Francesco Forni
Nonostante la spiegazione contenuta nella presentazione al disco (“i
tempi in cui sei senza filtri e senza protezioni. Tutto è più intenso, ti
innamori ogni mezz’ora, sei più fragile, ma anche più vicino a te stesso”),
continuo a non capire come possano essere questi “Tempi meravigliosi”. Nel
senso: capisco l’intensità del vivere una precarietà anche sul piano
sentimentale-emotivo, ma la “gioia disperata” di cui parli nella title-track
non sarebbe meglio se fosse “gioia” e basta, quindi non disperata?
Sarebbe meglio sì… ma non sono
questi i tempi di gioia spensierata, almeno non quelli di cui parlo. Il
concetto di “felicità isolata” ancora lo stanno cercando nei migliori
laboratori, ma sembra che debba sempre essere accompagnata da una controparte
altrettanto intensa. Quello di cui parlo è appunto una di queste formule
particolarmente “riuscite” che ti permette di commuovere anche per il trailer
di un film. Certo non è una condizione “comoda”, ma neanche così frequente.
Ti chiedo questa cosa perché di rimando mi viene anche da chiederti se
alla luce del risultato (mi riferisco al disco) non sei in qualche modo pentito
di esserti messo a cantare solo cinque anni fa. Insomma, non era meglio
cominciare prima?
Mi interessa da sempre e ho sempre scritto e
cantato. Ma non ero contento dei risultati. Nel 2003 ho subìto un intervento al
setto nasale e ai turbinati. Questo ha liberato il respiro e modificato
totalmente la percezione della mia voce. Ho iniziato a lavorarci e ad ottenere
i primi risultati interessanti. Da cinque anni semplicemente non mi definisco
chitarrista o compositore prima che cantautore.
“Tempi meravigliosi” è un disco incentrato sul blues, sia nelle
sonorità che nella scrittura. Nel presentare il brano Non adesso dici che per te è una sfida riguardo al fatto “che si
può scrivere un blues in una lingua diversa dall’afroamericano”. A parte che
volevo che spiegassi come mai non hai scritto “inglese” ma “afroamericano”
(scelta che dimostra una certa cognizione di causa sulla materia), alla fine
sei stato soddisfatto del risultato? E nello scrivere il pezzo sei partito da dei
modelli di cantautori italiani fortemente influenzati dal blues? Penso a Cesare
Basile o a Pino Daniele (su cui però bisognerebbe fare delle specificazioni)…
Il blues come genere decodificato
e spiegato dalla cultura bianca anglosassone è una forma musicale ormai
standard di battute, ritmiche, progressioni e posizioni chitarristiche su cui
“improvvisare”. Il “blues” come componente emotiva, come scrittura e come
possibilità di “trasmissione” lo trovi nella cultura afroamericana e in molte
altre culture musicali “popolari”, dalle strutture semplici ma
dall’espressività imprescindibilmente legata alla “necessità” e ad un movente
che viene dal “profondo” dell’essere. Non
adesso è blues soprattutto nella forma, il legante del disco intero è
invece il blues nell’essenza. Pino
Daniele sicuramente è stato un punto di riferimento in una nella fase
fondamentale dell’ascolto, parlo di circa vent’anni fa, Cesare Basile è un artista che apprezzo moltissimo, sicuramente uno
dei miei preferiti ora in Italia, e sicuramente abbiamo molti punti di
riferimento in comune.
E a proposito di blues: ci racconti come ti sei avvicinato a questa
musica bellissima? Con quali ascolti e che cosa ti dà a livello umano,
emozionale… L’omaggio ad Hendrix è un ascolto dichiarato ed anche una
dichiarazione di attualità, immagino…
Ho avuto per anni un trio e
facevamo esclusivamente Jimi Hendrix.
