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Subsonica
Escludendo quello pubblicato dalla Mescal senza il vostro consenso dopo
la risoluzione del contratto e il vostro passaggio alla EMI, “Nel vuoto per
mano” è la vostra prima raccolta ufficiale. Con quali criteri, nel compilare la
scaletta del disco avete detto, “questa sì, questa no”?Presidiare il cambiamento
I Subsonica pubblicano Nel vuoto per mano, la loro prima
antologia. Li abbiamo incontrati a margine di una presentazione del disco alla
FNAC di Milano, occasione nella quale abbiamo fatto con Samuel Romano e Max
Casacci, rispettivamente voce e chitarra della band torinese, il punto della
situazione di un’esperienza musicale che compie nel 2008 undici anni.
Max: Ci sono diversi parametri che si possono utilizzare per poter
leggere la nostra storia attraverso i brani: avremmo potuto puntare sul lato
stilistico con particolare riferimento all’evoluzione del nostro linguaggio
ritmico, potevamo concentrarci su un lato più artistico, magari anche legato al
successo delle singole canzoni e, invece, abbiamo preferito scandire delle
tappe, abbiamo cercato di guardare il nostro percorso dall’esterno e capire
quali canzoni sono state fondamentali per tutti quanti noi e per la gente che
ci ha seguiti in questi anni.
Avete cercato di mediare, quindi, tra le vostre esigenze e quello che è
piaciuto di più ai fan nel corso di questo decennio. Non è facile, però,
accontentare tutti e qualcosa deve necessariamente rimanere fuori, cito ad
esempio Colpo di pistola?
M.: Non è facile mettere
d’accordo tutti, soprattutto quando ti trovi a dover fare una raccolta di una
quindicina di brani e hai una carriera così lunga alle spalle e con molte
canzoni. Inevitabilmente e colpevolmente si esclude qualcosa, come ad esempio Colpo di pistola, come ricordavi tu, che
fa parte di un album, “Microchip emozionale”, che è stato molto importante per
la nostra carriera. Ma non potevamo metterle tutte e, soprattutto, non potevamo
neanche fare un album di trenta canzoni…
Nel momento in cui vi siete dovuti confrontare con quanto prodotto in
questi undici anni, non vi siete sentiti anziani? Non nel senso di vecchi,
quanto di diversi, come quanto si guarda un album di foto datate e ci si scopre
cambiati.
Samuel: Guarda questo è un processo che in noi avviene ogni volta
che iniziamo a pensare al disco nuovo. In quella fase infatti, anche per
riuscire a mantenere una linea, ci ritroviamo a valutare tutto quello che
abbiamo fatto e quindi siamo abituati a guardarci indietro. Dunque scegliere i
brani da inserire in questa raccolta non è stato così traumatico o complicato,
non abbiamo avuto il classico tonfo al cuore, anzi è stato piacevole: guardando
indietro ti rendi conto della strada che hai percorso, delle persone che hai
conosciuto in questo viaggio e ogni volta prendi coscienza di quella parte di
mondo che attraverso le canzoni hai messo a disposizione. Quindi, più che una
cosa malinconica, è stato un piacere.
Max: Quando passiamo da
un album all’altro quello che cerchiamo di fare è evitare di prendere solo le
cose che hanno funzionato e di riproporle perché così si vende bene il disco;
il rapporto con quanto creato in precedenza invece è sempre conflittuale e
nell’arco di undici di anni questo modo di lavorare ci ha permesso di non
logorare il rapporto con tutte le canzoni del nostro repertorio. Ad esempio
nelle scalette dei concerti non sono mai mancati brani del primo album e
tutt’oggi, a differenza delle dichiarazioni che si leggono di altri artisti,
che poco si riconoscono nei primi passi, noi ci riconosciamo perfettamente-
E la domanda mirava proprio a questo, scoprire che rapporto avete con
le vostre canzoni, soprattutto le prime…
M.: Noi abbiamo un ottimo rapporto con i nostri brani, ma proprio
perché lo mettiamo in discussione disco per disco, non ci adagiamo, ma
cerchiamo di realizzare sempre un qualcosa di diverso rispetto a quanto già
prodotto.
In questa raccolta c’è anche un inedito, Il vento, che all’inizio sembra malinconico, impregnato di
disillusione e rassegnazione, ma poi esplode in un bisogno d’azione. A chi vi
rivolgete, sempre che vi rivolgiate a qualcuno, e come è nata questa canzone?
S.: In effetti, non è rivolta ad una persona in particolare o ad un
evento in particolare, però l’analisi che hai fatto tu è giusta e questa
dinamica la si ritrova in quasi tutti i nostri brani: c’è sempre un momento in
cui ci si analizza e si analizza quello che abbiamo intorno, c’è voglia di
raccontare quello che ci circonda e a questo segue sempre una sorta di
reazione. Questo è un po’ il modo che abbiamo noi per rappresentarci. I
Subsonica sono un gruppo che ama raccontarsi e che ama raccontare soprattutto
il momento, il presente, il periodo che stiamo vivendo. In questo brano,
quindi, si possono vedere tutti gli elementi che fanno parte del nostro modo di
scrivere.
