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Useless Wooden Toys

Satira-disco

 Il Piatto forte degli Useless Wooden Toys è servito: i sapidi ingredienti del secondo album del duo cremonese composto da Riccardo Terzi e Gilberto Girardi sono un hip-hop fortemente orientato verso i suoni delle produzioni made in States, il big beat più immediato, una manciata di funk stiloso, ma anche e soprattutto la sottile ironia ed autoironia dell’Italo-disco e un’elettronica che, dalle sperimentazioni della computer music e, di contro, dalla seduzione delle ripetizioni in loop delle frasi musicali dell’house si muove verso un appeal più pop. In questo disco, pubblicato dalla EMI e infarcito di collaborazioni dal sapore variegato di scene musicali diverse (da Pernazza degli Ex-Otago a Il Genio, dai My Awesome Mixtape agli Amari con Enrico Gabrielli e Rodrigo D’Erasmo, dal Piotta a Dargen D’Amico), i brani sono studiati per far ballare e divertire, ma fanno anche satira su eterni festaioli very kitsch (v. il singolo virale Il Tirannosauro), sulla retorica della appiccicaticcia e ben poco consolatoria pacca sulla spalla o su rivoluzioni organizzate come la movida, così come riflettono con un sorriso a metà su danni e timori della crisi economica o sulla generazione precaria dei trentenni di oggi. Ne parliamo con Riccardo Terzi.   

Siete al secondo album, ma tra live, remix e collaborazioni siete attivi dal 2002: come pensate che la vostra musica sia cambiata e maturata in questi anni?

Beh, noi siamo partiti come un progetto sicuramente più sperimentale, nel senso che abbiamo approcciato più il mondo della computer music, del campionamento, della produzione, pian pianino…e poi nel corso degli anni abbiamo trovato più delle nostre sonorità, che abbiamo cercato di affinare sempre di più. Non dico che avremo reso il nostro suono unico, ma comunque abbiamo cercato di renderlo sempre più personale; il nostro sound si basa su un concetto di melting-pot, di grande miscuglio di influenze che vanno dall’italo-disco all’hip-hop, dal funk al pop, perché il disco di cui stiamo parlando è fortemente pop come tipo di strutturazione dei pezzi. La musica elettronica solitamente è più “dilungata”, i concetti e gli sviluppi si ripetono molto di più, noi abbiamo voluto sintetizzare molto in canzone. La nostra musica è cambiata e si è evoluta quindi in questa direzione, magari più togliendo che aggiungendo, con più dono della sintesi.

Nel vostro percorso di crescita e maturazione, quali esperienze pensate che abbiano influito maggiormente, sia in termini di acquisizione di una nuova consapevolezza, di approfondimento delle vostre conoscenze, ecc., sia in termini di visibilità?

Per quanto riguarda il primo punto, sicuramente ti rispondo che ci ha aiutato a crescere musicalmente il fatto di essere produttori che lavorano tanto facendo collaborazioni: lavoriamo tanto con tanti artisti, che molto spesso non padroneggiano completamente il discorso della produzione elettronica…Piatto forte stesso è un disco in cui ci sono una decina di artisti che si sono approcciati alla nostra musica, accettando di rivisitare un po’ la loro creatività in una logica più dance-floor e quindi il contrasto e connubio, nello stesso tempo, con queste figure creative ci è servito molto anche a credere in noi stessi, molto banalmente. Ci ha aiutato a sentirci credibili con la nostra idea di musica, rafforzandoci molto, in termini di consapevolezza. Per quanto riguarda la visibilità, il mondo indie italiano ci ha sempre molto supportato: intendo tendenzialmente realtà come il MiAmi Festival a Milano e Rockit come community più vicina ai musicisti indipendenti; un paio d’anni fa quando abbiamo chiuso il MiAmi come headliner della parte dance, è stato un momento di consacrazione in quel mondo. Poi un’altra esperienza è stata aver suonato su un aereo per una festa di MTV: anche questo ci ha dato molta visibilità. Sai, oggi è più facile avere visibilità se fai qualcosa legata a un media, a un evento particolare, piuttosto che alla tua reale proposta musicale e quello è stato un boost non da poco. Infine ricorderei una collaborazione che abbiamo fatto con Dj Stiller l’estate scorsa, che ha registrato un nostro pezzo [Teen Drive In], fortissimo, tanto che l’abbiamo pubblicato in una compilation a Tokjo, in Italia in una compilation di Deejay Time, in una di Radio 105…E’ stato il nostro primo pezzo radiofonico, che è stato passato tantissimo in radio, una cosa che in Italia serve ancora parecchio, anche se ormai esce tutto sul web e viviamo sul web.

