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Africa Unite
Smentiamo per un attimo il detto secondo il quale la storia non si fa
con i se. Cosa avreste fatto nella vita se ad un certo punto non aveste
incontrato la musica? Mentre per quanto riguarda i testi riuscireste a ricostruire un albero
genealogico simile a quello fatto per la musica prima? Nel dvd contenuto nella vostra antologia con tutti i video che avete
fatto ce ne sono due molto importanti. Uno, quello di Andare, girato a Baghdad e un altro, per La storia, a Kabul. Immagino siano state due esperienze importanti
per voi.Raggae per teste pensanti
Ventisette anni di Africa Unite.
Uno dei primi gruppi a fare reggae in Italia ma anche la storia di un’amicizia,
quella tra Madaski e Bunna, che dura inscalfibile dagli
esordi. Li incontriamo in occasione dell’uscita della bella antologia BiogrAfrica Unite ed è un’occasione per
capire come sono arrivati fino oggi un falegname e un camionista mancati in una
realtà sempre meno soddisfacente, a cui oppongono ingenti dosi di impegno e di
pensiero.
Bunna: Sinceramente non te lo so dire. Prima di diventare un
musicista ho fatto diversi lavori per sfamarmi, anche cosa molto diverse tra
loro. Quindi se non fossi riuscito nella musica avrei potuto fare qualsiasi
cosa per sopravvivere, dall’impiegato di banca – perché, anche se non si vede,
ho un diploma in ragioneria – al falegname, mestiere che ho praticato per molto
tempo e che probabilmente sarebbe stata l’occupazione ideale al di là della
musica, vista la componente di creatività che comporta. Non sarebbe stata
comunque una vita peggiore di questa, avrei trovato qualcosa di appagante lo
stesso, basta affrontare tutto con un’attitudine positiva.
Madaski: Io penso che avrei fatto comunque il musicista, non vedo
altra alternativa. Sono sempre stato molto determinato nel lavorare con la
musica, in tutte le sue diverse sfaccettature ma sempre su un piano artistico.
Al massimo avrei fatto il camionista, perché sono una bestia a guidare, uno che
quando piglia un volante in mano non si ferma più. E difatti quando siamo in
tour il possesso del volante è quasi sempre mio.
La vostra collaborazione è anche un’amicizia che dura da tempo. Quali
sono le dinamiche che l’hanno tenuta in vita così a lungo?
M.: Io e Bunna siamo totalmente opposti, ma sono anni che non ci
spieghiamo più niente, non ne abbiamo bisogno, viviamo e basta.
B.: La soluzione è capirsi: dal momento che uno capisce l’altro sa
di conseguenza come si deve comportare. Credo che la nostra forza sia stata
questa. Ognuno di noi due ha capito quali sono i punti critici dell’altro e
insieme abbiamo trovato un equilibrio.
M.: Equilibrio che, come ti dicevo prima, è stato facilitato dalle
enormi differenze che io e Bunna abbiamo nelle nostre posizioni, negli
interessi, nel nostro essere. Paradossalmente siamo così lontani da trovare un
sacco di punti in comune. E’ una cosa strana ma, alla fine, quale è il problema
che sta alla base del novanta per cento dei gruppi che si sciolgono? La
concorrenza, cioè quando un membro del gruppo vuole prevalere sull’altro, a
livello di immagine o di presa sul pubblico. Per noi il problema non si pone
perché a livello di immagine siamo molto diversi ed abbiamo i nostri spazi per
esprimerci.
B.: E la gente ormai lo sa che siamo differenti.
M.: Anche musicalmente questa dicotomia viene fuori negli Africa
Unite. Poi al di là di questo c’è un amicizia di base che ci tiene legati anche
lavorativamente, tanto che pure i nostri percorsi singoli si sviluppano con
un’interazione tra di noi. Ad esempio tentiamo sempre di accorpare in un’unica
serata le date del mio progetto dub con i suoi dj set. Oppure quando io faccio
i tour come Madaski è lui a vendermi le date. Noi siamo una specie di
società-collettivo, con il progetto centrale che è Africa Unite e le varie
derivazioni in cui siamo quasi sempre coinvolti entrambi. E’ una cosa molto
bella.
