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Bandabardò
Partiamo dal concepimento di “Ottavio”: siete partiti con l’idea di
realizzare un concept o il progetto si è concretizzato durante la fase di
scrittura?La rivoluzione romantica
Mentre in questi giorni è ripartito il tour dopo le date di novembre nei
palasport, incontriamo Enrico “Erriquez” Greppi della Bandabardò per parlare di Ottavio,
lavoro nel quale il gruppo toscano è riuscito a realizzare per la prima volta
il sogno di raccontare una storia (in musica) che fosse lunga un intero disco e
non solo lo spazio limitato di una canzone singola. Ed oltre a “Ottavio” la
nostra chiacchierata ha spaziato anche tra politica, amore e fantasia…
Il concept è un’idea anzianissima
ed essendo noi dei cantastorie ci avevamo, infatti, già provato. Ho sempre
desiderato costruire una storia lunga, una sorta di lungometraggio, rispetto ai
corti che realizziamo di solito. Quando abbiamo iniziato a lavorare ad “Ottavio”
però l’obiettivo era semplicemente quello di fare una cosa più bella possibile,
non c’era ancora l’idea del concept. Altre volte eravamo partiti con l’idea di
una storia strutturata, ma ci eravamo sempre arenati in maniera ignobile e
invece questa volta senza pensare a niente abbiamo costruito delle storie e
poi, avendole in mano, ho iniziato a vedere che vinceva alla grande nei testi una
visione del mondo che noi abbiamo chiamato Ottavio e che è un insieme della
nostra timidezza, della nostra cocciutaggine, della nostra fede nel buonumore e
nell’ottimismo, non quello berlusconiano, ma l’ottimismo di chi si rende conto
dei problemi e preferisce tentare di risolverli, avendo ben presente, però,
quello che va male, quindi non l’ottimismo cieco e fine a se stesso. Tutti i
brani erano impregnati di questi sentimenti, quindi è bastato cercare alcune
cover che legassero la storia e così con Bambino,
La cattiva reputazione di Brassens e Viva la campagna abbiamo calzato la storia e in più riscoperto tre
chicche esagerate.
Non c’è un pizzico di follia nel riscoprire la forma album nell’era del
peer to peer, in cui le canzoni si scaricano a peso, come la frutta al mercato?
“Ottavio” è una risposta con la “r” minuscola anche perché non
siamo nessuno e non siamo qui per educare la gente, però, per quanto ogni
canzone possa essere ascoltata fuori dal contesto del disco, levarle dalla
storia generale ne fa perdere il senso pieno e, quindi, questo progetto è un
regalo per i romantici che ancora comprano gli album interi, anche perché oggi
comprare un disco è un atto d’amore molto romantico che fai nei confronti
dell’artista, soprattutto perché ormai neanche moralmente nessuno t’impedisce
più di scaricarti illegalmente un disco. Noi cerchiamo, quindi, ogni volta di
far pagare meno gli album, mettendo dentro più materiale possibile: in “Fuori
orario” avevamo messo gli accordi dei brani, in “Ottavio”, invece, abbiamo
messo un dvd e un coupon per uno sconto ai concerti.
Una volta ultimate le canzoni vi siete ritrovati al Parcival, dove le
hai fatte ascoltare per la prima volta al resto della band, che periodo è stato
quello? Come si è evoluta la situazione una volta presentati i brani nuovi?
Si è evoluta nel senso migliore
del termine, perché in passato c’erano sempre stati dei pezzi in cui qualcuno
degli altri storceva un po’ il naso, oppure si sentiva costretto a fare una
parte, perché per quanto giusta per la canzone non li appassionava, in questo
caso, invece, per ogni brano c’è stata comunione d’intenti e gioia nel
lavorare. Un altro aspetto positivo, inoltre, è che non abbiamo ragionato in
termini commerciali, della serie facciamola alla Beppeanna perché piace, siamo andati, invece solo ed esclusivamente
nella direzione che il pezzo richiedeva.
È andato tutto via liscio anche durante la registrazione?
