espressione che ha coniato il grande Pino, è una locomotiva che viaggia
costante e veloce più dei nostri progetti singoli, è qualcosa che attira
l’attenzione al di là di ogni nostro programma. È la bellezza di iniziare una
cosa senza pensare a dove porterà, senza considerare che è un disco da chiudere
con promozione da fare, ma nata partendo da idee improvvisate come quella di
portare un amplificatore e registrare e vedere che poi questa situazioni si
evolve e la gente si dimostra interessata. Magari l’unione delle varie voci
cantautoriali permette al cantautorato, che sembrava un pò fuori moda, di
tornare fresco, con l’idea che un cantautore si sposti e suoni anche uno
strumento per un altro, l’idea che forse ci sta una motivazione sociale dietro,
con gli spostamenti sempre legati ai fini dell’associazione, non suonando mai
per suonare. Abbiamo un’associazione alle spalle che sembra antica, qualcosa
legata agli anni settanta anche se ci riferiamo al “Collettivo” del nome, ma
stranamente contemporaneo.
E la cosa se
non sbaglio si sta allargando anche a situazioni fuori Roma, giusto?
Sì, si sta spostando.
In questi giorni abbiamo fatto una data a Bologna coaudiuvati dall’agenzia On
The Road, e per quanto difficoltosa può essere una realtà che si muove grossa
come la nostra quando oggi il cantante più in voga si sposta in duo con pochi
soldi perchè è difficile spostarsi, noi siamo in quindici e poco conosciuti
quindi contro i tempi che corrono, ricerchiamo degli spazi precisi come quelli
dell’Angelo Maj, non cercando di suonare nei pub o nei club come fossimo una
band. E tra poco uscirà quello stesso disco che abbiamo registrato due anni fa,
con una bonus track distribuito da Venus, quindi non è più un livello
underground con il disco venduto ai concerti ma sarà una realtà discografica
vera e propria. Altri articoli su Roberto Angelini
Altri articoli di Angela De Simone