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Grazia Di Michele

I colori di Grazia Di Michele

Per qualcuno, magari sulla quarantina, Grazia di Michele è quella che, con un’iconografica chitarra bianca, cesellava melodie cristalline negli anni ’80 in pezzi gentili e passionali allo stesso tempo come Le ragazze di Gauguin, Sha la la, Manuela o Io e mio padre. Per il pubblico più giovane è “quella di Amici”, per molti è la cantante che ha portato all’ultimo Festival di Sanremo la canzone più interessante e significativa (Io sono una finestra, con Mauro Coruzzi/Platinette). Infine, per una ragazzina siciliana, anni 13, A.D. 1987, è stata uno dei motivi per cui ha preso in braccio una chitarra e si è messa a far canzoni. La cogliamo appena reduce da un soundcheck un po’ complicato, a causa dell’acustica non certo ottimale della Sala Expo del Palazzo del Popolo di Orvieto, dove, da lì a poco, si terrà un suo (meraviglioso, diciamolo subito) concerto. Ci sediamo attorno a un tavolo. Una signora in disparte, le offre una liquerizia, un po’ amara. Quella vera.

Grazia, intanto, visto che siamo ospiti di questa splendida iniziativa organizzata dall’Associazione ApertaMente Orvieto e incentrata sul tema del Dialogo, ti volevo chiedere, a te che negli ultimi anni hai frequentato come docente una trasmissione di largo successo tra i ragazzi come “Amici”: i giovani talenti che tu hai visto passare sotto i tuoi occhi sono disposti al dialogo, alla messa in discussione di sé? O forse l’artista, maggiormente se giovane, deve essere in qualche modo “inalterabile”, “non condizionabile”?
Vedi, io non lavoro solo con i ragazzi di “Amici”, anzi la maggior parte dei giovani con cui ho a che fare vengono da altre scuole, dai Conservatori, da stages e seminari che tengo in giro per l’Italia. E’ per dirti che questo mio lavoro sui giovani artisti è un rapporto lungo, che va avanti da molto tempo e che ogni anno acquisisce nuovi elementi perché sto allargando sempre più questo tipo di attività. Allora, per tornare alla tua domanda, sì, i ragazzi sono disposti a imparare, a recepire gli stimoli, a confrontarsi: difficilmente mi capita di incontrare dei muri di arroganza o di ignoranza. Io penso che il dialogo sia la forma migliore per trovare insieme una strada percorribile. Un ragazzo che voglia intraprendere questo lavoro ha bisogno assolutamente di un confronto, ha bisogno di aprire la sua mente, è un passo necessario per conoscere il mondo e crescere.

Da qualche mese hai dato alle stampe una lavoro di rara eleganza e sensibilità come “Il mio blu”: se posso permettermi un’amara considerazione, queste sono qualità che oggi il mercato discografico, o quel poco che ne resta, cura poco o nulla. E allora, perché questo disco e perché realizzarlo così, quasi in controtendenza, così deliziosamente fuori moda?
Non è fuori moda, è alta moda! Vedi, esiste la moda quella che puoi comprare nei centri commerciali, dappertutto, e quella è una moda che possono usare tutti. Sto giocando un po’ sulla tua domanda, ovviamente, ma è per dirti che probabilmente il mio disco è più vicino a un articolo di alta sartoria (sorride). Io lo vedo così, il mio è un approccio che tu dici elegante…non so, è semplicemente quello che mi viene naturale fare. Curare le cose nel minimo dettaglio, alla mia maniera: non conosco altro modo per esprimermi, per scrivere canzoni, per costruire un mondo sonoro attorno a questi brani che sto facendo, poi se è un taglio di sartoria troppo alto, non ci posso far niente.

