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Federico Salvatore

Pulcinella? Oggi è nero

Un nuovo disco (Fare il napoletano…stanca!) in cui si alternano brani ironici a canzoni dal risvolto sociale. Una canzone (Se io fossi San Gennaro) riproposta in una nuova versione in cui si spara a zero contro tutto il marcio che c’è nella città del Vesuvio. E ancora Pino Daniele, Renzo Arbore, la musica di oggi e le canzonette facili. Ne abbiamo parlato con Federico Salvatore, uno che di certo non ha paura di dire quello che pensa, nelle sue canzoni così nella vita.


Iniziamo con un dettaglio che mi ha colpito prima ancora di ascoltare il tuo cd: la frase di Robert Frost nel booklet. «Davanti a me c’erano due strade: io ho scelto quella meno battuta, e questo ha fatto tutta la differenza». Sembra quasi che tu voglia giustificarti per essere Federico Salvatore. È così?

No, sono strade tracciate alle origini. Ho fatto le canzoni sbagliate nel momento giusto. Nel 1990 vinsi un concorso canoro a Courmayeur. A Napoli ero già famoso con il mio canta cabarettista ispirato a Gaber e De André. A quei tempi non c’erano più grossi riferimenti musicali sia in Italia che all’estero, così ho dovuto cambiare registro e sono nate le diatribe tra il napoletano out e quello in. Mi sono sempre dovuto dividere, anche se non rinnego il passato. Ho scritto quelle canzoni pur non sentendole vere e sono finito sul palco del Parioli all’interno del Maurizio Costanzo Show. Poi ritornai sui miei passi e mi presentai a Sanremo con un brano  su un tema a quei tempi tabù (l’omosessualità) con Sulla Porta. Dalla fine del 2000 mi ritrovai all’improvviso senza più un’etichetta discografica, così nel 2001 scrissi un singolo autoprodotto che all’inizio fu pubblicato clandestinamente: Se io fossi San Gennaro, ispirata a Io se fossi Dio di Gaber. Con quella canzone non mi volle quasi più nessuno, a parte Funari che mi invitò in televisione e mi fece cantare il brano. Da lì il video ha spopolato su Youtube ed ho ricominciato a fare concerti nel sud Italia. E da allora iniziai a scrivere quello che ho sempre voluto dire e fare.

Passiamo al titolo di questo tuo nuovo disco: Fare il napoletano…stanca! Qual è il confine tra il tuo essere napoletano e il farlo?

Essere napoletano è l’orgoglio di esserlo per tutto quello che Napoli ha rappresentato in passato.

La stanchezza del napoletano, invece, è un mestiere in cui ritrovo la figura di Pulcinella, ma non quello allegro, quello che tutti conosciamo vestito di bianco. Come quello ritratto nella copertina del mio disco, il mio Pulcinella è un po’ triste, è nero per contrastare appunto lo stereotipo del napoletano sempre allegro, che rimanda sempre tutto. Bisogna svegliarsi invece. Io lo dico attraverso le mie canzoni e durante i miei concerti che non mi sta bene questo declassamento culturale.

Il titolo del tuo disco, la scelta di inserirvi Se io fossi San Gennaro, una canzone dal testo molto forte, uno sfogo contro tutti quei luoghi comuni su Napoli. Quanta rabbia hai dentro nei confronti della tua città e di coloro che ti hanno messo da parte a causa di questa canzone?

Di rabbia ne ho tanta. Senza nulla togliere a Roberto Saviano, ma abbiamo rischiato di vincere l’Oscar per Gomorra. Io mi ribello contro tutto questo. La versione di Se io fossi San Gennaro che ho inserito in questo disco è diversa dalla precedente a causa di questa mia rabbia e delusione profonda. Il verso in cui dicevo “la speranza Jervolino può lenire il mio dolore?” è diventato “il mio canto cittadino non farà certo rumore”. Tra le due versioni sono passati otto anni, durante i quali ho visto Napoli peggiorare e non me la sentivo più di riporre in qualcuno una fiducia che non c’è più.

Quando hai scritto Se io fossi San Gennaro ti aspettavi tutto quello che è successo? Alcune delle persone che hai citato ti hanno contattato, ad esempio Pino Daniele o Renzo Arbore?

In realtà quei versi in cui faccio nomi e cognomi non sono contro quelle persone, ma contro un atteggiamento dei napoletani che non posso stare fermo a guardare. Prendi Pino Daniele, lui è un grande, avrebbe potuto essere al posto di Vasco e invece adesso fa canzoni che nulla hanno a che fare con pezzi come Terra mia, Napule è. Non ho nulla nemmeno contro Renzo Arbore. Mi arrabbio con i napoletani perché consentono di fare esportare la napoletanità a chi non è di Napoli, quando invece abbiamo dei grossi nomi che potrebbero fare la stessa cosa che fa lui.

Quando ho scritto quel pezzo paventavo delle reazioni. La reazione più dura non l’ho avuta dalla gente, ma dagli addetti ai lavori locali (stampa, teatro, tv). Tutti i teatri di Napoli mi hanno chiuso le porte, solo il Sannazzaro mi ospitò due volte in seguito alla mia apparizione nel programma di Funari. Un’altra cosa assurda che mi è successa è che Vittorio Salvetti riuscì a farmi suonare in piazza Plebiscito, mentre Bassolino si rifiutò di farlo. Adesso probabilmente riuscirò a tornare ad esibirmi nella mia città. Questo chiudermi le porte lo trovo assurdo perché sono l’unico artista napoletano noto che non è scappato dalla sua città. Non voglio fare l’eroe, ma se non c’è nessuno che dà l’esempio le cose non cambieranno mai. Come dico in una mia canzone, mi sento un turista nella mia città.

Cosa pensi del mondo della musica oggi? Come dicevi all’inizio tu hai avuto più successo quando cantavi Azz piuttosto che con canzoni dal testo più serio.

Ho fatto successo non tanto per le canzoni, ma per il personaggio e la visibilità televisiva che ho avuto dal ‘95 al ‘97. Grazie ai concerti e ai miei dischi la gente ha capito chi c’era veramente dietro a quello che cantava Azz. Io stesso mi sono meravigliato davanti ai dischi di platino che ho vinto con quelle canzoni. Io ho sempre scritto in questo modo, solo che quando si è giovani si toccano argomenti che con l’età non tratti più. A 50 anni, dunque, preferisco parlare del sociale piuttosto che d’amore. Questo genere, però, non ha mercato. Prima c’era un’alternativa. La gente poteva ascoltare sia Orietta Berti che cantava Fin che la barca va che artisti come De André. Oggi, invece, non è più così. Si creano fenomeni che non durano più di sei mesi, e quelli che fanno il mio genere vengono definiti di nicchia. Il mercato oggi è imposto e questa per me non è musica.

A fine ottobre suonerai a Roma. Sono previste altre date?

Quella di Roma per me è una grande opportunità ed anche un ritorno. A differenza delle date che ho fatto negli ultimi anni, dove ho suonato nei teatri, mi esibirò in un locale dove si fa musica e questo per me è molto importante. Ho un progetto teatrale per l’inverno, ma è una sorpresa che tengo in serbo per il pubblico.

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