Arisa
Chi è
Arisa? Come ti spieghi l’essere diventata un “caso”, pur restando te stessa? Sembra
quasi che esistano due Arise: una più impacciata lontano dal microfono, e una
dalla voce splendida quando canta.
Arisa è una ragazza semplice, che ha cercato in tutti i modi
di non amalgamarsi alla massa, e forse le è venuto molto facile. Quello che
provo quando canto è diverso da tutte le sensazioni che provo nella mia vita
“normale”, nel senso che quando canto io non penso a chi sono, canto e basta. E
come se dicessi a voce alta e sicura quello che voglio comunicare, nel senso
che tutte le mie canzoni sono abbastanza autobiografiche e molto ironiche, o
comunque ironizzano su cose che riguardano la vita di tutti i giorni: tipo, in
alcune canzoni del disco, come Buonanotte,
che è un messaggio universale, io auguro la buonanotte a tutti; quando cantavo Sincerità sul palco di Sanremo, io incitavo tutti a essere sinceri,
perché sul mio esempio si poteva capire che comunque tutti i rapporti devono
basarsi sulla sincerità, altrimenti non c’è rapporto. La verità è alla base di
tutto.
Nel
disco parli molto di te, nonostante il tuo aspetto riservato e posato. Non temi
un po’ la sovraesposizione della tua intimità?
La mia intimità la tengo ben fuori: è giusto che io faccia
conoscere alle persone che “mi vogliono bene” quelli che sono i caratteri
fondamentali della mia vita. Io sono innamorata, sono fidanzata, e probabilmente
– se Dio vuole – sposerò questo ragazzo. Ho una famiglia stupenda, ho fatto una vita molto umile e molto
tranquilla. Mi è stato chiesto a volte «che cosa ho detto al mio ex-ragazzo
quando…» – insomma, di cose più personali io non amo parlare, perché in effetti
è molto generale che io abbia un ragazzo, che sia felice con lui e che abbia
una famiglia fantastica. Io dico le cose che possono far capire che io sono
così: sono una ragazza fortunata, ma tendo a tenere le cose veramente personali
per me.
Nel
disco dimostri una versatilità di genere invidiabile. Con un singolo forte come
Sincerità, non temi di rimanere
intrappolata in uno stereotipo?
Non temo di rimanere intrappolata nello stesso stereotipo,
innanzi tutto perché uscirà un secondo singolo e sarà tutto il contrario di Sincerità. L’ho scelto perché mi fa
impazzire ed è molto divertente, ma anche per mettere in risalto che Arisa è
anche esplicita e divertente, e ha sonorità più acide e movimentate. Non mi
preoccupo perché ho fatto scelte piuttosto diverse tra loro, accomunate da
fattori che non riguardano la musica, ma l’ironia, la positività, il raccontare
storie che abbiano un senso compiuto – non utilizzo astrattismi particolari o
altro – le persone che si interessano a me, se mi seguono capiranno. È così
palese che io non mi sia rinchiusa in un genere solo…
Sincerità è un pezzo swingato e confidenziale, quasi
da locale; altri brani, come Abbi cura di
te, sono molto più r&b, da folla nutrita e ballerina. In quale contesto
di pubblico ti sentiresti più a tuo agio?
Abbi
cura di te è un bel pezzo, però io ne preferisco altre, nel senso che
è quello un po’ più triste di tutto il disco. Dato che voglio sprizzare sole da
tutti i pori, sceglierò come secondo singolo qualcosa di più allegro e
spensierato: le persone non si devono ritrovare nelle cose tristi, si devono
ritrovare nelle cose allegre, devono ridere, devono sapere ironizzare. In L’uomo che non c’è, c’è una ragazza
“zitella” che non riesce a trovare il suo ragazzo, e se l’inventa; in Te lo volevo dire, c’è la descrizione
dell’amore, delle dinamiche di un rapporto («finisce nelle notti bianche /
nelle frasi troppo stanche») però dice che lui l’ha tradita, ma è stato meglio
così perché l’ha tradita con una iena, ma non l’ha fatto perché lei non
valesse, ma solo perché non era in grado di mantenere un impegno così grande.
Quindi la massima, l’incoraggiamento… anche in Abbi cura di te c’è una forma di incoraggiamento, perché lei si
rialza, nonostante lei sia rimasta delusa da quest’uomo, però io non mi
soffermerei troppo su questo concetto, nel senso che bisogna ridere nella vita.
