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Leandro Pallozzi & i Vecchi Draghi
La canzone che hai portato nella finale di Tìn Bòta si intitola La gazza e prima dell’esibizione hai solo accennato a come è nata. Ci racconti qualcosa in più?
Questa canzone è nata una mattina di maggio 2023 quando, dopo l’alluvione particolarmente violenta in Emilia-Romagna, c’era da rimboccarsi le maniche e aiutare. Più che una band siamo un gruppo di amici. E così ci siamo dati una mano, abbiamo indossato gli stivali da fiume, abbiamo iniziato a sbadilare e fra un bicchiere di vino e due tigelle abbiamo come sempre cominciato a canticchiare. Siamo fatti così, musicisti dentro, convinti che la musica, oltre che unire, sia una sorta di farmaco esistenziale. Per non farci prendere dallo sconforto di quei giorni di pioggia incessante e disastrosa, abbiamo parlato, fotografato il fiume e scritto le parole a testimonianza di ciò che stava accadendo non solo a noi, ma a tutta la nostra regione. Poi dalle parole è nata una poesia, a seguire una melodia e così è nata La gazza. Questa canzone oggi è testimone di un periodo storico di cui non ci si può più dimenticare.
E la scelta del titolo?
Si intitola così perché sui nostri campi la gazza c’è sempre, se guardi in giro c’è e ti osserva pronta a fotterti sta gazza ladra, proprio come la natura che simboleggia. Una natura che sembrerebbe infuriarsi contro l’uomo. Un essere umano che a volte pensa razionalmente che con la scienza e la tecnologia, si possa manipolare o dominare il mondo intero. Eppure, a volte, capitano questi eventi paradossali, come ad esempio un’alluvione o come è stato in passato il Covid; insomma in questi anni ne abbiamo passati tanti di guai ma, con tutta la nostra razionalità, non siamo stati in grado di trovare risposte e soluzioni. E allora che si fa? Una volta si ricorreva alla stregoneria, alla fede cieca senza se e senza ma, oggigiorno al complottismo. Noi siamo musicisti e se dobbiamo incolpare qualcosa o qualcuno lo facciamo beffeggiando la sfortuna dando la colpa alla gazza.
Nell’introduzione facevamo cenno al fatto che pur essendo tu un cantautore ti sei sempre circondato di musicisti con cui condividere gli arrangiamenti. Quanto è importante per la tua musica avere a fianco, ad esempio, una fisarmonica, strumento che riveste un ruolo spesso preponderante nei tuoi brani?
Il mio pensiero ha una preferenza comunitaria. In questa era dell’individualismo, condividere con qualcuno la propria felicità non è un venire derubati, ma un grande arricchimento per sé e per gli altri. In più è più facile portare avanti un progetto comune con chi ha la tua stessa passione. L’amicizia così come nel nostro caso diviene virtuosa e disinteressata, o meglio interessata ad un fine partecipato. Noi draghi, dal 2018, siamo infatti prima di tutto una famiglia che condivide il senso profondo della musica tra momenti indimenticabili ed anche attimi di difficoltà. Nella musica che noi amiamo la fisarmonica è un attore principale senza il quale tutto il resto non avrebbe lo stesso sapore che vogliamo abbia quel tocco, quel mood, volutamente tradizionale.
Parliamo adesso dei testi. Prima citavamo “Dalla Via Emilia al West”, disco di Guccini uscito nel 1984, un artista che sicuramente stimi, tanto da avergli dedicato anche una canzone, Francesco. In vari passaggi sottolinei come la coerenza sia sempre stata la sua grande forza, nonostante una carriera così longeva e piena successi. Cosa rappresenta per te Guccini e con lui tutto il mondo cantautorale che ha fatto scuola?
Il panorama musicale oggigiorno è sicuramente condizionato da un sistema consumistico che dà priorità al marketing e alle scelte commerciali, le quali necessitano di personaggi facili da vendere e da far esibire sui mezzi di comunicazione di massa. Veloci da sostituire. Al contrario, i grandi cantautori ed in particolar modo Francesco Guccini, non hanno mai abbandonato nella musica la loro natura, cioè sono sempre stati coerenti con l’essere che hanno scelto di essere. Per me Guccini, è stato con le sue canzoni e i suoi messaggi un compagno di vita. Se vogliamo, mi ha lasciato un messaggio che oggi come oggi posso permettermi di replicare ossia, la possibilità di poter consapevolmente decidere di non essere alla moda.