Ogni volta che abbiamo fatto uno
scalino i pezzi sono sempre andati migliorando, prendendo forza, e questo fino
all’ultimo giorno di studio. Ogni volta che aprivamo un pezzo e aggiungevamo
qualcosa era sempre un miglioramento, mai una toppa o una correzione, come
negli anni scorsi. Clemente Ferrari,
per esempio, veniva chiamato soprattutto per entrare con le tastiere dove
c’erano pecche, gli chiedevamo di correggere e, invece, questa volta si è
sentito ancora più nobilitato dal fatto che finalmente poteva aggiungere degli
elementi su brani che erano però già solidi e caratterizzati da come avevamo
suonato noi.
È un disco maturo dunque?
Alla fine si, anche perché sedici
anni iniziamo a sentirli, in senso positivo ovviamente. Ad esempio abbiamo
capito che lo studio di registrazione è un luogo di grande creatività e
possibilità per chi ci entra in maniera produttiva. Se entri in uno studio,
come abbiamo fatto noi fino a pochissimi anni fa, vivendolo come un luogo di
coercizione e dove devi dare una dimostrazione, ti senti addosso troppe
pressioni; invece questa volta abbiamo cambiato il nostro modo di porci e ci
siamo detti: “ragazzi qui ci stiamo venticinque giorni per registrare e mixare
e cerchiamo semplicemente di valorizzare al meglio la nostra musica!”.
E poi, come dicevi tu, dopo sedici anni a suonare sarà stato anche più
facile registrare?
L’esperienza di cui ti parlavo
prima è servita anche a questo, una volta per registrare le batterie, parlo di Nuto,
ma eravamo tutti nella stessa condizione, ci mettevamo una settimana e mezza,
ora la prima versione è già buona, a parte qualche piccola correzione e,
quindi, lo stress è molto meno e tutto va via più facilmente. Abbiamo ritrovato
in studio di registrazione lo stesso spirito che abbiamo sul palco e quindi
abbiamo registrato con allegria e senza paranoie. Sono stati venticinque giorni
di festa, in cui tutto era sereno e grande merito va anche alla nostra squadra
di tecnici e impresari che ci hanno incoraggiato moltissimo, già a partire dai
provini, alquanto indecenti, ma da cui emergevano le potenzialità del disco e,
quindi, ci hanno coccolati e spinti a non mollare.
Veniamo al capitolo collaborazioni: alcune, come quelle con Stefano Bollani
e Clemente Ferrari, sono storiche, però ci sono anche quelle con il violoncellista
Adriano Murania e con il grande Tonino Caratone, come sono nate, soprattutto,
le ultime due?
Con Tonino Carotone ci conosciamo da anni e avremmo sempre voluto fare
qualcosa insieme, abbiamo suonato insieme quattro volte e ne è venuto sempre fuori
uno spettacolo folkloristico. Le qualità di Tonino le conosciamo, è una persona
che marca le canzoni con il marchio della strada, della caja, dello smog, della
metropoli, non sentirai mai un pezzo di Tonino che ti ispira il mare, lui è il
rantolo della metropoli. Noi volevamo iniziare “Ottavio” con una canzone che
desse l’idea di un bambino strainnamorato che apre gli occhi per la prima volta
sul mondo, io conoscevo il brano Bambino,
ma solo nella versione francese, e ci è venuta l’idea di collocarla ai giorni
nostri e per strada e di farla cantare ad un basco o galiziano, non si è ben
capito ancora cos’è, in napoletano, in modo da confondere ancora meglio le idee
e per riprendere anche la versione originale. Tonino è arrivato, in un quarto
d’ora ha registrato la sua parte creando una magia incredibile, poi si è “perso”,
ma ormai il pezzo era stato fatto: c’è una serie di ammiccamenti e si è
inventato il personaggio dello Zio Tonino, “Non fare come io, c’è tempo
soprattutto per le pene d’amore, per ora occupati di te, bambino, cresci”, che
è finito con merito tra i personaggi fondamentali di questa favola. Murania è un violinista di serie A, che
è un termine orrendo, è ad un livello eccelso e pensa che quando è arrivato io
gli blateravo qualche nota all’orecchio canticchiando e lui le scriveva sul
pentagramma e io guardavo allibito questi puntini che avevo creato con la mia
fantasia. Murania non era ovviamente abituato a questo modo di lavorare, però
si è fatto prendere dal progetto ed è entrato a far parte del nostro mondo: noi
non invitiamo una persona per suonare una cosa, ma lo chiamiamo perché ci piace
come suona e quello deve mettere nel disco, non gli diamo delle note ma una
sensazione, ad esempio a Murania abbiamo detto: “sei in un saloon e c’è un
imbonitore che sta raccontando cose
spaventose e tu sei li che fai un pezzo da violinista da saloon”, oppure “sei
per strada e vedi un gruppo di ballerine leggerissime che volteggiano per aria,
che cosa ti ispira?” Ed è bellissimo avere musicisti del calibro suo, che si
lasciano prendere dall’ispirazione e creano a loro volta piuttosto che avere
gente che ti esegue benissimo un’idea che hai te, ma che non aggiunge nulla.
