Paolo Talanca
Tomo ponderoso, questo del collaboratore della nostra testata Paolo Talanca, il
cui titolo trae spunto dai poeti, ovviamente
loro stessi “novissimi”, che Alfredo Giuliani censì nel ‘61, rifacendosi a sua
volta allo Zibaldone leopardiano. Gli
otto protagonisti (Manfredi, Ongaro, Capossela, Lega, Consoli, Isa, Bersani e
Cristicchi) ne occupano una parte, preceduti da un ampio preambolo (sessanta
pagine) in cui l’autore delinea cosa debba intendersi per (e cos’abbia saputo
offrirci la) canzone d’autore italiana più nobile, anche nel mutare dei mezzi
di diffusione, e infilati a sandwich fra interviste a Vecchioni e Gianmaria Testa
(perché mai rimasto fuori dai “novissimi” non è dato sapere).
La trattazione, come detto, è “alta”, rigorosa, mossa da prospettiva
capillare e di spiccata identità. Anche se poi, magari, si scivola sul luogo
comune di giudicare “minori” gli anni ottanta, laddove un dato clima di disimpegno
(dopo un decennio e più di largo engagement),
riflusso e persino “controriforma” – come nota correttamente Talanca (sono gli
anni del nascente rampantismo, della Milano da bere e amenità consimili) – che
soffocava neoproposte non consolatorie, non andrebbe confuso con la produzione
dei “maggiori”, che l’Autore definisce “fiacca” (p. 44): a quando risalgono, di
grazia, “Creuza de mä” e svariati capolavori contiani, “Signora Bovary” e “La
pianta del tè”, “Titanic” e “Fisiognomica”, per far solo qualche titolo? Anni
fiacchi? Ridatecene tanti…
Detto ciò, il vasto sapere semantico di Talanca abbacina (l’elemento
testuale occupa per lo più il centro del ring). Cantautori novissimi è un libro di ampi pregi e qualche difettuccio,
riassumibile in un prendersi un po’ troppo sul serio che può anche dipendere dalla
giovane età di Talanca (classe ’79). Si respira un’eccessiva autoreferenzialità
(il largo ricorso all’io, l’abuso di termini come “silloge”, per album, o lo
stesso “novissimi”, ovvi “fior di conio” talanchiani, l’insistita citazione del
Premio Lunezia, in cui il Nostro è “implicato”, ecc.), peraltro giustificata
almeno in parte (ma evitarla sarebbe sempre più elegante) dall’effettiva novità
e originalità del lavoro. Insomma: questo libro ha il grande pregio, anche, di
istigare discussioni, un approccio dialettico quanto mai salvifico. In tempi di
diffuso piattume come gli attuali, è un’autentica manna. In più denota
intelligenza e cultura vivissime, ed è scritto ottimamente. Rimarrà.