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Donato Zoppo

CSI – È stato un tempo il mondo


«La nostra filosofia in Bretagna era di attendere che le cose accadessero, a volte con naturalezza, altre volte con completa casualità. Idee non ce n’erano, ma ciò che accadeva arrivava in modo fluido, senza sforzo: doveva accadere».

Queste parole di Giovanni Lindo Ferretti riassumono in modo efficace il clima nel quale il primo album dei CSI, Ko De Mondo, venne realizzato, trentun anni fa, in un luogo isolato e remoto, il casolare Le Prajou a Finistère, nell’estremo settentrione della Francia, a poche centinaia di metri dal Mare del Nord. La genesi del disco, uno dei più significativi nel panorama del rock italiano degli ultimi decenni, è stata raccontata da Donato Zoppo nel suo recente volume CSI – È stato un tempo il mondo, edito da Compagnia Editoriale Aliberti.

Il progetto di scrivere un libro sull’argomento risale ad oltre dieci anni fa, trattandosi di un lavoro discografico fondamentale e di un album importante per la storia personale dell’autore stesso, ma ha preso forma soltanto lo scorso anno, nel mese di agosto, grazie agli incontri di Zoppo con Gianni Maroccolo e con Francesco Magnelli. Intanto la reunion dei CCCP era già nell’aria, facilitando la disponibilità di Ferretti, di solito reticente, a lasciarsi intervistare. È nato così un racconto a più voci (quelle degli stessi Maroccolo, Magnelli, Ferretti e, naturalmente, di Massimo Zamboni, , Giorgio Canali, Ginevra Di Marco, Alessandro Gerbi, Pino Gulli, Stefano Senardi, Guido Harari e tanti altri) che rievoca l’atmosfera fertile e magica in cui le dodici tracce dell’album furono composte, in poco più di un mese, tra agosto e settembre 1993. Con l’aiuto dei protagonisti di questa straordinaria avventura musicale, Donato Zoppo ha così rievocato quelle sei settimane in Bretagna e le dinamiche compositive, organizzative e relazionali che hanno condotto alla realizzazione del disco. Ma non manca la ricostruzione del retroterra personale e artistico dei musicisti, necessaria a comprendere la portata innovativa di questo album e dell’ensemble che lo concepì.

Il disco di esordio del Consorzio Suonatori Indipendenti è l’ultima fase del “rito di passaggio” tra le due principali esperienze musicali di Ferretti e Zamboni. L’ultimo album dei CCCP, Epica Etica Etnica Pathos, vede infatti accanto al nucleo “storico” della band di punk filosovietico (Giovanni, Massimo, Annarella Giudici e Danilo Fatur) la presenza degli ex Litfiba - che sarebbero poi transitati nei CSI - Gianni Maroccolo al basso e alla produzione, Francesco Magnelli alle tastiere e Giorgio Canali alla chitarra. Ma il full-length rappresenta anche un cambio di passo rispetto alla produzione precedente, preannunciando sia la rottura del gruppo (comunicata ufficialmente il 3 ottobre 1900, giorno della riunificazione tedesca) che il percorso successivo dei suoi fondatori.