Credo che in tal senso un grandissimo contributo lo abbia dato anche Paolo di Sabatino, musicista jazz con il quale tu collabori da qualche tempo. Ecco io devo confessarti che all’inizio temevo un altro di quei progetti in cui la canzone viene svilita  a vantaggio di un pretestuoso virtuosismo, vocale e strumentale, dando luogo a un noioso stillicidio di accordi in quarta diminuita e melodie inutili. Invece “Il mio blu” scarta agilmente di lato: credo che anzi gli arrangiamenti esaltino delle canzoni già di per sè belle, per musica e testi.
Beh, credo che sia anche perché Paolo ha ricevuto delle canzoni che erano già molto precise nella struttura e avevano una personalità molto forte, e quindi il suo lavoro è stato quello di creare un ambiente sonoro, un arrangiamento, una sottolineatura musicale di brani che erano già molto precisi. Quindi in questo senso non è che siano nati “strani”, né lo sono poi diventati: hanno semplicemente trovato un mondo che gli stava bene.

Senti, ti devo dichiarare le mie preferenze, in questo album: vediamo se corrispondono alle tue! Intanto comincerei a segnalare “Come dondola” che vanta un testo, di Raffaele Petrangeli (principale compagno di parole di Grazia in questo album, con ben 6 pezzi), che è un autentico, ma godibilissimo, tour de force di sdrucciole, “Nuvola” e poi “L’amore è uno sbaglio” che ti vede affiancata da Mario Venuti. A proposito una curiosità: anni fa hai collaborato con Luca Madonia in “Batticuore”, quindi ti mancano altri due dei Denovo, ed hai la collezione completa, no?
(ride) Beh sai, io,  per usare il termine centrale di questa iniziativa, ho sempre amato dialogare artisticamente con gli altri: ho cantato con Rossana Casale, con Eugenio Finardi, con Cristiano De Andrè, con Tosca, con Randy Crawford (che con il titolo di If I were in your shoes ha portato in diverse classifiche internazionali la sua “Se io fossi un uomo”, Sanremo ’91, NDR).

Io ho scoperto le mie carte e ti ho dette le mie preferite: qual è invece il brano di questo album di cui sei totalmente soddisfatta, che quando l’hai risentito ti sei detta: “Ah, è proprio come me lo pensavo!”?
Guarda, la canzone che preferisco è forse “Bianco”, quella che chiude l’album: l’ho messa in coda perché è come quando tu lasci un bel ricordo di te, no?

D’altra parte, diceva Andrea G.Pinketts, non si possono sbagliare le uscite: una brutta entrata la puoi sempre rimediare, uno schiaffo può mutare in volo e diventare una carezza, ma una brutta uscita è irrimediabile!
Sì, infatti! E poi è un pezzo arrivato in corsa, perché è stato l’ultima canzone che abbiamo scritto, a disco già avviato, io e Raffaele Petrangeli, che oramai è un mio collaboratore storico da parecchi anni: è stata proprio una folgorazione la scrittura di Raffaele, anche perché ci siamo poi incontrati in modo abbastanza buffo. Dal momento che l’ho conosciuto ho capito che era proprio la persona che riusciva a scrivere in una sintonia perfetta con me. Abbiamo fatto tante cose insieme in quest’ultimo lavoro, oltre a Io sono una finestra che è andata a Sanremo, e tra queste c’è appunto Bianco che per me è un piccolo capolavoro.

