Esterina
Iniziamo dal
principio. Avete alle spalle dodici anni di esperienza, in cui con gli Apeiron
avete “ricercato nel rock le vostre ragioni”. Trovate? O per non averlo fatto
avete cercato il cambiamento?
Abbiamo cercato nella musica che
abbiamo potuto le “ragioni”, non è importante averle trovate, forse è
necessario considerare solo il processo che ci porta, che ci lega ai
significati. Ragione come facoltà inconsistente della nostra esperienza.
Viceversa, non c'è niente di più morto di un uomo con le sue ragioni. Molto
meglio avere torto a quel punto. In questa contraddizione sta per noi il senso
dell'arte e delle musiche fuoriuscite dal loro genere.
Quando è arrivata Esterina? È
nata con l’incontro con il produttore Guido Elmi?
Esterina all'anagrafe diciamo
pure di sì, venivamo da una storia diversa e portavamo ancora un nome di
un'altra esperienza. Per ragioni legali (inizialmente) abbiamo dovuto pensare
un altro nome ed è stata anche un'esperienza un po' dolorosa, ma non troppo.
Chiamarsi nuovamente e con un nome di donna ci ha fatto bene. Pur essendo una
parola sola, ci ha riconsegnato un immaginario che era tanto necessario quanto
latente. Ogni gruppo è, oltre alle cose che ha da dire, la possibilità che ha di
farlo, Guido ci ha dato una possibilità di poterlo fare.
Oltre alla
classica strumentazione da rockband (chitarra, basso, batteria) usate strumenti
assai particolari, in un certo senso un po’ retrò,
come può esserlo il theremin. Com’è nato questo interesse? Che studi ci sono
dietro?
Sì. Siamo gente
curiosa. Il theremin che citi è il primo strumento elettronico mai costruito
(1919) abbiamo acquistato da poco un Piano Rhodes Mark I della metà dei
settanta, poi abbiamo un harmonium del 1926 costruito a Viareggio. Ci
interessano molto gli strumenti vecchi così come quelli contemporanei, ma se ci
pensiamo bene tutti gli strumenti del rock sono retrò (per usare una parola che usi te) la mia Gibson Les Paul
Custom è stata prodotta nel 1993 ma è la versione aggiornata della Les Paul che
è stata prodotta nel 1952, quindi una trentina di anni dopo il theremin e
entrambi in un modo e nell'altro derivati dall'impulso industriale dovuto alla
produzione bellica. Capire come gli strumenti sono stati inventati è una cosa importante,
anche il Rhodes Mark I deriva da un piano che era costruito con dei resti di
bombardiere B-17. Qualcosa ci deve dire per forza. No?
Esterina è un nome singolare.
Da dove nasce?
“Esterina, i vent'anni ti
minacciano” è il primo verso di una poesia di Montale molto famosa: Falsetto. Dalle nostre parti in un modo del tutto
sorprendente molte donne sole e anziane, si chiamano o si fanno chiamare
Esterina. “Esterina” è anche un film di Carlo Lizzani del 1959 che racconta le vicende di questa giovane
contadina che si muove dalla campagna alla città, anche se il film non ebbe
molto successo la rappresentazione che fa di questo viaggio, di questo spazio
da colmare tra campagne e città negli anni della deturpazione definitiva
dell'equilibrio millenario tra essere umano e ambiente, del fraintendimento
epocale che tutt'ora ne deriva di benessere e status sociale metropolitano è
molto interessante e ci riguarda da vicino. È un nome non convenzionale
per una rock band, ci siamo scannati per decidere. Mi sembrano ragioni
sufficienti per amarlo.
Balza subito all’orecchio la
scelta del linguaggio. Una commistione in perfetto equilibrio tra italiano e
parole prettamente toscane difficilmente traducibili. È un modo per
sottolineare un forte senso d’appartenenza al territorio e soprattutto ai suoi
valori?
