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Olden: un italiano a Barcellona che canta i ricordi

Barcellona, 8 marzo 2015 Lo avevamo visto e apprezzato nel corso dell'ultima edizione del Premio Tenco, Olden. Era alle prese con uno dei canti di opposizione alle dittature comuniste tra Unione Sovietica ed Europa dell'Est, e ci avevano colpito la sua voce stentorea e la sua splendida interpretazione. Lo ritroviamo oggi a Barcellona, in occasione del Bianca d'Aponte International, invitato da Sergio Secondiano Sacchi sul palco di "Cose di Amilcare" a omaggiare la poesia al femminile (canterà All'ascolto, di Alfonsina Storni). Cogliamo dunque l'occasione per conoscere meglio questo interessante artista, alla sua seconda prova discografica con un lavoro che disvela la sua personale, grande passione per la migliore canzone d'autore italiana...

Vorrei cominciare dalla tua recente partecipazione all'ultima edizione del Premio Tenco,   dedicata alle resistenze. Come è nato questo invito da parte del Club?
Il Tenco è stata una sorpresa molto gradita, perché anche se è già qualche anno che mi dedico alla musica, non pensavo di aver raggiunto in livello talmente degno di nota da poter arrivare a un palco come quello del Tenco, un palco che da giovane ho sempre sognato. Innanzitutto, quindi, è stato un grande traguardo. Per me questo è stato possibile grazie alla curiosa coincidenza che vede Barcellona e il Club Tenco in connessione tramite Sergio Sacchi e gli incontri che organizza lui in questa città.

A proposito di questa città: tu vivi a Barcellona, ma sei di Perugia. Come arrivi da queste parti? Attraverso la musica?
No, sono qui per la città stessa, fondamentalmente. Ero venuto in vacanza sette anni fa, ormai, in un periodo di necessità di cambiamento... Insomma, era il momento giusto, e ho deciso di lasciare tutto e di rimanere qui. Adesso pure con moglie e figlia, quindi ho proprio messo le radici!

E dunque alla musica e a Sergio Sacchi in quale modo ti avvicini?
È stato tramite Steven Forti. Lui adesso è un amico, e attualmente collabora con Sergio Sacchi; allora però ancora non si erano incontrati: era un ragazzo che conduceva un programma radiofonico  a Barcellona ma in italiano ("Zibaldone", per Radio Contrabanda 91.4 fm, n.d.r.), in cui aveva l'abitudine di invitare artisti italiani. Io l'ho conosciuto lì, e da quel momento si è instaurato un bel rapporto, abbiamo fatto delle cose insieme. Poi lui ha conosciuto Sergio, il quale ha ascoltato delle cose mie, gli sono piaciute, e da lì questa serie incredibie di coincidenze mi hanno portato al Tenco.

Questo appena uscito, "Sono andato a letto presto", non è il tuo primo disco, ma il secondo...
Sì, è il mio secondo disco, ma il primo in italiano, quindi per me è un po' come fosse il primo.

Il precedente era in spagnolo?
No, in inglese. Non mi chiedere perché!

Ti chiederei: perché?
Probabilmente l'idea era qualla di fare un disco internazionale: visto che mi trovavo in una città internazionale come Barcellona, pensavo, e contagiato anche dallo spirito della città... Ecco, non so neanche bene quando ho deciso: sono usciti fuori dei pezzi in inglese, pensando anche che potessero essere appunto più universali, ed è nato questo disco, l'ho portato avanti, l'ho prodotto con un'etichetta di Barcellona, ho avuto le mie recensioni, ho fatto un po' di concerti... Però poi ho deciso ritornare all'italiano, perché è ovvio che per aggiungere dettagli e sfumature serve la propria lingua.

Questo della lingua mi sembra un fatto molto interessante: è come se tu avessi sentito la necessità di recuperare l'importanza dei testi...
È stato proprio questo, infatti. Nel primo disco non ho dato questa grande rilevanza ai testi. Avevo dei motivi, delle musiche che mi piacevano, e i testi sono rimasti in secondo piano; molto diverso, invece, è stato il lavoro di questo disco, in cui ho cercato di esprimere più sfumature possibili... insomma, di fare quello che facevano una volta e fanno ancora i grandi cantautori della nostra tradizione, cui cerco modestamente non di somigliare, ma dai quali attingo per l'attitudine, l'atteggiamento, la poetica.

Ascoltando il tuo disco, si direbbe che tu sia cresciuto musicalmente proprio nell'alveo della tradizione dei primi cantautori italiani: fai tornare alla mente Endrigo, Lauzi, i grandi autori che hanno inaugurato la stagione di quella che ora si chiama canzone d'autore italiana. È una giusta sensazione?
Sì. Diciamo che un po' di merito va ai miei genitori: nel mangiacassette dell'autoradio le canzoni che mamma e papà passavano erano proprio queste, Endrigo, Lauzi, ma anche tante di quelle che allora, spesso a torto, venivano definite "canzonette". Fin da piccolo sono stato alimentato con queste cose. Poi crescendo ho approfondito quelli che ritentevo più degni di attenzione o che comunque mi interessavano di più. Però il problema mio, tra virgolette, è che oltre che per la musica cantautorale italiana ho una grande passione anche per la musica anglosassone, quindi versante Beatles e tutto quello che poi è venuto dopo...