A proposito del web ed anche di strategie che in qualche modo possono dare visibilità mediatica, com’è nata l’idea del video de Il Tirannosauro?

Noi (in particolare io) siamo amanti dei new-media: mi affascinano, li studio, li utilizzo e con questa società e casa di produzione di amici di Milano, la Dude, l’idea era di creare un progetto di comunicazione un minimo innovativo legato al concetto di viral, di questi video che l’utenza del web fa girare in quanto divertenti, giocosi o con altre connotazioni. L’idea è stata di prendere il video dei Duck Sauce di Barbra Streisand e riportarlo in modo molto più ironico nella Milano creativa: tutti i personaggi del video sono amici della creatività milanese. Il personaggio de Il Tirannosauro è nato sostanzialmente come metafora di quello che è oggi in Italia un personaggio fortemente spocchioso, volgarotto, ridicolo, esagerato, che quindi nel video balla in un abito rosa alla Elvis... L’operazione è piaciuta molto, anche a Wired stesso che ci ha dato la spinta iniziale con un bel numero di contatti e di click. Una radio a Roma ha organizzato un contest virale per cercare immagini di persone che facevano il gesto de Il Tirannosauro: era proprio quello che volevamo. E la cosa bella è che l’idea è nata spontaneamente!Siamo molto contenti quindi dell’operazione del video.

A proposito del testo de Il Tirannosauro e in generale dei testi delle vostre canzoni, nell’album in apparenza ci sono diversi pezzi che sembrano ispirati ad un non-sense divertente e invece poi racchiudono una forte dose di ironia, anche al di là dei giochi di parole, delle rime, ecc. Che obiettivi vi ponete, quando volete realizzare un vostro pezzo, quando scrivete un vostro testo?

Generalmente ci piace l’idea di mettere insieme due cose: da un lato il fatto di non essere cantautori, di non avere pretese di non volere lanciare dei messaggi forti, degli insegnamenti, ma semplicemente di far divertire. C’è quindi la componente della leggerezza, per il fatto che comunque il nostro obiettivo, anche quando suoniamo dal vivo, è questo, senza voler troppo essere concettuali. Dall’altro lato, quando abbiamo iniziato avevamo un’altra età, ora abbiamo 32 anni e ci piace anche l’idea, sempre con il sorriso e l’autoironia (che secondo noi è una bellissima forma di intelligenza, come diceva Max Gazzè), di provare a fare un po’ di satira, provare a ridicolizzare non solo noi, ma anche gli altri. Quindi in questo disco, come hai detto bene, ci sono dei testi secondo me molto significativi da questo punto di vista, ad es. Facciamo la rivoluzione, dove sostanzialmente si apre una finestra su cosa vuol dire oggi essere giovani in Italia e quanto sia difficile progettare un proprio futuro. Se fosse stato un testo serio, avrebbe cozzato tantissimo con la tipologia di brano italo-school. Invece nel cantato di Pernazza degli Ex-Otago sembra un po’ una filastrocca e proprio per questo fa riflettere, ma mantenendo il sorriso. Poi il pezzo di Dargen D’Amico, Pioverà benza, è un altro esempio lampante, un pezzo house. Ci sono un po’ degli opposti che si fondono e in alcuni pezzi penso funzioni molto.

In questo nuovo album ci sono appunto molti ospiti, da Il Genio agli Ex-Otago, dagli Amari al Piotta e Dargen D’Amico: come sono nate queste collaborazioni e pensi abbiate colto e assorbito qualcosa dal mondo musicale di questi artisti, che provengono da scene diverse (hip-hop, indie e così via)?

