Giorgio Canali & Rossofuoco
Come è nato “Nostra signora della dinamite” e quali sono i significati
che racchiude?
I significati sono quelli di
stupidissime canzoni rock che parlano di me e di quello che mi circonda. Non
c’è un motivo preciso per il quale si fa un disco; un album si fa perché lo
fai, perché comunque è la tua vita, perché hai avuto una volta urgenza di
comunicare delle cose e poi continui, non perché ci sono cose in particolare da
dire, lo fai e basta. Non ci sono situazioni urgenti questa volta, anche perché
di urgente non c’è nulla. Il mondo è uguale a se stesso da sempre e alla fine è
come andare in fabbrica. È il mio lavoro che consiste nell’essere creativo e
comunicare le mie emozioni alla gente, ci riesco mediamente male, però va bene.
Poi succede che c’è la parte divertente della faccenda che è il concerto
seguente all’uscita di un album, una cosa molto più ludica, molto più
appagante.
Alla quale evidentemente dai maggiore importanza.
Sì. Il live è la formula
essenziale, è quello che ci tiene in vita.
Quindi il tutto è per te un processo naturale…
Altrimenti cosa faccio? Non ho un
negozio di alimentari quindi non posso vendere prosciutti o mozzarelle. Per
campare devo fare qualcosa, per fortuna c’è qualcuno a cui interessa quello che
faccio e dunque questa merce di scambio ha un piccolo valore, piccolissimo,
però ce l’ha. Nel momento in cui nessuno vorrà più comprare le mie cose,
probabilmente, continuerò a farle lo stesso, ma le farò sentire solo ai miei
amici.
Se dovessi scegliere una sola parola per definire le canzoni di “Nostra
signora della dinamite” quale sarebbe?
Probabilmente quella che ho
sempre usato come parola d’ordine di tutta la mia musica: rabbia. Anche se a
questo punto è molto, molto stemperata. La mia rabbia si sta calmando, l’ho
lasciata davanti alla tv, da sola, come si fa con i bambini e sta lì. La rabbia
è il motivo trainante di tutta la mia produzione musicale e, questa è grossa,
poetica, tra virgolette però, non mi sento affatto un poeta, perché mi fanno
schifo i poeti, la poesia mi fa incazzare.
Cosa c’è da vantarsi per aver fatto un album così?
È il quinto capolavoro della mia
vita, forse anche il sesto dal momento che penso di averne fatti anche altri
(ride, ndr). Sono felicissimo e in
particolar modo di una cosa: di essere arrivato in questa fatidica terza età,
perché ho 51 anni e faccio parte dei vecchi, senza scuse anche se mi metto a
saltare sul palco, e penso che negli ultimi dodici o tredici mesi mi sono
riuscite delle cose fantastiche, forse le più belle della mia vita: l’album de Le Luci della Centrale Elettrica, che
ho curato sia come produttore che come arrangiatore, ci ho suonato dentro e
fatto anche dal vivo; l’ultimo album dei PGR,
che è la cosa migliore che abbiamo mai fatto insieme noi altri, parlo di Lindo
Ferretti, Gianni Maroccolo e il sottoscritto; questo “Nostra signora della
dinamite”. È facile dire che l’ultimo album è sempre il migliore, ma questo lo
sento veramente riuscito e non mi stanco di ascoltarlo, cosa che raramente
succede a chi fa musica.
Malgrado la tua fitta attività sembra che Giorgio Canali, nel panorama
della musica italiana degli ultimi venti anni, non esista. Perché?
Non se lo incula nessuno, ma non mi riguarda. So benissimo che ci sono un
sacco di persone che hanno bisogno di morire prima di essere valutate per
quello che valgono, quindi siccome sono immortale so benissimo che non verrò
mai considerato per quello che valgo. Rimarrò per sempre un outsider e sarò
sempre quello di cui la gente si dimentica. Poi dopo succede che qualcuno mette
su un tuo album e dice: “cazzo però, esisteva sta roba qua? guarda che roba!”
Questo è anche molto divertente, perché in mezzo a miriadi di meteore che
durano sei mesi sui giornali di tendenza, trovarsi ancora lì alla mia età e
dire: “oh, ci sono anch’io però non ve ne accorgerete mai” è molto divertente.