Che problema poi non è, anzi!
Il fatto è che dentro di me c'è un po' di schizofrenia. Certo, è anche una ricchezza. Solo che ad esempio in questo disco – perché è giusto essere istintivi, ma bisogna anche delimitare un po' la sfera comunicativa, in un certo senso – ho puntato dritto verso questa parte della musca, quella della canzone d'autore italiana. Anche se è rischioso, e infatti ci sono pareri discordanti sul disco, pure se la maggior parte credo siano positivi. Ma insomma, prendendo come esempio cantautori come De André, o De Gregori, o Gaber si rischia o di fare una figuraccia, o di essere troppo pedissequi, troppo somiglianti. Non credo che sia così il risultato, infine, ma il rischio c'è.

Invero, l'idea che si ha ascoltando il tuo disco non è quella di una somiglianza, ma piuttosto di un tipo di cultura musicale che c'è dentro e che anzi porta a un risultato di un certo spessore, musicalmente parlando. E invece, parlando di testi, quanto di autobiografico sei solito mettere nelle tue canzoni?
Quello che cerco di fare è raccontare delle storie; vi si incontrano cose accadute, o cose inventate, ma che solitamente nascono da sensazioni reali e quindi si recepiscono come vissute; e, come tutte le storie, sono romanzate. Ma soprattutto ci sono cose ricordate. Già il titolo "Sono andato a letto presto" è un omaggio ai ricordi, un omaggio soprattutto al film "C'era una volta in America", di Sergio Leone, dove si intrecciano molte storie di amicizia, ricordi, tradimenti (non tradimenti uomo-donna, ma tra amici)... ecco, il disco parla molto dei rapporti di amicizia; forse per il fatto che sono lontano dai vecchi amici, e questo è qualcosa che mi rimane dentro e che esce fuoi nelle canzoni.

Attualmente, dal tuo punto di vista di amante della nostra canzone del passato, ma anche di italiano che vive a Barcellona, in che rapporti sei con la nuova musica d'autore italiana?
Io ultimamente ascolto quasi esclusivamente vecchi dischi di De Gregori, di De André, di Paolo Conte, di Guccini... Vecchi dischi. Purtroppo ho qualche difficoltà ad ascoltare cose nuove. Ascolto, perché sono curioso e mi interessa il movimento attuale della canzone non necessariamente "d'autore" ma comunque italiana, credo ci siano delle cose belle e interessanti. Però la soddisfazione che mi danno certi dischi di trent'anni fa, soprattutto nei suoni e nelle intenzioni, non me le dà nessuno.

Il tuo disco è uscito il primo novembre, quindi si può cominciare a fare il punto della situazione: come sta andando?
Già siamo in una fase avanzata della promozione, e ora è appena partito il tour, tre giorni fa proprio da Barcellona, ed è stato un bell'inizio. Poi faremo un tour italiano per cui sono previste diverse date nei prossimi mesi: Perugia, Roma, Firenze, forse Napoli, e a maggio Bergamo, Genova, Alessandria... Sono contento, perché una cosa che ho capito nel tempo è che senza live esisti poco: per esistere - e resistere - ci vuole il live.


Chi ha lavorato con te in questo disco?
Ci sono degli amici con cui collaboro da molto tempo, soprattutto il batterista con il quale suono da vent'anni. E poi ci sono delle piccole gemme, tra le quali la partecipazione di Juan Carlos "Flaco" Biondini, che è un grande musicista e con il quale, tra l'altro, stiamo mettendo su, sempre con Sergio Sacchi, uno spettacolo sull'anarchia per il Primo Maggio che faremo a Massa, in cui ci sarà anche lui, come pure ci sarà Vittorio De Scalzi... Una cosa bella. Con Flaco c'è ormai davvero un bel rapporto. Tra l'altro è lui che si è proposto di suonare la chitarra in un pezzo mio, e per me è stata una cosa straordinaria. E poi c'è il violinista (e non solo violinista) dei Nomadi, Sergio Reggioli, che ho conosciuto qualche anno fa, quando Danilo Sacco aveva lasciato il gruppo e stavano cercando un cantante; non so come arrivarono a contattarmi e io feci una sorta di provino a distanza. Alla fine forse non ho convinto tutti, ma sono rimasto in contatto con Sergio che apprezzava molto la mia voce e che poi si è proposto e ha fatto dei violini meravigliosi nel mio disco.

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