Carlo Muratori
Basta sfogliare il libretto con i testi del tuo ultimo lavoro, “La padrona del giardino”, per restare
colpiti dall’importanza dei colori che sono più suadenti e penetranti delle
immagini che rappresentano. Quest’attenzione ai colori è, forse, frutto della
consuetudine con la luce siciliana che tutto trasforma e trasfigura?
Vivere in un luogo violentato dalla luce ti costringe a
modellare i tuoi sguardi, ad orientare il tuo pensiero verso la difesa
dall’eccesso, a restringere sempre più la pupilla per ripararti dall’abbaglio.
Qui tutto viene sovra-esposto, highlighted,
evidenziato nel bene e nel male. Anche il buio, come dice Bufalino, è più prossimo al lutto che al nero. Non sempre riesci a
proteggerti dalle esagerazioni. Spesso anzi ne diventi vittima.
Parlando del tuo ultimo lavoro mi ha colpito molto la canzone ‘Assah riri, con un testo in
dialetto siciliano molto musicale. Come nasce questa canzone e che cosa
rappresenta nell’economia di tutto il lavoro proposto?
Letteralmente la frase è «Lascia
dire». Nell’uso comune sta per «Non ti preoccupare-
fregatene…» Ma anche come intercalare «e
vai!! Alla grande!!!». Mio nonno ne faceva un uso
costante per rivolgersi a me «’assah riri ‘o niputi». Mi incoraggiava, mi faceva crescere, mi spronava a non avere
mai paura. In qualche modo il brano è un omaggio al mio progenitore e funge da
mantra per il nuovo lavoro.
Tutto “La padrona del giardino”
è colmo di musiche suadenti, di luci penetranti ma, anche, di profonda
nostalgia. Questo sentimento è parte profonda del tuo essere musicista oppure
una caratteristica fondamentale della tua personalità?
Il mio progetto musicale consiste
nel cercare tutti i possibili ponti con la mia memoria. So di essere inserito
in un flusso culturale che scorre da millenni, che lascia tracce importanti
sotto i nostri piedi. Non è giusto ignorarle, poiché, anzi, bisogna
comprenderle e vivificarle. La nostalgia, nella sua accezione greca è nostos, che vuol dire ritorno. Io non
voglio ritornare al passato, questo mi serve solo per organizzare meglio il mio
futuro. In tal senso non credo di essere nostalgico. Altra cosa è quella tinta
grigio-malinconica che spesso segna il mio canto. In quel caso sono perfettamente
in linea con i modi dorici misto arabi e andalusi dell’antico canto popolare
siciliano.
Tu ami i toni morbidi ma non disdegni le costruzioni musicali decise e
graffianti. Attraverso questa dualità quanto il tuo percorso è stato
influenzato dal bisogno di esprimere il tuo profondo e quanto, invece, la
realtà che ti circonda non tanto a livello socio-politico ma esistenziale?
Io credo che esista un ethos del
canto popolare, una scelta obbligata del sentirsi classe e non individuo, del
cantarsi al plurale, del descrivere l’orgoglio di una appartenenza e di una
coscienza identitaria. Questa antica forma d’arte si è trasmessa per secoli per
tradizione orale, senza alcun documento scritto. La tecnica di diffusione ha
legato insieme le generazioni, concatenando i loro sentimenti, le loro grida, i
loro bisogni, le loro emozioni. E’ inevitabile che chi tratta queste materie,
anche solo come fenomeno ispirativo, debba imbattersi in qualche forma di
impegno civile e sociale, oltre che esistenziale. Capisco perfettamente come in
queste epoche dormienti tutto quel che dico potrebbe sembrare sacrilego. Ma non
riesco ad immaginare un approccio asettico allo studio delle tradizioni e delle
culture popolari, peggio quando questo determini semplicemente attenzione verso aspetti imbecilli legati solo
al ritmo, alle danze, ad un supposto e sfrenato divertimento da sballo, come
spesso capita nelle forme attuali di ri-elaborazione dei fenomeni musicali
popolari. Il tentativo, anche abbastanza dichiarato, è quello di svuotare dei
veri contenuti “rivoluzionari” il confronto di sempre fra le classi subalterne
e le classi egemoni e dominanti e loro culture.
Da “Stella Maris”, a mio
avviso il tuo lavoro più “luccicante”, ad oggi sono passati dodici anni. Senti
che la tua dimensione artistica, da allora, è mutata oppure ritieni che anche
questo tuo ultimo lavoro sia una sorta di nuovo capitolo di un
discorso/percorso iniziato trent’anni fa?
I ponti di cui parlavo prima sono
gettati alternativamente verso il passato e verso il futuro. Nella mia
produzione musicale ho alternato queste costruzioni seguendo sempre, quasi
ossessivamente, questa tabella di marcia.
Ai dischi chiaramente cantautorali (“Canti e Incanti”, del 1994 e “Stella Maris”
del 1996) ho fatto seguire due monografie sui canti popolari del Natale (“Stidda
di l’Orienti” del 1997) e del Venerdì Santo (“Pesah” del 1999). Alla ripresa
delle nuove canzoni d’autore con “Plica Colonica”, del 2001 è seguito “Sicily”
del 2005 che è un disco di cover di canzuni
e canzuneddi siciliani. “La
Padrona del
giardino” è sicuramente la nuova puntata del mio rapporto con la canzone
d’autore. Ovviamente ad ogni ripresa cambia sempre qualcosa perché siamo noi a
cambiare più che la realtà che ci sta intorno. E dopo questa intuizione
marzulliana vorrei proprio tacermi, se permetti.
