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Enzo Avitabile Enzo
Avitabile Targa Tenco per il migliore album in dialetto del 2009: era
ora e, soprattutto, ci avresti mai creduto dopo due secondi posti? In
verità ho sempre creduto e sperato in questa probabilità. Da sempre
stimo il Tenco e sono ancora più convinto che è l’unica vera
possibilità di essere riconosciuti come autori o compositori nella
forma canzone. Quali
sono le maggiori differenze tra i suoni della tradizione, che sono
parte fondante di “Napoletana”, e la tua esperienza di musicista
soul e funky? La
mia antica passione era legata ad una mancanza di consapevolezza
della mia cultura di appartenenza. Un passaggio obbligato da una
pittura di maniera ad una originale ed unica in quanto a linguaggio
tecnico espressivo. Quanto
la tua esperienza di docente universitario di etnomusicologia è
stata parte importante e fondamentale del repertorio che oggi è il
tuo punto di riferimento artistico? Io
sono arrivato a questo dopo il percorso fatto con i Bottari in
tutto il mondo. Dopo il lungo lavoro di ricerca condotto e supportato
dal mio grande amico, produttore e manager Andrea Aragosa. La
vita, la musica, la strada preparano la condizione di trasferimento
di esperienze e di trasmissioni che quasi sempre sono orali e vanno
oltre gli stessi testimoni. Un laboratorio elaborante e non
elaborato. Come diceva il maestro Carmelo Bene, il
significante e non il significato. Tornare
alle radici, tornare a casa: che cosa significa veramente, nella
profondità dell’animo, per un napoletano vero come te?
Significa
uscire fuori da quello che io definisco napoletanesimo, l’ovvio, il
pensiero e la parola ammuffita, la famosa cartolina folclorica a cui
da secoli la mia città viene sottoposta e si sottopone. Significa
sperare fortemente che un’intervista come questa si diffonda e non
resti relegata a pochi e buoni. So
che anni fa hai avuto problemi con la vista. Il ritorno a casa è,
metaforicamente, una vista ritrovata, il riconoscimento di valori
prima non percepiti?
No
quella è stata la luce esteriore che è importante quanto la luce
interiore che però sinceramente non mi è mai mancata. Che
cos’è, per “il popolo”, un dialetto e quando lo si può
ritenere “svantaggiato” rispetto ad altri dialetti o lingue? Il
popolo non conosce il dialetto, il popolo è il dialetto. Non conosce
svantaggi perché il popolo è lo svantaggio. Non ci sono dialetti di
seria A e di serie B perché non ci sono popoli di A e di B. Il
dialetto è il simbolo di appartenenza, il legame da conservare ma
sciogliere nei nuovi incroci. Sei
nato, se non sbaglio, nel paese che ha dato i natali ad un uomo e
musicista e straordinario: Sant’Alfonso de Liguori. Quanto la
memoria di una storia e di una cultura ricca, feconda e profonda come
quella dell’area napoletana potrebbe fare rivivere territori di
agghiacciante ferocia (vedi il video dell’omicidio che è passato
su tutte le TV italiane) ma anche di straordinaria umanità? La
memoria storica è fondamentale nel recuperare una realtà sepolta
dal cemento. La dignità si perde nel degrado che mimetizza una
sofferenza antica che già è possibile rilevare nelle antiche
devozioni popolari che più che preghiere confidenziali con il
Signore erano a volte veri e propri comizi sotto forma di preghiera
spontanea. Sotto il cemento le antiche verità di ieri gridano la
loro esistenza. Che
cosa è rimasto, nella tua proposta musicale, di quella straordinaria
stagione musicale che, grazie a musicisti come NCCP ed a uomini di
cultura come Roberto De Simone, ha fatto riscoprire i tesori della
musica napoletana?
Il
maestro De Simone è da sempre un faro illuminante, un artista
unico che ci ha insegnato che prima di scrivere è importante avere
un progetto preciso che ci permette però di essere liberi di
staccarci da qualsiasi forma e traccia originaria nel rispetto della
multi espressività. Nell’album
ed anche nell’esibizione dal vivo al Tenco, utilizzi un sax in
metallo e legno. Ce ne spieghi la ragione ed il tipo di sonorità che
ne scaturisce? E’
uno strumento che ho fatto costruire io, di rame e legno, una
ciaramella tecno. Uno strumento unico che mi permette di esprimermi
nella mia condizione più vicina alla mia anima. Nelle
tue ultime interviste hai spesso parlato del tuo nuovo percorso
musicale come necessità di “disamericanizzare” la tua musica, il
tuo stile, per ritornare, artisticamente, a casa. Ma tanti anni fa
quale fu la molla che, invece, ti fece allontanare dalla “casa
paterna” della cultura musicale napoletana per affrontare il mondo
e le sue “seduzioni” artistiche? La
povertà. Ho vissuto da piccolo in un antico casale della periferia
di Napoli dove l’unica fonte di musica era il juke-box da cui
arrivavano suoni americani e inglesi e qualche canzone italiana
sanremese. Il gioco è fatto: i grandi della musica nera e il
sassofono, i sogni e i desideri. Dopo aver suonato con tutti loro
sono poi tornato a casa alla ricerca un suono mio e non un suono
dell’io. Un
suggerimento nella speranza di un promessa: perché non pensare ad
una “Napoletana” parte seconda? Perché
queste cose escono una sola volta e poi non mi piacciono le copie
nemmeno di me stesso. Grazie
fratello e ti prego diffondi questa intervista che mi rappresenta
profondamente . Oggi non è tanto facile trovare chi ti fa domande
che ti permettono di raccontarti senza alcun filtro. Di
nuovo grazie con affetto e stima.La tradizione "futura"
Enzo
Avitabile, oltre che essere uno straordinario musicista possiede una
dote rara: quella del nascondimento. E’ una di quelle persone che,
pur vivendo nel mondo dello spettacolo e calcando palcoscenici da
oltre trent’anni, è riuscito a non essere fagocitato delle
modalità “espositive” che, spesso, afferrano tutti coloro che
vivono l’esperienza artistica, rimanendo persona umile e sensibile.
Artista poliedrico e raffinato, sanguigno e comunicativo, Enzo
Avitabile ha vinto la Targa Tenco 2009 per l’album “Napoletana”.
L’incontro al Premio Tenco, dove ha suonato nell’ultima serata
della manifestazione, è stato fautore di una interessante
chiacchierata…
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