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Pippo Pollina Fra due Isole è una sorta di “best
of” registrato dal vivo. Prima del concerto avevi già in mente di farne un
disco? Sì, anche se l’idea non è nata molto
in anticipo, ma un paio di settimane prima della registrazione. Ho pensato che documentare
questo spettacolo, e nello specifico la serata magica di Zurigo, era
un’occasione irripetibile. Nel realizzare queste tue canzoni con il supporto dell’orchestra, qual
è stato l’elemento che ti ha più sorpreso? È stato quello di capire che i
brani, nonostante fossero stati modificati e arricchiti musicalmente da
tantissimi musicisti e da un’orchestrazione studiata veramente in maniera
magistrale dal direttore Massimiliano Matesic, non hanno perso la loro
intensità in quanto canzoni, mantenendo intatta la loro centralità di testo e
melodia, senza perdere la forma con cui sono stati concepiti. Matesic ha giocato un ruolo fondamentale. Come avete interagito per
arrivare a un risultato così ben equilibrato tra sfondi classici e primi piani
cantautorali? Ci siamo arrivati perché Matesic
non aveva mai lavorato con un cantautore e mai fatto musica al di fuori del
contesto classico, ed era proprio quello che interessava a me: cimentarmi in
questa operazione con qualcuno che non si lasciasse influenzare da altri generi
musicali. La nostra idea è stata quella di trovarci al centro di questo
cammino, ognuno seguendo la sua direzione. Spesso le orchestre sinfoniche al
servizio della musica pop producono un impasto mieloso di armonie che diventano
molto kitch. Gli ho chiesto di rimanere rigoroso nell’orchestrazione dei brani
cercando di trasporre queste composizioni come se fossero dei componimenti
classici. Dalla registrazione si evince una grande partecipazione da parte del
pubblico, che risponde in maniera entusiasta. Ci racconti le sensazioni che hai
vissuto sul palco? Una meraviglia. Anche perché
questo concerto è stato pubblicizzato da una mia newsletter del mese di
febbraio di quest’anno (il concerto si è tenuto il 5 settembre, ndr), e dopo
dieci giorni avevo venduto tutti i 1285 biglietti disponibili per il teatro.
Quindi non è stata fatta né pubblicità, né promozione. Il mio pubblico ha
capito che si trattava di un evento, tanto è che dei presenti 450 venivano
dall’estero, 450 da Zurigo e 400 da altri cantoni della Svizzera; è stata una
corsa al biglietto, e 450 persone venute dall’estero è un dato significativo. Il
mio pubblico ha un rapporto particolare con la mia musica e le mie canzoni. Questo
mi onora e mi inorgoglisce, ed è l’elemento che mi ha reso più felice. Scorrendo la scaletta vengono fuori delle situazioni stimolanti e si
percorre una specie di viaggio emozionale: dalla commozione di un brano come
“Leo” fino agli slanci istintivi di “Tammurra e vuci”. È in questi contrasti
che va ricercata la chiave di lettura di Pippo Pollina come artista e come uomo? Penso di sì. Faccio mio il
postulato secondo il quale “solo chi cambia rimane fedele a se stesso”, nel
senso che amo la vita in tutte le sue sfaccettature, quindi possono benissimo
coesistere degli slanci popolari, come sono quelli legati a “Tammurra e vuci”, insieme
al tango argentino, piuttosto che alla chanson francese o ai ritmi jazz. Tutta
la musica può convergere verso un centro, che siamo noi; e noi dobbiamo
riuscire a essere una sorta di rosa dei venti, abbiamo il dovere di riuscire a esprimere
attraverso la musica tutte quelle anime che ci popolano, che ci abitano. Chiaramente
trovando una coerenza interna. Non sei mai stato un autore molto in vista, soprattutto in Italia, ma
malgrado ciò la gente ti vuole molto bene e ti dimostra grande stima. Come te
lo spieghi? Me lo spiego per il fatto che la
gente sa distinguere. Non voglio essere presuntuoso, ma voglio dire che il
rapporto che ho con il mio pubblico è particolare. Perché, pur non essendo io
un musicista popolare, conosciuto dalle grandi masse o recensito dai giornali
nazional popolari, ho un pubblico che altri colleghi più in vista non hanno. Penso
che il tipo di relazione che il pubblico ha con la mia musica è di altissimo
livello, e questo la dice lunga, perché vuol dire che l’intensità con cui
avviene questo tipo di relazione è alta. E fa capire quanto la parola “qualità”
sia più importante rispetto alla parola “quantità”. Il tuo cammino è fatto di tanti piccoli episodi. Arrivato a questo
punto consideri la tua carriera come una grande storia? Tutte le nostre storie individuali
e personali sono grandi. Non so, la mia non la considero più grande di altre. Ogni
cosa ha l’importanza che ha, né più né meno. Anche questa vicenda con
l’orchestra sinfonica di per sé è una storia grande, perché implica il
movimento di novanta persone e perché è un’esperienza che non tutti possono
fare o e io stesso non so se sarà possibile rifarla. Tuttavia questa