Le collaborazioni sono nate in quanto in questi due anni abbiamo girato tanto per l’Italia e abbiamo conosciuto tante realtà, tanti altri artisti e abbiamo trovato tanto terreno fertile per provare a fare qualcosa di diverso. Volevamo il più possibile andare a ripescare mostri sacri dal nostro punto di vista della cultura underground italiana, di una decina di anni fa, dei nostri ascolti, come il Piotta, che per il discorso che facevamo prima è un esempio lampante di critica sociale, portata avanti ad es. con un brano come il Supercafone, in modo quindi molto leggero e molto simpatico. Per altri versi invece cercavamo qualcosa di molto particolare e quindi nomi con una fortissima connotazione artistica, come Il Genio, Dargen D’Amico, My Awesome Mixtape. Indie o non indie – le etichette lasciano il tempo che trovano – hanno un’identità molto forte, delle caratteristiche che noi volevamo evidenziare. Da ognuno di loro abbiamo imparato tantissimo nella scrittura, nella melodia...Quando nasci come un produttore dance o di musica elettronica, è molto più facile che ti concentri sul ritmo, sul groove, sulla ricerca di un effetto al livello ritmico, e hai tanto da imparare su un discorso melodico, armonico, legato proprio ad una traccia melodica della voce che deve rimanere in testa. Questo è un  esercizio fondamentale, perché la maggior parte di questi artisti con una chitarra e la loro voce può scrivere una canzone efficacissima. Il nostro primo disco [n.d.r.: Dancegum (I Dischi de La Valigetta/Self, 2008)] era stato prodotto al livello artistico da Bugo, che è proprio un esempio di un artista che con una chitarra e un suo testo può tranquillamente arrivare alla gente, senza aver bisogno di avere chissà quale produzione dietro. Il nostro album quindi è una fusione delle due cose, la nostra capacità di essere topi da studio alla ricerca di sonorità fresche e dall’altra parte la scrittura melodica della canzone.

Ti sei già soffermato sulla scelta del Piotta tra i guest dell’album. La canzone affidata a lui è La fine del mondo e anche in questo caso si tratta di un brano in cui si affronta un tema serio come la crisi economica in modo ironico e leggero, tra conseguenze quotidiane e profezie di sventura: cosa ci puoi dire di questo pezzo?

“La Grecia è magna ma non se magna” secondo me è geniale!(ridiamo) No, vabbè, secondo me Tommaso [Zanello, nome all’anagrafe del Piotta] è uno degli esempi di sinergie artistiche e umane particolarmente riuscite della nostra carriera, come lo è stata in questo album anche quella con Pernazza. Ora Tommaso tende a scrivere molto impegnato, perché nelle sue ultime cose è fortemente combat quasi come tipo di impostazione dei suoi testi e come sonorità è arrivato molto vicino al rock. Con noi ha lavorato molto a colpi di lima per avvicinarsi sempre di più ad uno stile più nostro e più suo di un tempo e lì sta la sua grandezza: pur essendo un artista sulla piazza da molto più tempo di noi e con un certo successo, pur di fare questa cosa, è venuto molto volentieri nella nostra direzione, perché affascinato dal revival dell’hip house anni ’90 che proponiamo.

Nella scena italiana, quali sono gli artisti che stimate di più e a cui vi sentite più vicini come approccio alla musica?

Sicuramente come percorso di carriera Stefano Fontana-Stylophonic, oltre ad essere un grande amico, ha un’idea di un progetto artistico simile al nostro, che consiste nel partire dall’house e arrivare alla produzione di grandi artisti come Jovanotti stesso o Meg. Poi posso citarti Caparezza, che avevamo contattato, ma poi non è riuscito a partecipare, perché stava lavorando al suo disco. Lo trovo un incredibile comunicatore, mi piace moltissimo. Poi i Casino Royale sono stati un patrimonio incredibile, uno dei progetti italiani più all’avanguardia di sempre. E poi al livello di produzioni un pochino più dance amo particolarmente, ovviamente, i Crookers, che sono tra le storie d’eccezione italiane. Direi Spiller e Scuola Furano invece per quanto riguarda la house più french-touch, e quindi i produttori house del nord-est.

Invece di quali artisti vi piacerebbe remixare un pezzo? Quali artisti vi piacerebbe che vi contattassero domani per una proposta di questo tipo? Anche lontani da voi, musicalmente, ma magari intenzionati a fare un’operazione musicale particolare…

Beh, tra gli italiani sempre Caparezza, che è l’artista con cui mi piacerebbe di più fare qualcosa in Italia adesso. All’estero te ne posso dire un miliardo…! Dizzee Rascal, forse, che è un rapper incredibile… ma ce ne sono un’infinità! 

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