Io so che ci sono e ci sono anche per la gente che viene ai concerti, che non è
moltissima, però è tanta.
Come si diventa immortali?
Semplice, si muore, e si continua
a vivere. Io sono morto venti anni fa. Non pretendo uno status di dignità o
robe del genere, sono già morto e quindi sono immortale.
Mi parli in breve dei testi che scrivi?
I testi sono raccolte di
pensieri. Penso che difficilmente qualcuno scriva testi volendo dire qualcosa
da zero. Voglio dire, sono i pensieri che affiorano e automaticamente si
condensano in parole e frasi che a volte fanno rima e a volte fanno cagare. Nei
testi c’è quello che penso e che ho in mente quando guardo una scena stupida
alla tv, nella vita quotidiana, nella strada o quando mi vedo riflesso allo
specchio, ed è normale che mi vengano dei pensieri che si condensano in
canzoni, come per uno scrittore è normale scriverci dei romanzi. Poi a volte è
difficile capire “cosa viene da cosa”, non è così automatico. Quando c’è un
flusso di pensieri che si uniscono in qualcosa di fruibile è difficile dire:
“questo viene da quest’altro”. È successo in passato che abbia avuto degli
input molto violenti. Nell’ultimo album “Tutti contro tutti” la maggior parte
dei testi derivava da un episodio di cronaca nel ferrarese, la mattanza da
parte della polizia di un ragazzino di 18 anni (Federico Aldrovandi, ndr), quindi lì c’era un motivo
scatenante. Per fortuna questi motivi attorno a me sono rari, anche perché se
dovessi parlare di un’altra vicenda così triste inizierei a pensare di essere
io a portare un po’ di sfiga. Questo
album parla di me, di quello che sento, di quello che vedo, e parla anche della
gente, di quella che riesce a riconoscersi nelle mie stronzate.
Quanto importante è per te la condivisione?
Non so, non mi sono mai sentito
un comunicatore, quindi la condivisione o c’è automaticamente o non c’è. Se
devo dire la verità, tranne in determinati casi come nella vicenda che aveva
ispirato l’ultimo album, non me ne frega neanche niente di condividerla questa
cosa, capisci? Io so che i miei pensieri parlano a qualcuno che provi le stesse
emozioni. Sono felicissimo se questo accade, ma se non succede non è che mi
metta a piangere. So di riuscire a comunicare a un po’ di gente, e questa è la
cosa importante, quello che poi ti tiene vivo, perché in fondo cosa vuol dire
fare musica? Cosa vuol dire mettere insieme parole? Vuol dire che qualcuno ci
si riconosce e si sente bene o male, vuol dire che la cosa sta funzionando.
È cambiato qualcosa nei tuoi ascolti recenti, o c’è sempre qualcosa che
“che puzza di elettricità”?
Io ascolto solo musica che mi
comunichi veramente, come una parola stupida e isterica di Vasco Brondi (Le
Luci della Centrale Elettrica, ndr).
Non ne ascolto molta, ne ascolto pochissima e il mio farmi affascinare dalla
musica degli altri è molto, molto, molto rigido, non riesco a godere delle cose
altrui, riesco a godere delle cose che mi assomigliano e che puzzano di me. Sì
la mia musica puzza di elettricità perché sono un uomo elettrico, anche
abbastanza elettronico, ma mi sento molto più elettrico. Faccio parte della
generazione nata nel dopoguerra, e quella è la generazione dell’elettricità,
nient’altro.
A proposito, che mi dici dell’esperienza con Brondi?
Io imparo tutti i giorni da un
sacco di persone. Dall’avventura con Vasco ho capito che sono ancora in gamba e
in grado di stare sulla strada cinque giorni su sette, perché non è facile a
metà e oltre il cammino della tua vita metterti su un furgone e fare concerti
uno dopo l’altro, non è così evidente. Tutto il resto, fermo restando che penso
che Vasco abbia una capacità di sintesi e di scrittura come una mosca bianca in
mezzo a quella roba di merda che lo circonda, non penso di aver appreso molto
di più di quello che c’era già nella mia vita da quella storia. Mi ha dato la
forza di stare ancora in piedi senza mettermi in pensione come altri, fermo
restando il fatto che questa cosa che Vasco ha fatto e io gli ho dato una mano
a realizzare, sia una delle cose più belle della mia vita.