esperienza, anche nella sua grandezza, ha dei limiti. C’è stato un solo momento, in tutti questi anni, dove hai avvertito la
sensazione di non farcela? Assolutamente no. Mai e poi mai. Questo
dipende anche da quali sono le mire di ognuno di noi. Se le tue mire, come nel
mio caso, sono quelle di fare le cose in cui credi, le cose di qualità, allora
posso dirti che non ho avuto mai un attimo di esitazione, di dubbio. Certo, se
poi ti aspetti di arrivare al primo posto della hit parade allora dico no, non
posso farcela, ma questo perché sono situazioni anche legate alla società e al
contesto in cui viviamo e a cosa è il mondo oggi. Negli ultimi venti anni la scena cantautorale italiana è cambiata
notevolmente. Tu che idea hai a riguardo? È totalmente diventata un’altra
cosa. La canzone d’autore non è più una canzone popolare. Non è più un oggetto
di largo consumo da parte della popolazione italiana. Prima, quando me ne sono
andato dall’Italia all’inizio degli anni ’80, c’era una corrispondenza totale
tra chi faceva canzone d’autore e le vendite dei dischi: i vari Edoardo Bennato,
Antonello Venditti, Francesco De Gregori e tutti quelli che facevano questo mestiere
erano sostenuti dal fatto che c’era una cultura popolare corrispondente. Oggi
chi fa canzone d’autore è un dinosauro. C’è poco da discutere, la società è
cambiata e sono passati tanti anni dove sono stati comunicati altri modi di ascoltare
la musica e la canzone d’autore italiana è diventata un’operazione datata. Ci
sono tantissimi colleghi molto bravi che la fanno e che hanno un seguito di
nicchia, intendo i più fortunati. In un’intervista, riguardo ai motivi che ti hanno spinto a lasciare
l’Italia, hai dichiarato: «Nel 1985 l’Italia era un paese corrotto». Cosa pensi
dell’attuale situazione politica e sociale? Diciamo che i motivi per i quali
nel 1985 decisi di andare via dall’Italia, erano quelli che oggi vediamo sotto
i nostri occhi, e debbo amaramente dire che queste situazioni le avevo
largamente previste; l’avevo pensato, si vedeva, si capiva. Io ero giovane,
avevo l’età e l’incoscienza per farlo e ho detto: “io qua non ci voglio stare,
perché ho capito che le cose non le posso cambiare e siccome non mi piacciono,
tanto vale andarsene. Se riesco a sbarcare il lunario tanto meglio, altrimenti
si vedrà”. E devo dire che purtroppo ci avevo visto bene, il disegno era
abbastanza chiaro. La strategia di abbassare il livello culturale e intellettuale
di un popolo, quello italiano, per poterne poi fare quello che si vuole, oggi
ha trovato compimento. Non c’è dubbio che oggi c’è una società che legge meno,
che interpreta meno, che ha in mano meno mezzi per interpretare la realtà, e
quindi è più manipolabile rispetto al passato. Non dico che prima non lo fosse,
ma oggi lo è molto di più. Ecco, questo è il tipo di società che immaginavo
potesse prendere piede in base a ciò che cominciava a succedere in quel periodo.
Quelle sensazioni hanno trovato forma e compimento, quindi c’è da rimboccarsi
le maniche, perché questa situazione un giorno cambierà, ne sono convinto,
perché tutto è ciclico e anche questa situazione un giorno non ci sarà più. Bisogna
capire quando e soprattutto capire come. Sei fiducioso quindi. Vista com’è la realtà oggi non
posso che esserlo. Cosa c’è di peggio? A parte la povertà e la guerra? Cosa ci dobbiamo attendere per i tuoi secondi 25 anni di carriera? Quello che ho sempre fatto. Questi
svolazzi nella musica, cercando di continuare a mettere un po’ di passione in
questo mestiere, la passione che mi ha sempre animato sia nell’incidere i
dischi che nell’andare in tournée. Aspettatevi che sempre di più verrò in Italia,
perché una delle mie intenzioni per gli anni futuri è quella di incidere sempre
di più nella nostra realtà musicale. Se prima mi permettevo di venire un mese
all’anno perché non avevo tempo, adesso questo tempo me lo voglio prendere. Perché
sento che si sarà un forte cambiamento, e quando questo avverrà io voglio esserci.Una sinfonia lunga 25 ann
La storia di Pippo Pollina non conosce percorsi prestabiliti. Perennemente
in viaggio, sia come uomo che come artista, ha raggiunto all’estero una
credibilità che in Italia, probabilmente, nessuno gli avrebbe mai riconosciuto,
un po’ per la cecità dei molti addetti ai lavori che popolano lo Stivale, ma
anche per un carattere talmente semplice e spontaneo da risultare non idoneo al
ruolo di pop-star.
Ma il palermitano di stoffa ne ha da vendere, e lo dimostra per
l’ennesima volta nel suo nuovo lavoro, il live con l’Orchestra Sinfonica del
Conservatorio di Zurigo intitolato “Fra due isole” pronto a celebrare i primi
25 anni di carriera. Lo abbiamo intercettato in una breve pausa del tour
italiano, giusto il tempo per fermarsi a riflettere sul passato, gustarsi il
presente, e darci qualche buona notizia per il futuro.
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