Ferretti e Zamboni fanno “coppia fissa”, artisticamente parlando, dal 1981 e, dopo lo scioglimento dei CCCP, si dedicano ad altre attività – scrittura, riavvicinamento alle proprie “radici “– per poi fondare l’etichetta “I Dischi del Mulo”, per la quale incidono gruppi emergenti come Üstmamò, Disciplinatha, A.F.A. La label, in seguito, si fonderà con la “Sonica” di Maroccolo (Marlene Kuntz, Umberto Palazzo) per dare vita al CPI (Consorzio Produttori indipendenti) che ricordiamo per aver realizzato un progetto rimasto nella storia: “Materiale Resistente” (album, libro e film) uscito per il cinquantennale della Liberazione, nel 1995.
Anello di congiunzione tra CCCP e CSI è il concerto “Maciste contro tutti” dell’autunno 1992, in cui salgono sul palco Ferretti, Zamboni e Maroccolo per celebrare la fine di un’era ma anche per suggerire l’idea di una nuova ripartenza. Nel tour compare per la prima volta la sigla che identifica la futura band, inventata pochi minuti prima di salire sul palco. In omaggio all’osmosi tra storia e musica nel la quale sono immersi Ferretti e Zamboni, a un moniker emblematico di una realtà che non esiste più come “CCCP” non può che far seguito, appunto, “CSI”. Il nome “Consorzio” evoca, per dirla con Zoppo, una “continuità operaista, arte come martello e non come specchio, musica come frutto di ingegno e fatica, una questione sociale”.
I tempi sono maturi per pensare alla realizzazione di un album e il progetto può prendere corpo grazie al giovane, lungimirante e ricettivo dirigente della Polygram Italia Stefano Senardi. Maroccolo gli propone un contratto basato solo sulla fiducia e sulla caratura dei musicisti, senza niente di pronto e con una richiesta: il disco di esordio della neonata formazione si deve fare in Bretagna, in un mese e mezzo. La proposta si concretizza grazie a Giorgio Canali, che ha contatti in Francia. Viene coinvolto anche Francesco Magnelli e alla compagine si uniscono i batteristi Alessandro Gerbi e Pino Gulli, già membri di band prodotte da Maroccolo e Magnelli.

La partenza ha luogo alla vigilia di Ferragosto 1993 e la destinazione è Saint-Jean-du-Doigt, un villaggio che non arriva a mille anime, nel dipartimento di Finistère, l’ultimo lembo d’Europa che si affaccia sull’oceano; la residenza dei musicisti e del loro entourage sarà una casa di tre piani ricoperta di edera chiamata Le Prajou, a poche centinaia di metri dalle fredde acque del Mar Celtico. La permanenza in loco è prevista fino al 22 settembre.

Il luogo in cui Ko De Mondo viene concepito esercita una grandissima influenza sulla realizzazione del disco. La natura selvaggia e il casolare isolato nei pressi dell’Atlantico sono indubbiamente elementi di ispirazione. E Finistère, finis terrae, fa il paio con Ko De Mondo da Codemondo, caput mundi, piccolo comune in provincia di Reggio Emilia, l’area di provenienza dei CCCP. Il fatto di trovarsi alla propaggine più estrema della Francia, su una scogliera aspra e scabra, dà la sensazione che qualcosa stia davvero finendo. Da un soggiorno ai confini dell’Europa nasce così un album incentrato sulla fine della Storia e l’inizio di un nuovo mondo.
È inoltre la dimensione “comunitaria” a conferire all’album le qualità che lo rendono unico: esperienza già vissuta, almeno in parte, nel casale di Villa Pirondini, vicino a Reggio, dove EEEP fu registrato. Maroccolo evidenzia tuttavia come CCCP e CSI costituiscano davvero “mondi lontanissimi”, soprattutto sotto il profilo del rapporto tra testi e cantato: «Saremmo letteralmente andati altrove per il linguaggio poetico, il modo di cantare, musica, composizione, arrangiamento, suoni».

Lavorare a questo disco significa partire da zero, nella massima libertà compositiva. Si suona nel rispetto delle personalità, degli stili, delle esigenze di ciascuno, anche in termini di orari: i più mattinieri sono Zamboni e Magnelli, nel pomeriggio si uniscono anche gli altri. Giovanni va e viene: si reca spesso al mare in cerca di stimoli o si dedica alla lettura. La presenza di Zamboni è serafica, discreta, ma anche ferma e determinata quando si tratta di prendere delle decisioni; c’è anche sua moglie Daniela, reclutata in qualità di vivandiera, che contribuisce a creare un clima conviviale con i suoi tortellini e i ricchi pasti che prepara.
E c’è anche Ginevra di Marco, consorte di Magnelli, che farà il suo ingresso ufficiale come vocalist nella band più avanti.
La composizione cresce liberamente fino a quando sopraggiunge l’emozione e monta il pathos, con gli inserti chitarristici disturbanti di Canali, taglienti come il coltello sulle tele di Lucio Fontana, che dialogano con la sei corde di Massimo:
Il salone si gonfia di suono proprio, vorticoso, concentrico, fino alla parte esplosiva e liberatoria; una marea elettrica in cui le chitarre navigano, si accavallano mantenendo entrambe la propria identità. Va consolidato, cristallizzato, tenuto fermo nell’onda emotiva della nascita, per fissarlo in memoria e aprirlo alla parola cantata.
I musicisti suonano in cerchio e nel processo creativo si inserisce la vocalità di Ferretti: le sue parole seguono il flusso della sua coscienza ed è naturale che narrino ciò che sta accadendo: “a tratti percepisco tra indistinto brusio particolari in chiaro” saranno dunque i versi di esordio dell’opener dell’album.