Sul piano strettamente musicale le influenze che si respirano nell’ascolto dei tuoi brani sono certamente quelle dei grandi padri storici della canzone d’autore, ma la vena folk rock è quella predominante quando devi poi vestire i brani che scrivi. Non sfugge un forte debito verso i Modena City Ramblers, specie prima maniera, quella con la voce di Cisco così caratterizzante, ma ci trovo dentro anche le immagini di ampie distese verdi irlandesi, così come ho trovato in alcuni brani una bella assonanza con le atmosfere di Davide Van De Sfroos, un altro artista che in fatto di valorizzazione del dialetto – in senso ampio, non solo lombardo – ne ha fatto una bella bandiera, specie nella prima parte della sua carriera.
Fin da ragazzino oltre ad analizzare attentamente i testi di Francesco Guccini, ho amato in maniera profonda la musica irlandese. Quella dei The Pogues, The Bothy Band, Christy Moore, The Chieftains, che ho riscoperto in Italia grazie ai Modena City Ramblers ed in particolare all’amico Cisco Bellotti (qui sotto in una foto di repertorio) che tutt’ora trovo essere una delle migliori voci folk del panorama italiano. Anche Van De Sfroos è una grande scuola e non nascondo che molto spesso mi trovo a studiare e a riflettere sulle peculiarità della sua musica.
Proviamo a riassumere il tuo percorso musicale. In apertura dicevamo che sono molti anni che bazzichi per locali, palchi, concorsi, ma da un punto di vista strettamente discografico quali sono le produzioni rintracciabili in rete? E visto che ci siamo, raccontaci su cosa stai lavorando adesso, se c’è qualcosa che uscirà a breve o sei in una fase compositiva.
Il nostro progetto è nato nel 2018, e da allora abbiamo suonato in diversi contesti, dai teatri alle feste popolari. Abbiamo tentato di far si che la nostra musica, portasse avanti in modo critico una riflessione volutamente e caparbiamente anticiclica. Piuttosto che sognare di essere prodotti da una etichetta discografica mainstream, che oggi come oggi non è sicuramente interessata a porre la propria attenzione su brani di artisti vecchio stampo (anzi vecchi draghi…), che non fanno notizia, abbiamo preferito la multidisciplinarità e la contaminazione che ci ha portato soprattutto durante certi eventi a integrare la nostra offerta musicale con quella di attori, ballerini e altre forme artistiche e culturali, in grado di rappresentare il nostro punto di vista. In rete si trova la nostra autoproduzione, in particolar modo sui principali canali di streaming online tra cui Spotify, abbiamo pubblicato nel 2022 l’album “Ciao Vez” e nel 2023 il singolo La Gazza che ci ha dato molte soddisfazioni, portandoci a vincere anche il Premio Tin Bota. In ordine di tempo, invece, segnalo l’uscita del nostro nuovo singolo che si intitola Mario. Quest’ultimo tratta una delle tematiche che abbiamo a cuore cioè il difficile rapporto tra surplus e diseguaglianza, ricchezza e povertà. È la biografia di un senzatetto di Bologna morto di stenti e freddo nel 2022 durante le festività, mentre la città intera stava festeggiando il Natale.
Chiudiamo questa chiacchierata conoscendo un po’ meglio i tuoi compagni di viaggio. Chi sono quindi i Vecchi Draghi?
Volentieri, anche perché come dicevo prima non si tratta di “turnisti” o di musicisti occasionali. Siamo un gruppo di amici che da più di cinque anni condivide idee musicali e soluzioni di arrangiamento. I testi e le musiche sono mie, così come la voce principale, mentre in ordine alfabetico questi gli altri nomi: Giuseppe Daprile (chitarra elettrica), Claudio Giovannini (tastiere), Alberto Landi (batteria), Davide Sani (basso), Andrea Vignocchi (fisarmonica) e Moris Zotti (chitarre).
Qualcuno dice che siamo musicalmente e anagraficamente Vecchi?
Forse. Non siamo più giovanissimi è vero, ma quando saliamo su un palco Draghi lo diventiamo certamente!