Visto l’intento biografico della raccolta che avete pubblicato volevo
provare a stilare con voi una sorta di albero genealogico degli Africa Unite,
partendo ovviamente dalla musica. Che artisti inserireste?
B.: Ovviamente Marley.
M.: In ambito raggae direi ancora di più gli Steel Pulse, che hanno influenzato molto il modo di fare musica di
Bunna
B.: Aggiungerei anche Linton
Kwesi Johnson, che ha influenzato sicuramente di più Madaski per una certa
attitudine combat nei testi.
M.: Poi io non posso sicuramente prescindere per tutto il versante
dub da Mad Professor, che è un
personaggio con il quale abbiamo anche collaborato per il mixaggio de “Il
gioco” e che a me ha dato molti impulsi. Ma ci sono pure le influenze più
personali e queste variano sicuramente. Io vengo da una discendenza più rock,
punk, wave, addirittura ed elettronica, e la sua invece è più legata al mondo
del raggae. Se io ti dovessi fare tre nomi miei ti direi di Led Zeppelin, i Nine Inch Nails e John Fox.
Nessun artista italiano invece?
M.: No, nell’attività degli Africa direi di no. Il che non vuol
dire che non apprezziamo artisti italiani, ma non li vedo inerenti a quanto
abbiamo fatto noi. Anche volendo citare un artista che è sulla bocca di tutto
in questo momento, mi riferisco ad Alborosie,
sarebbe più giusto in realtà citare gli Africa per lui perché le prime cose dei
R.N. Tickets le ho prodotto io.
Anche le altre situazioni raggae italiani sono molto lontane dagli Africa, ma
comunque apprezziamo molto gruppi come i Pitura
Freska o i Sud Sound System.
M.: Io ammiro moltissimo i testi dei Subsonica. Massimiliano (Max
Casacci, ndr) ha scritto anche alcuni testi degli Africa insieme a me in
passato, mi riferisco ad esempio a Salmodia
o Ruggine, e li trovo molto
interessanti. Mi piacevano anche i testi di Luca Morino ai tempi dei Loschi
Dezi e dei primi Mau Mau, poi il
mio scrittore preferito in assoluto è Stefano
Benni.
B.: Rispetto alla musica italiana io invece trovo molto
interessante come scrivono Ivano Fossati
e Battiato. Entrambi li ho sempre
ascoltati molto. Come scrittore, e non solo come comico, trovo invece
fenomenale Alessandro Bergonzoni.
M.: Il video girato a Baghdad è stata un’esperienza diretta, quello
a Kabul no. Siamo stati in Iraq nel 1993 per un intervento umanitario a favore
della popolazione locale dopo la prima operazione Desert Storm. Era ancora
periodo di guerra e soprattutto di embargo, anche aereo, tanto che abbiamo
dovuto viaggiare in bus in mezzo al deserto per ore e ore. E’ stata
un’esperienza forte, per via dei continui controlli sui confini e all’interno
del territorio, ma anche perché siamo venuti a contatto con una situazione
molto diversa da quella a cui solitamente siamo abituati, dove c’era un regime
che allora era ancora saldamente al comando.
B.: Una delle cose più belle di quel viaggio è stato il concerto a
Baghdad, perché pur non essendoci alcuna affinità neanche linguistica tra noi e
il pubblico la musica è riuscita ad andare oltre e ad un certo punto tutta la
gente si è alzata a ballare.
M.: Invece quella di Kabul è stata una situazione più “costruita”,
nel senso che abbiamo mandato i nostri videomakers a fare un report
sull’attività di Emergency in Afghanistan e da lì abbiamo costruito un video
che spiegasse cosa sono le nuove guerre moderne. Quel video l’abbiamo girato
nel 2003, quando l’invasione dell’Iraq era imminente e c’era appena stata
quella dell’Afghanistan. Quindi si stava per verificare per l’ennesima volta
una situazione nella quale la storia ha insegnato ben poco e l’uomo continua a
ripetere i suoi errori e i suoi orrori. Il video riporta tutta una serie di
statistiche legate ai conflitti e soprattutto alle vittime più deboli: è stata
una specie di operazione didattico-documentaristica a cui è seguita poi una
raccolta fondi per Emergency durante il tour.
In Italia invece i problemi sono diversi, ma non mancano. Come vedete
la situazione?