In “Ottavio” si possono ritrovare i personaggi di Brassens e di De Andrè,
quanto ami questi due grandi artisti?
Brassens lo amo in maniera
viscerale, per me è l’Artista, perché è una persona che con il nulla, dotato di
una voce, si melodiosa, ma non intonatissima, con una chitarra suonata
approssimativamente e con un contrabbassista ha girato tutta l’Europa, solo
perché non voleva prendere l’aereo per andare negli USA, raccontando delle
storie in un francese estremamente colto, raffinato, divertentissimo, poetico e
soprattutto dotato di una forza politico-sociale incredibile. Brassens ha raccontato di tutto, io sono
cresciuto ipoteticamente amico dei becchini, delle prostitute e dei reietti
della società perché Brassens mi ha fatto capire l’umanità che sta dietro alle
persone, che loro malgrado sono costretti a fare dei lavori “brutti”, ma che lo
fanno con dignità anche professionale: il becchino, in una sua canzone, ci
mette due ore a preparare il giaciglio, perché il giaciglio ti durerà per l’eternità. Sono
cresciuto poi con l’odio per la classe borghese, per i benpensanti che dall’alto
della loro posizione sociale si permettono di giudicare tutti, quando l’unico
giudizio che dovrebbe contare è quello di un figlio o di una persona cara. I
vari figliocci di Brassens, ce ne sono molti in Francia, ce n’è uno enorme in Italia
che è De André, sono tutti dei grandi,
soprattutto De André che è riuscito a tradurre Brassens che è un’operazione
molto complessa. Se oggi possiamo ascoltare Il
Gorilla o Nell’acqua della chiara
fontana o Le passanti in italiano
è grazie a questo enorme poeta che è De André. Quindi, tornando alla tua
domanda, per me sono stati fondamentali, anche perché oggi se una musica non mi
racconta una storia con delle parole non la ascolto. Non mi piacciono le
canzoni a sfondo politico e sociale fine a se stesse, mi piacciono quando sono
a sfondo sociale, ma solo se mi fanno immergere in un racconto.
Anche voi nelle vostre canzoni amate raccontare storie e in un brano di
“Ottavio”, Balla ancora, per la prima
volta raccontate una storia dedicata in maniera positiva agli Stati Uniti e,
temporalmente, l’album è arrivato molto prima di Obama?
Sì, è vero, l’album è arrivato in
tempi in cui Obama era ancora un’ipotesi remota, anzi c’era la convinzione che
avrebbe perso già contro Hilary Clinton, quindi non siamo stati influenzati da
quello, quanto dalla voglia di parlare bene di qualcosa che ci fa paura, dietro
Balla ancora c’è il tentativo di
esorcizzare questa fobia. Noi siamo degli “americanofobi” convinti e quando gli
Usa parlano di esportare la democrazia ci sentiamo morire. L’America ha fatto
tanto male al mondo e continua a farlo, però poi ci si ferma e si pensa al
proprio vissuto: io sono diventato più grande la prima volta che ho visto Tom Waits in concerto, io sono
cresciuto con le praterie negli occhi, con Topolino
e con Chaplin, che proprio negli
States ha potuto fare quello che ha fatto, sono cresciuto leggendo Bukowski
ed Hemingway e questi erano
americani. Diciamo che questa è la strana faccia dell’America: da una parte è
un mostro, un serial killer, però dall’altra parte c’è anche un popolo intelligente,
democratico, propositivo e, quindi, noi abbiamo sentito la necessità di parlare
del bello che c’è anche in qualcosa di veramente orrendo.