Per la situazione di dove mi sentire più a mio agio… direi dappertutto. Io
credo che le cose che canto siano accomunabili a tutti. Quando è finito
Sanremo, o comunque quando è uscito il disco, le persone mi hanno detto «grazie,
perché ci hai dato un sacco di emozioni!». Ma è venuta la mamma, è venuta la
manager con la valigetta e la pelliccia all’aeroporto – sai, coi tacconi, tutta
tirata – è venuta la bambina a dire «sei bravissima!», è venuto il signore
della sicurezza, che addirittura si è fatto scrivere il mio nome sulla divisa
da lavoro. Nel senso, io sono felice perché il mio modo di essere mi ha aiutato
parecchio: il mio essere affabile, il mio venire da una realtà abbastanza
contadina, mi ha aiutato a guardare i “grandi” con rispetto, ma non con
mitizzazione, e quelli come me con molto affetto e molta familiarità. E la
gente secondo me lo vede.
Nel
disco dimostri una padronanza di diversi contesti musicali, che comunque riesci
a far tuoi. La tua formazione autodidatta ti ha aiutato, o comunque ha
influenzato queste scelte variegate?
Allora, io non sono compositrice e non sono autrice, sono
solo un’interprete che si limita ogni tanto a dare l’idea in base alla melodia
che sento. Sapete che i pezzi si fanno prima in finto inglese su una melodia, e
poi si scrivono. Io scelgo di che cosa parlare, quale sarebbe l’argomento che
vorrei trattare, e le persone che lavorano con me sono estremamente brave a
rendere quello che desidererei fare. Il mio percorso di vita da dilettante, non
da autodidatta – perché poi in realtà io ho fatto quindici giorni all’Accademia
di Mogol, ho vinto una borsa di studio, e quello è stato il punto in cui ho
capito tante cose. Tutto il lavoro che avevo fatto prima – acquisendo certi
automatismi, ascoltando e riascoltando e ripetendo diversi stili musicali – mi
ha avvantaggiata. Il primo cantante che adoravo è stato Michael Jackson, per cui mi mettevo a cantare “Heal the world, make
it a better place…”, poi My All di Mariah Carey, poi Celine Dion quando è uscito Titanic,
gli 883 perché mi piacevano le
parole, mi piacevano i racconti. Poi ho cominciato con la musica dance, con i
dischi “Hit Mania”, “Hot Hits”, verso le scuole medie, e la cosa che mi colpiva
di più è che andavo a vedere sempre, anche nella musica house commerciale,
delle voci femminili. Il primo che ho cantato era di Lisa Stansfield, era Change
– “If I could change the way…” poi io non so l’inglese, quindi scusate. Ricordo
di aver sentito questa canzone per la prima volta da mio cugino, aveva questo
stereo enorme e io stavo sempre là: mi sono sentita la voce e ho detto «lo
sapete che mi piace?». E quindi ho cominciato, ho sviluppato degli ascolti e
sono arrivata al CET con delle cose in più. E devo ringraziare l’insegnante Giada
Amadei: è una persona inestimabile, e per me ha fatto tanto. Indipendentemente
dal Signor Mogol, che ha detto che
mi ha scoperto lui, quando l’avrò visto due volte.
Infatti
Mogol aveva dichiarato che Sincerità
era un pezzo molto valido, ma proprio per questo non sarebbe andato bene a
Sanremo…
Ah sì sì, l’aveva detto anche a Giuseppe (Anastasi, autore dei testi e fidanzato di
Arisa, ndr), perché il mio fidanzato lavora all’accademia di Mogol.
Praticamente, quando siamo stati selezionati a SanremoLab, lui l’ha fatto
sentire a Mogol per capire cosa ne pensava, e aveva detto effettivamente che
era troppo bello e loro non l’avrebbero capito. E invece no, è stato capito, è
stato premiato e sono molto felice di questo. Comunque, sta di fatto che io ero
arrivata al CET al Corso Interpreti grazie a una borsa di studio della Regione
Basilicata, e avevo tanti abbellimenti: tipo, se una persona mi chiedeva di
cantare una canzone, se oggi subito mi verrebbe in mente Le mie parole di Pacifico,
prima cantavo Hero di Mariah Carey.