Non la considero una tribute band, il nostro era un omaggio alla maniera di
approcciare di quegli anni. Le musiche e le canzoni venivano trattate come
standard, canovacci da reinterpretare ogni volta… nessun concerto uguale
all’altro. Il secondo disco di Hendrix “Axis: bold as love” potrebbe uscire
domani ed essere considerato ancora avanti. Ogni canzone è stata punto di
riferimento per innumerevoli artisti e musicisti ed è stata una porta per nuovi
stili. È un disco secondo me non ancora eguagliato, paragonabile forse solo a
qualcosa dei Beatles come
innovazione, sperimentazione, cura delle canzoni e degli arrangiamenti. Così
dovrebbe essere il “pop”…da classifica per intenderci.
Ma blues a parte, in “Tempi meravigliosi” ci sono anche altre influenze,
come la musica brasiliana in Fortuna,
“un blues cantato tra ballerine con le chiappe sode”. Anche qui c’è dietro un
innamoramento per la bossa, il samba ecc… o è stata una cosa più umorale, insomma
una derivazione del clima malinconico-saudade del pezzo?
La seconda che hai detto, anche
se una passione per i vari Caetano
Veloso, Gilberto Gil, Joao Gilberto, Irio De Paula la porto dentro.
Se poi dovessi dare al disco una collocazione temporale direi che è un
lavoro piuttosto notturno. Ci sono atmosfere da club in orario di chiusura di Un giorno qualunque, quelle fantasmatiche
di Altri vestiti. E’ la notte che ti
ispira o che ti fa scrivere i brani?
È accaduto con Fortuna… tutto in una notte, il testo in
pochi minuti senza fermarmi. Sembra sempre la cosa più giusta quando inizi e
finisci un pezzo in poco tempo.
A “Tempi meravigliosi” hanno collaborato quasi tutti gli artisti che
fanno parte del Collettivo Angelo Mai. Ci vuoi parlare di questa esperienza?
Tutto è accaduto nel teatro dell’“Angelo
Mai”, un meraviglioso posto occupato, anzi “liberato dalle ortiche e
dall’abbandono” come dice Pino Marino.
Nei due anni trascorsi di attività musicali, teatrali, artistiche, umane, gastronomiche,
etiliche, politiche l’Angelo Mai ha ospitato un gran numero di artisti e
accolto un gran numero di spettatori. Ci siamo ritrovati spesso a suonare in
feste fino all’alba con migliaia di persone e alternarci sul palco in totale
sintonia e collaborazione con lo spirito di contribuire a qualcosa di simile
alle grandi aggregazioni degli anni settanta. Una parte di questi artisti e
musicisti si è guardata negli occhi e ha avuto voglia di fermare l’aria che si
stava respirando. Cosi in tre giorni di registrazioni e riprese rigorosamente
live è uscito fuori il disco “vol 1”
del Collettivo ed è iniziato il nostro percorso di concerti: un’opportunità per
tutti noi di scambio, di confronto e di collaborazione.
Nel tuo percorso però oltre al Collettivo Angelo Mai ci sono anche
esperienze da musicista per il teatro. Tra queste la partecipazione allo
spettacolo tratto da “Gomorra”, che continua tutt’oggi. Per concludere volevo
chiederti che idea ti sei fatto sulla polemica riguardo la presunta cattiva
pubblicità che l’opera di Saviano farebbe all’Italia.
Non credo ci sia stato bisogno di
aspettare il libro di Roberto per fare cattiva pubblicità all’Italia: tra i
temi trattati anche in “Gomorra”, la politica del nostro governo e tutto o
quasi ciò che l’Italia esporta in questo momento storico, credo che il nostro
pPese ce la stia facendo da sola a farsi una brutta immagine. Ho letto tanti
articoli suoi e visto tante interviste, ho scritto la musica per la versione
teatrale di “Gomorra” durante la quale ho avuto modo di conoscerlo di persona.
Difendo e sostengo il suo operato, il suo coraggio, il suo sacrificio e non ci
sono se o ma quando il messaggio è così forte.