Non abbiamo appartenenze. Non
dobbiamo difendere nessun valore. Chi lo fa (da sempre) lo fa per averne un
ritorno in termini di potere. Come chi difende i valori della famiglia e poi
vorrebbe il mare pattugliato dalle navi della Marina Militare con il permesso
di avere la coscienza pulita ad affondare le zattere dei disperati (di altre
famiglie!). Chi parla di valori in termini di appartenenza lo fa sempre per
parlare di se stesso, con un intento pornografico e non di ricerca del valore
che cerca di descrivere. È una cosa che non ci riguarda. Il lavoro che facciamo
sulla lingua è cercare di essere più scoperti possibile. Di fare più male
possibile, di andare più fondo possibile. Il dialetto in alcuni casi è più vero
dell'italiano, più radicale, e anche più moderno. Sta alla lingua come il
sudore alla fatica.
Questo lavoro è pieno di
contrasti: packaging, rock che in certi punti rasenta il metal e trascinanti
ballate lente; terminologie quasi auliche e dialetto; ricercati suoni
sintetizzati e prese dirette dalla natura e da ambienti di vita quotidiana.
Sono dicotomie che vi portate dietro dalle vostre esperienze?
Anche se non l'avete potuto
vedere per bene, la verità è che siamo degli estremisti. Tutto qui (sorride, ndr).
Denuncia verso la società,
attaccamento ai valori autentici, natura. Portateci un po’ in viaggio tra le
tematiche dei vostri pezzi.
Se dovessi sintetizzare le
tematiche dei nostri pezzi, cosa per altro non richiesta, direi che cercano
senza riuscirci quasi mai di muoversi nel dolore. Anche la bellezza è un
dolore. Il dolore curato per bene.
Esterina preferisce città o
campagna? Italia o estero?
Sì, Esterina è nata qui in un
posto molto lontano dalla città. Non credo che si tratti di scegliere dove uno
sta meglio o preferisce restare, eleggere un luogo a residenza ideale.
Lasciamolo fare a ogni americano che dopo una vita bulimica nelle metropoli
riscaldate o raffreddate a seconda della stagione e della latitudine poi se gli
è andata bene si fa la casa nel Connecticut con il barbecue di ordinanza a
declinare ancora e all'infinito la simulazione della propria esistenza.
Facciamo scegliere Veltroni. La storia
di Esterina è quella di persone che si trovano per “campare” senza aver scelto
di starci. Molti posti possono essere belli se ci stai con le persone che
possono esserti compagne.
Una canzone non vostra che vi
rappresenta di più e perché…
Non saprei scegliere una canzone
che mi rappresenta, tanto meno una canzone che ci rappresenta. Siamo persone
così diverse, a volte così antitetiche che l'operazione che mi chiedi dà
“errore”. Ti posso dire la canzone che sto ascoltando adesso e che mi racconta
più di altro: Last Flowers dei Radiohead.
In molti vostri pezzi si legge
una forte critica al decadimento della società verso denaro e opportunismo a
scapito di sentimenti sinceri e autentici. Soluzioni da proporre?
Soluzioni? Non credo che possiamo
pensare che esista una soluzione. C'è una fine e ci sono ancora diversi modi
per arrivarci. Credo nelle persone e sarebbe bello, anche senza riuscirci per
niente, provarci per davvero a venirne fuori. A fare che sia “basta” di
tradirci così ogni giorno. La nostra parte è quella di iniziare a raccontarlo
senza risparmiare niente.
Diferoedibotte non è certo, e
per fortuna, un prodotto commerciale. Quanto è stato difficile fino ad ora
destreggiarsi nel mercato discografico italiano? Quali sono le vostre
aspettative?
E’ stato semplicemente quasi impossibile. Il mercato discografico
italiano non esiste per gli indipendenti perché non esiste un interesse sociale
diffuso. Noi speriamo di andare in giro a suonare e vedere se qualcuno che ci
vuole ascoltare esiste davvero.