Abbiamo aperto questa chiacchierata accennando al lavoro che fai come sostegno e indirizzo per giovani alle prime esperienze artistiche, e sarei curioso di sapere quindi come tu ricordi i tuoi esordi musicali, il mondo che girava attorno alla IT di Vincenzo Micocci (storico discografico romano, “scopritore” di talenti come Francesco De Gregori, Rino Gaetano, Mario Castelnuovo, Ron, Paola Turci,  Sergio Caputo, Amedeo Minghi, i Pierrot Lunaire, e tanti altri…), e poi il tuo primo disco, quel “Clichè” forse ancora acerbo, così legato a quegli anni pieni di passione civile.
Mmm… quando uno dice “mi ricordo” e pensa alle cose belle del passato è sempre un po’ stucchevole (ride), però devo dire che il ricordo che io ho di quei primi anni, della IT e di Vincenzo Micocci è molto forte. Io però dopo sono andata a Milano, per altri percorsi artistici. Poi dopo vent’anni sono tornata a Roma e l’ho trovato sempre con la stessa passione, lo stesso entusiasmo nell’ascoltare e produrre canzoni, e pensa che è stato proprio lui a dirmi, dopo tutti questi anni che non ci vedevamo: “Grazia, ti devo far conoscere un ragazzo in Umbria che scrive molto bene, secondo me voi due siete perfetti insieme!”. Era, appunto, Raffaele Petrangeli. Vincenzo era uno che creava le situazioni: mi ricordo che una delle tournée più divertenti fu quella con Kuzminac, con Rino Gaetano..

Beh, la IT era davvero un vivaio fervido, a cui poi attinse a piene mani la RCA.
Sì, era un bel momento. Io ero l’unica donna, sono sempre stata l’unica donna in quel giro…

Tra l’altro Goran Kuzminac ci ha confidato che “Hey ci stai?”, la sua più grande hit, l’ha scritta proprio pensando a te! È vera questa cosa?
Ma sì! Tra l’altro è una canzone molto carina, davvero deliziosa…me la fece ascoltare e me lo disse apertamente, poi lui comunque racconta questa cosa nei concerti, quindi ormai è di dominio pubblico! (ride)

Sarai di sicuro consapevole che c’è stato un momento in cui tu sei stata davvero un punto di riferimento per le “cantautrici” che sognavano di potersi esprimere alla stregua dei loro corrispondenti maschili. Sei stata una sorta di faro: hai dimostrato all’epoca di Ragazze di Gauguin che anche in Italia si poteva fare musica d’autore al femminile, con sensibilità femminile, farlo bene e avere successo. Ti sentivi all’epoca un po’ investita di questo ruolo, o no?
Ma no, non ci pensavo…io ero forse l’unica cantautrice, anche se non si usava ancora questo termine, poi Vincenzo Micocci si inventò “Le Cantautori”!

Come  Nicoletta Bauce.
Esatto, però c’era anche Roberta D’Angelo che fece un bel disco (“…abitare a Cinecittà” NDR), era molto carina, però diciamo che poi io ho fatto un po’ la strada da sola e negli anni non ho incontrato tante cantautrici, se escludiamo Gianna Nannini, che sta però su un altro versante, Paola Turci, e Teresa De Sio che quando ho incominciato io già scriveva. Poi è venuta fuori Carmen Consoli e mi sono detta: “Che bello, sta arrivando una generazione interessante!” A me piace molto il suo modo di scrivere. Poi c’è Cristina Donà che è molto brava, molto originale. Io ho molta fiducia nelle giovani leve: ne sto seguendo due-tre che sono giovanissime, ma molto brave.

Per finire, torniamo al tuo disco: in questo tuo ultimo lavoro hai deciso di riprendere, con un nuovo vestito, proprio “Le ragazze di Gauguin”, il brano che ti ha regalato grande notorietà, ma lo hai fatto togliendogli un po’ di solarità. Ora è un pezzo sempre magnifico, ma con un’altra chiave, è un po’ più nervoso, come se per queste ragazze i tempi siano diventati più ansiogeni, frenetici: è solo una mia impressione, o era nelle tue intenzioni?
No, guarda, ho messo il brano in mano a Paolo di Sabatino, ed è diventato un po’ un gioco, un modo anche per segnare uno stacco rispetto all’originale.

Salutiamo Grazia, lei ci sorride e ci ricambia. Poi si alza, si avvicina alla signora di prima, e la ringrazia per la squisita liquerizia.

La ragazzina siciliana si chiamava Carmen Carla Consoli.

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