B.: E’ una situazione decisamente triste.
M.: C’è a livello politico un peggioramento congiunto, bipartisan
come va di moda dire oggi. E in mezzo a questo peggioramento rimane immutato, e
anzi aumenta come abbiamo cercato di dire in “Controlli”, il potere della
Chiesa, che ultimamente si inserisce in maniera molto forte su temi che non
sarebbero nemmeno di sua competenza, per cui non spaventiamoci se fra un po’
cadranno la legge sull’aborto o qualche altro diritto fondamentale delle donne.
Il peggioramento è evidente anche dal crollo totale della sinistra che non
assolve il suo compito di opposizione quando è all’opposizione ma si avventura
in inciuci più o meno chiari e di fatto non propone un modello politico e di
vita veramente alternativo, finendo irrimediabilmente sconfitta dalla
superpotenza mediatica di Berlusconi e delle sue tv. Il punto è che a forza di
andare tutti al centro non è rimasta più nessuna ideologia in grado di
interpretare la realtà e questa cosa, oltre che far male a tutti, favorisce il
pressappochismo dei giovani, che non si identificano per nulla nella situazioni
politica ma nei servizi di Lucignolo e Studio Aperto o dalla bramosia di denaro
condita da un vago cattolicesimo che è oggi il dirsi di destra.
B.: La cosa più pesante poi è che comunque riescono a dare alla
gente, alla più ignorante di solito, la percezione che va tutto bene, spostando
l’attenzione su cose che sono assolutamente insignificanti come l’ultimo
modello di telefonino che fa le foto, mentre continuiamo ad avere al governo un
primo ministro che dovrebbe finire in prigione domani e migliaia di persone che
guadagnano novecento euro al mese e non riescono ad arrivare alla quarta
settimana. Ci sarebbero tutti i presupposti per fare una rivoluzione e invece a
forza di tronisti e grande fratelli riescono ad imbonire le persone lasciando
la situazione immutata.
Negli Stati Uniti, alle ultime elezioni, un gruppo di musicisti pensò
che fosse giusto dare una mano a Kerry per fare cadere Bush e allora
organizzarono un tour di supporto. Persero, ma ci misero la faccia. In Italia
invece tutti si lamentano ma nessuno fa nulla…
B.: Per quanto ci riguarda ogni volta che abbiamo ritenuto
opportuno dire e fare delle cose le abbiamo dette e fatte. È chiaro che avere
la presunzione di poter cambiare le cose è molto difficile. Se volessimo fare
una cosa come quella che hai detto tu dovremmo risolvere un problema, che è
quello della coesione tra i musicisti che non è poi così forte come potrebbe
sembrare.
M.: La situazione musicale italiana è molto distante da una presa
di posizione politica. I musicisti, mi riferisco soprattutto a quelli nuovi, se
ne sbattono assolutamente, ma del resto se ne sbattono anche della musica che
fanno, quindi figuriamoci se vanno a pensare di cambiare il paese in cui
vivono. Come Africa Unite abbiamo sempre preso posizione quando era necessario,
pur rimanendo lontani da qualsiasi partito, perché sono i temi la cosa
importante, non gli slogan. Io non credo nella destra o nella sinistra, io
credo nel cervello. E tento di dare a chi mi ascolta degli input per
approfondire, farsi un’idea. Nel nostro piccolo tentiamo di dare un’opportunità
di pensare, mentre il grosso problema dell’Italia è che le masse vengono rese
sempre più imbecilli.
Tornando invece a voi volevo chiedervi, in chiusura, se tra le varie
cose che vi sono accadute in questi ventisette anni sapere di essere stati
citati da un filosofo. Umberto Galimberti, nel suo recente libro “L’ospite
inquietante. Il nichilismo e i giovani” cita alcuni versi di Notti…
(sfogliano il libro e leggono la citazione, ndr)
M.: Mi hanno detto qualcosa del genere ma non ho letto il libro. Lo
comprerò sicuramente perché sono curioso di capire in quale contesto ha citato
la nostra canzone, anche se leggendola ora non mi pare che ci abbia citato
proprio giusti (ride, infatti la
citazione è parzialmente sbagliata, ndr).
B.: Io non ne sapevo nulla, però la cosa mi fa molto piacere.Link
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