E oggi, dopo la vittoria di Barack Obama, guardi l’America ancora con
più speranza o c’è un po’ di scetticismo?
No, scettico mai, finché non mi
dimostri qualcosa di negativo io credo in te, non capisco quelli che, per farsi
meno male, partono prendendo le distanze. Obama è una persona che fino ad oggi
ha detto cose veramente intelligenti e che è fonte di speranza e sorrisi e dispiace
che l’unico che non se ne sia accorto è il presidente del consiglio italiano Berlusconi,
che si è distinto nella massa prima di tutto come unico politico mondiale ad
andare a salutare Bush e poi come unico politico mondiale che non è riuscito a
tirare fuori una frase di benvenuto per questo uomo nuovo della politica mondiale
migliore del dargli del giovane implume e abbronzato.
A questo punto è d’obbligo aprire una breve parentesi sulla politica
italiana. Tu parlavi della democrazia americana che ha permesso l’elezione di
Barack Obama, in Italia a che punto siamo? Cosa deve cambiare perché anche nel
nostro paese possa vincere un Obama?
Se tu avessi rivolto questa
domanda un anno fa ad un americano ti avrebbe risposto: “figurati se un
afroamericano con un nome da arabo può diventare presidente”. Già si parlava di
come sarebbe stato difficile per una donna. Io mi ricordo che negli anni novanta
quando guardavo i politici di allora, i vari Forlani e Craxi, pensavo che per
un cambiamento avremmo dovuto aspettarne la morte fisica e, invece, come un
uragano arrivò Tangentopoli. Le cose succedono, c’è chi dice che Mani Pulite sia
stata organizzata ad arte, questo non lo so, so soltanto che l’Italia sta
andando sempre peggio, stiamo andando verso lo zero termico e da qui ci si può
solo rialzare e non lo affermo perché sono malato di ottimismo, lo dico perché
conscio del fatto che quando si troveranno in cinque ad avere quello che
dovrebbero avere in cinquanta milioni e quei cinquanta milioni rimarranno senza
niente, la voce del niente diventerà così urlante e così ridondante che quelli
che detengono il potere dovranno mollare, io credo che a questo punto il conto
alla rovescia sia già iniziato. Il paese sta male, si sta impoverendo, la
tensione sociale è alle stelle e vedere questo ricco e opulento che continua a
spargere ottimismo, mentre la gente non riesce ad arrivare al tre del mese, mi
fa infuriare. Prima o poi ci sarà qualcuno che lo prenderà per l’orecchio e lo
manderà via dall’Italia e con lui tutta la classe politica attuale. Altro non
si meritano.
La rivoluzione è alle porte, dunque, dai chiudiamo l’intervista come il
disco con un gran finale: di fronte a tanta negatività quanto contano la
fantasia e l’amore, fondamentali per Ottavio, per la felicità di ogni uomo?
Sono a pari merito con l’ossigeno e poi la fantasia e l’amore sono come
delle piantine se non le alimenti muoiono, bisogna sempre dare loro le
vitamine, coccolarle, perché non è che le trovi per strada. Ogni giorno vengono
messe in discussione dalle cose che accadono, fantasia e amore sono il nostro
lavoro quotidiano, dovrebbero essere il nostro modo di vivere. E poi dovremmo
renderci conto di un altro concetto fondamentale, quello di comunità, noi
facciamo parte di una comunità fatta di altri esseri umani, dove ognuno vale
per uno e siamo tutti di passaggio su questo mondo e, quindi, dobbiamo cercare
di lasciarlo molto più bello di quanto lo abbiamo trovato e, dato che siamo
persone educate, possiamo e dobbiamo farlo.
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