Oggi si dice (e si vede) che, purtroppo, di dischi se ne vendono pochi.
Allora che cosa spinge un artista ricco di talento, come ti viene ampiamente
riconosciuto, a “resistere” nella propria dimensione, a non deflettere mai
dalle proprie convinzioni artistiche e di vita, a continuare a fare musica ed
incidere dischi?
La vendita dei dischi, purtroppo e
per fortuna, non è stato mai motivo di insonnia per i musicisti del mio genere.
Mi piace pensare che esiste una musica che si consuma e una musica eterna, ed
io per lo stesso motivo addotto dalla volpe all’uva, mi sento molto più
immortale che campione di incassi. A parte tutto, credo che creare non sia un
aspetto correlato al vendere, almeno non sempre, non per tutte le cose. Su una
strada corre il gusto delle persone, su un’altra la proposta artistica. Queste
due strade possono incontrarsi o no, questo può accadere domani, fra cento anni
o mai. E questo incontro, soprattutto, non ha niente a che vedere con la
qualità della proposta, sono incastri spesso casuali, dinamiche misteriose come
quelle dell’incontro e dell’amore. Non ci si può vestire con il vestito grigio programmando
di incontrare la donna della nostra vita e se non succede cambiarsi d’abito il
giorno dopo, e così per sempre. Io amo i miei colori e sono affezionato ai miei
abiti e, ti posso assicurare, incontro decine di donne, anche in mancanza del coup de foudre.
Che cosa manca, a tuo avviso, alla discografia perchè sia anche più
vicina ai bisogni degli artisti, per aiutarli a farsi conoscere di più e
meglio? E alla stampa musicale per essere una credibile guida agli acquisti e
fauttrice di un ascolto maturo? E al pubblico per non farsi abbindolare dai
venditori di fumo artistico, dalle tendenze usa e getta?
Viviamo in una finta democrazia
dove, dai risultati elettorali ai successi editoriali, dalle scelte agricole fino
alle politiche religiose, molte cose sono decise da oligarchie economiche. La
democrazia dovrebbe garantire pari opportunità a tutti. Ma tutti sappiamo che
il figlio del notaio diventerà casualmente notaio e il figlio del paroliere di
successo sarà tutti i giorni in radio. Qualcuno può spiegarmi come fai a
candidarti alla guida della Regione Sicilia (giusto per esempio, ma vale anche
per sindaco di Canicattì) se non hai un patrimonio da investire in campagne
elettorali e d’opinione? E come puoi pensare di governare, poi, senza garantire
quei soggetti o quelle associazioni che quel patrimonio ti hanno garantito e
sostenuto??!! Il popolo comanda un bel niente e la cosa buffa è che lo sa pure.
Tutti sappiamo come funzionano le play list delle radio, le nomine i premi, i
passaggi televisivi, le scelte per le colonne sonore, le scalate al potere
elettorale. Ma spesso fingiamo di non saperlo e di meravigliarci. Io non ho
soluzioni: credo solo nella bellezza, nella Kaloscrazia
solo lei ci potrà salvare. Con me ci sta quasi riuscendo.
Musica popolare e canzone d’autore: si possono considerare mattoni
della stessa casa oppure, a tuo avviso, si tratta di due mondi totalmente
differenti?
Una cosa che senz’altro li
accomuna sono i dati di vendita non esaltanti. Per il resto credo che la
canzone d’autore ricerchi un intimismo che il canto popolare non ha per sua
stessa natura. Quel “plurale” di cui
parlavamo poco fa, diventa “singolare estremo” nella costruzione poetica
d’autore. Laddove un testo è il frutto di una coscienza popolare globale, dove
ognuno ha contribuito in tutto o in parte alla sua creazione modificando ad
ogni trasmissione orale, aggiungendo o sottraendo parole, e diventando infine,
paradossalmente, il prodotto di un
“anonimo”; la canzone d’autore, difende strenuamente le paternità, ma non come
mero diritto SIAE (anche per quello…). Soprattutto perché pone l’io su un piano
valoriale di superiorità rispetto al tutti noi.
Sono tanti gli artisti siciliani che hanno dato importanti segni di
qualità artistica negli ultimi anni. Tralasciando Battiato, mi sovvengono, in
ordine sparso e limitato, Kaballà, Pollina, Consoli, Denovo (ed i suoi
componenti). Tutti con espressività differenti tra loro. Merito, forse, della
storia culturale dell’isola o semplice caso di concentrazione di personalità
con spiccate propensioni artistiche?
Diceva tempo fa Fossati in Sigonella «…e tutta l’Isola
è un vulcano…».
Dovendo scegliere tra le canzoni del tuo nuovo lavoro, a quale daresti
la palma della preferita e perchè?
Stranu Amuri continua a mantenere intatta la sua sorpresa ad ogni
mio ascolto. A Notte dell’Ascensione mi
sono molto affezionato, se non altro perché ho scritto una ventina di versioni
prima di chiuderla.