Parliamo di te come persona, visto da fuori sembri perennemente
incazzato. Se questo è vero, con chi?
Ti assicuro che sono perennemente
incavolato, non è un’impressione. Con chi? È troppo facile, ci sono troppi
personaggi su cui bisogna solo sparare, perciò uno a caso, scegli tu e va bene.
Dimmene almeno uno.
Tutti, dal primo all’ultimo, ce
n’è talmente tanti. Io non sono coerente, perché se fossi coerente per
principio sparerei. Ma siccome non ho mai sparato a nessuno e non sono mai
finito in galera, non posso vantarmi d’essere coerente. Questo viene dal mio
anarchismo e dalla mia anarchia mentale di vecchio rimbambito che ha le sue
idee ben precise, è difficile guardarsi attorno e non avere voglia di uccidere,
molto difficile. Non sono pacifista proprio per questo motivo, altrimenti sarei
un ipocrita. Penso che farei scomparire l’80% delle facce che ci sono in
circolazione.
Al contrario, c’è una cosa che ti appaga e ti fa star bene?
Quello per cui ho sempre mosso il
mio culo da una città all’altra: l’amore. È la cosa più bella e fantastica che
esista.
Torniamo alla musica. Nelle note di presentazione del disco si dice di
te: “…mangia volutamente merda nel mitico mondo dell’underground”. In questo cosa
c’è di così intrigante?
Nell’underground non si mangia
solo merda, certe volte ci si diverte anche, anzi trovo che come diceva Dante,
che ritengo un losco figuro che fa parte della cultura classica, nell’underground
abbiamo la possibilità di scegliere se nutrirci di radici, bacche o noci e almeno
sei te stesso.
La partecipazione degli Afterhours a Sanremo e la successiva
compilation “Il paese è reale”, possono effettivamente cambiare le regole del
gioco?
No, nessuno può cambiare le
regole. Le regole le cambi solo a revolverate. Le revolverate hanno smesso di
esserci alla fine degli anni ’70. Detto questo vorrei dire che Afterhours sono una delle cose più
fantastiche che sia mai esistita in Italia e la maniera di affrontare questo
tipo di discorso di Manuel e soci è sempre stupefacentemente grande,
gigantesco. Ricordiamoci il “Tora! Tora!” che era una cosa completamente in
rimessa e che era fatto solo e esclusivamente per cercare di rendere popolare
un qualcosa che non lo era. Poi le maniche di stronzi che percorrono la Penisola, che scrivono sulle
riviste o su internet, vedono sempre la parte sbagliata di questo tipo di
operazione. Lunga vita a Manuel e agli Afterhours e a tutte le sue iniziative,
almeno lui ci prova, cazzo!
Perché non sono bastate neanche le revolverate?
Quelle partivano da pistole anche
un po’ di origine sospetta, perché alla fine chi comanda ha sempre il modo di
decidere chi spara a chi. Quindi le organizzazioni grosse e affermate non hanno
paura neanche della gente che s’incazza.
Mi dici il tuo punto di vista riguardo la parola “fedeltà”?
Non ci credo, è una cosa che mi
fa incazzare, la fedeltà non esiste, c’è la coerenza non la fedeltà. Essere
fedeli, tanto per cominciare, vuol dire avere una fede, e chi ha una fede
rischia sempre di diventare un integralista. La fedeltà non c’è, è una cosa che
non ho mai applicato nella mia vita.
Quindi anche il “fedeli alla linea” dei CCCP?
Sì, c’è anche “nei secoli fedele”
come i carabinieri, ognuno sceglie gli slogan che si merita. A me tra l’altro, quando
ero piccolo, i CCCP mi facevo cagare, perché il movimento punk lo vivevo sul
serio, quelli con la cresta travestiti da punk mi davano fastidio. Poi c’erano
le parole di Giovanni che erano gigantescamente belle, ma i CCCP facevano
cagare, cioè il punk è un’altra roba, il loro “fedeli alla linea” mi faceva
sorridere.