Quindi, una formazione molto classica e molto antica. Però non mi hanno detto
“fai così”, e io ho fatto così: mi hanno fatto capire tutte le motivazioni,
l’importanza per la mia persona di essere esattamente come sono, perché
costituivo un valore differente rispetto agli altri. Ad esempio, io certe volte
cercavo di moderarmi un pochino, ma la mia insegnante mi diceva «tu sei pazza,
vai bene così! Io non ho mai conosciuto una persona più pazzoide di te!». E in
realtà è vero, questa cosa mi ha portato fortuna, perché il mio modo di essere
“pazza” è sicuramente un modo sano che mi fa affrontare in modo molto diverso i
rapporti e la vita, rispetto a quelle che sono le maniere convenzionali. Io
credo molto in Dio, e credo nella comunicazione; credo nell’amicizia, e credo
che si possano stabilire rapporti senza stabilire un secondo fine e senza
moderarsi. Perché moderarsi? Io ti voglio abbracciare e ti abbraccio, penso che
sei una bella persona e te lo dico. Quante volte mi capita di dire a una
ragazza «ma lo sai che sei bellissima?», anche in metropolitana: la gente non è
preparata e mi guarda strano, pensa «questa non è normale», però in realtà è
bello dirle le cose, perché poi si muore, e tante cose non le fai. Io ho perso
tante persone e avrei voluto dirgli tante cose e non ho potuto; ora dico tutto
a tutti e sono contenta. Ecco perché Le
mie parole, per esempio, perché possono reagire male, ma io le dico. E
quindi l’accademia e Giada Amadei mi hanno tolto queste cose, e ho dato valore
al mio timbro, alla mia semplicità – ho cominciato a cantare in una maniera
molto più dritta, a valorizzare il mio timbro, la mia riconoscibilità e
soprattutto la mia persona.
A
proposito, c’è qualche genere o qualcosa che avresti voluto fare in questo
disco e che non sei riuscita a realizzare?
Avrei voluto fare, ma dopo aver chiuso il disco, Vecchia America di Lelio Luttazzi e l’arrangiamento di Sincerità swing con il suo pianoforte.
A
Sanremo, hai avuto il patrocinio eccellente di Lelio Luttazzi. Com’è nata
questa collaborazione? E con chi ti piacerebbe ripetere un’operazione simile?
La collaborazione con il Maestro Lelio ha unito due mondi
musicali molto affini – nel senso che io poi faccio tutt’altro e anche quello:
mi piace molto il jazz, la parte swingata della musica, le atmosfere retrò
classiche, da salotto, il canto lungo, le cose tranquille, serene e soprattutto
ironiche. Sicuramente, il Maestro Lelio è una persona che unisce tutte queste
cose, e poi è un rappresentante del periodo televisivo che io preferisco, e che
purtroppo posso vedere soltanto a spezzoni, che è quello del varietà. È stato
sicuramente un grande onore. Certamente, se dovessi scegliere di lavorare con
qualcuno, continuerei a lavorare con lui per tutta la vita, e un’altra e
un’altra… per tutte le esistenze che mi spettano, se mai dovessero spettarmi.
Insomma, essendo cattolica non ci dovrei sperare e infatti io non ci spero.
Però lavorerei anche con Caparezza,
perché è ironico, è molto geniale: pensa che fa le rime all’interno delle
parole. «Io diventerò qualcuno / non leggerò, non studierò / a tutti voi dirò
di no»: fantastico, l’emblema della società. Menomale che non è per tutti così.
Ora
che, dopo una gavetta che dura almeno da quando sei bambina, passando attraverso
concorsi, il CET di Mogol, la vittoria a SanremoLab e come Nuova Proposta, hai
raggiunto un traguardo fondamentale, a cosa punti?
Al cuore delle persone, nel senso che io farò la carriera
canonica: mi auguro di cominciare al più presto a fare serate, di rendermi
utile per le persone. Io voglio rendermi utile, se per quello che sono,
qualcuno ha voluto che io arrivassi in quel posto, adesso che ho rispetto per
la mia personalità e non mi faccio violenze di nessun tipo, io essendo così
posso dare qualcosa agli altri, e voglio dare qualcosa alla gente. Voglio dare
messaggi positivi ai giovani, rincuorare i genitori, voglio far sorridere ed
essere una figura positiva per la società.
Progetti
nell’immediato futuro? Girerai live?
Non ho programmi, adesso sto facendo la promozione, tanta,
tanta, tanta. E poi sono contenta perché mi invitano in un sacco di programmi
televisivi, andrò dalla Gialappa’s, a X-Factor mi è piaciuto molto – anche se
la mente dei reality non mi fa impazzire. Spero di fare l’artista, di lavorare
nella musica. Io scrivo anche delle cose tipo sceneggiature, anche se molto
elementari, però ho delle belle idee: spero di potermi scrivere i video, e fare
un sacco di cose.
Sappiamo
che sei molto creativa…
Sono “un po’” creativa: “un po’” perché non ho mai avuto il
tempo di coltivare nulla. Però mi piace molto: sono diventata un po’ più
nervosa da quando non riesco più a canalizzare le mie energie in cose
costruttive. Voglio dire, prima stavo dei giorni a “dipingere” – perché poi era
uno scarabocchiare più che altro – a giocare, a marchingegnare con le cose.
Adesso che ho meno tempo è montato un po’ di nervosismo. Però c’è tempo, c’è
tempo… anche perché ho una location molto piccola in quest’ultimo – lungo –
periodo. Spero che le cose cambino e possa anche metter via qualche soldino…