M.: Poi il vento, come hai detto tu prima, è allo stesso tempo
impetuoso e malinconico.
Come per “Terrestre” anche per “L’eclissi” avete fatto prima un tour
nei palazzetti e poi uno nei club – quest’ultimo ha preso il via da poco ed è
ancora in corso. Ne deduco che il contatto con il pubblico in spazi più
raccolti è proprio una vostra esigenza artistica e soprattutto umana?
S.: Sì, è proprio un’esigenza artistica e umana, è un nostro bisogno.
Nei palazzetti il concerto è messo a servizio dello spettacolo, la musica a
volte tende ad essere messa da parte, dato che è lo show che attira
l’attenzione. Il club invece, soprattutto come lo stiamo interpretando in
questa tournèe, ti permette di dedicarti maggiormente alla musica e infatti
abbiamo svestito il palco da ogni scenografia, utilizzeremo delle luci ridotte
rispetto a quanto ci portavamo dietro durante il tour nei palazzetti e saliremo
sul palco solo con i nostri strumenti. Ci siamo resi conto che siamo nati così
e avevamo voglia di ritornare a vivere quelle sensazioni.
M.: Una particolarità di questo tour, come stava anticipando
Samuel, è che spariranno completamente i colori, in parte per rendere al meglio
la nudità delle canzoni, in contrasto con la scenografia dei palazzetti, e poi
perché cercheremo di mettere in pratica un esperimento sensoriale: al fine di
stimolare l’ascoltatore, infatti, ci sarà solo una luce bianca intermittente e nelle
pause tra una canzone e l’altra useremo anche delle frequenze sonore
particolari.
Volevo spostare ora il discorso oltre il progetto particolare del disco
e del tour per parlare del vostro impegno sociale. Con Canenero avete vinto il Premio Amnesty Italia di Amnesty
International per il migliore brano sui diritti umani pubblicato nel 2007 e
adesso la vostra canzone fa parte della compilation “17X60”, pubblicata sempre
da Amnesty International, per i sessant’anni della dichiarazione dei diritti
dell’uomo. Quanto lavoro c’è ancora da fare sulla strada che porterà al pieno
rispetto dei diritti umani?
M.: Tanto è stato fatto in questi anni, ma ci rendiamo conto che i
diritti umani vanno preservati e tutelati anche dove sembra che lo stato di
diritto sia stato già conquistato, c’è da fare ancora molto anche in Italia, ci
ricordiamo tutti, infatti, quanto è successo a Genova durante il G8. La libertà
va presidiata e tutelata sempre. C’è poi un mondo che si sta aprendo alla democrazia
e che però deve fare ancora grandissimi passi e parlo della Cina, perché, come
ha ricordato il presidente di Amnesty International il giorno in cui ci è stato
conferito il riconoscimento per Canenero,
la partita più grossa dei diritti si sta giocando in quella parte di mondo.
Vi faccio un’ultima domanda che riguarda “L’eclissi” e ciò che è
successo negli ultimi tempi a Roberto Saviano, a cui avete dedicato un
brano. Secondo voi è questa l’Italia che ci meritiamo? Un Paese dove un uomo
giusto come Saviano, che ha fatto solo il suo dovere, non può più vivere libero?
M.: Saviano ci ha
ricordato una cosa che conveniva a tutti dimenticare: l’Italia è un paese in
buona parte in mano alla mafia. Lui ha semplicemente cambiato il codice e il
linguaggio per ricordare questa verità. Dobbiamo assolutamente prendere atto
del fatto che ad oggi questa è la situazione del nostro Paese, solo così riusciremo
ad andare oltre l’indignazione e forse inizieremo veramente a combattere questo
fenomeno criminale. Tutta la vicenda di “Gomorra” però è da leggere anche in un
modo positivo: un libro, un’azione di pensiero, ha provocato dei cambiamenti
anche nel modo di pensare della gente. E se ci stiamo indignando per quello che
sta capitando a Saviano, quando in altri momenti e per altre persone non si è
fatto niente, vuol dire che è ancora possibile attraverso il pensiero introdurre
uno scenario di cambiamento. Sono convinto inoltre che certe organizzazioni
mafiose, certe collusioni tra politica, mafia e camorra siano state messe sotto
pressione. Questa è la lettura positiva che diamo di Saviano, non ci dobbiamo
dimenticare, però, che lo scenario di partenza è che in Italia c’è la mafia. È
stato un errore cercare di dimenticarlo e fare finta di niente, il lassismo è
stato un atteggiamento di comodità per tutti coloro che invece avrebbero dovuto
combattere questa piaga e presidiare il senso delle istituzioni.
(25/11/2008)Link
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