I testi si innestano così su un “blocco musicale” di rock “implacabile e crudo” in cui Giovanni racconta, in modo spontaneo, ciò che i suoi sensi percepiscono. Ma Ferretti vuole descrivere la fine del mondo precedente anche demolendo l’immagine carismatica e profetica che il pubblico dei CCCP gli aveva attribuito: “Non fare di me un idolo: mi brucerò”. Rifuggendo, dunque, da quel ruolo “messianico” che, a torto o a ragione, i suoi ammiratori gli hanno spesso conferito e che è costato loro una cocente delusione per via dell’evoluzione (o involuzione?) della sua filosofia, dimenticando che “quando dove perché/ riguarda solo me”.

Nelle liriche c’è spazio per l’autobiografia (Palpitazione tenue), per le riflessioni sulla società e la storia (In viaggio, Occidente, Del mondo) ma anche per l’energia rigenerante, quasi derviscica, della danza (Fuochi nella notte) e per il divertissement (Celluloide, una sequenza di titoli di film). Temi ricorrenti sono il crollo delle certezze, la banalità del male, l’orrore della guerra (il conflitto in Jugoslavia), il vuoto imperante. Del mondo, in particolare, esprime la visione più autenticamente ferrettiana della realtà: “le ambizioni e le conquiste del Novecento giovane e forte, ultimo secolo ancora intriso della religiosità agreste e timorata cara a Giovanni, implodono in un panorama invecchiato e indebolito” chiosa Zoppo in proposito.
Tra una sessione e l’altra, c’è tempo anche per il relax: durante le pause i musicisti si concedono passeggiate nel verde o in spiaggia, giocano a calcio e a tennis, fanno gite a Saint Malo e Mont-Saint-Michel. Mentre la lavorazione dell’album sta per concludersi, a Finistère approdano giornalisti, fotografi e altri addetti ai lavori. Guido Harari e Claudio Martinez realizzano alcuni intensi ritratti dei musicisti, inizialmente un po’ riluttanti a farsi fotografare, riuscendo a cogliere l’intimità e l’essenza delle loro giornate bretoni.
Il 22 settembre è il giorno previsto per il rientro e per molti è come l’interruzione di un rito, di una parentesi mistica e sospesa. Ma gli impegni sono pressanti e bisogna lavorare alla produzione. I discografici sono entusiasti: CSI non è un mix tra Litfiba e CCCP, è una creatura nuova e il loro sound è esplosivo, lucido, non catalogabile. «Un’autentica rivoluzione artistica e musicale» è il commento di Senardi.

Il disco esce il 19 gennaio 1994: la copertina è tutta bianca, con gli occhi di Giovanni come unico elemento, insieme al titolo e al moniker, a campeggiare nel candore. Seguono lusinghiere recensioni, ottimi risultati di vendita, promozione, videoclip, il live acustico a Videomusic - da cui nascerà il secondo album del gruppo, “In quiete” – e il tour elettrico, dai suoni potenti e apocalittici, davanti a un pubblico variegato ed estasiato. La candidatura alle targhe Tenco consacra, infine, il gruppo nell’Olimpo della canzone d’autore.

A trent’anni da questi fatti e a quaranta dalla nascita dei CCCP, mentre questi ultimi, redivivi, scorrazzano lungo la penisola con i loro concerti sold-out per nostalgici e fan della nuova era, Ko De Mondo resta un disco epocale, di cui Donato Zoppo è riuscito a cogliere e a trasmettere le peculiarità con l’aiuto dei protagonisti di quella stagione irripetibile. Gli eventi narrati assumono, come evidenza Federico Guglielmi nella prefazione al libro, i contorni di un romanzo epico e sentimentale, i cui personaggi si sono spinti fino alla fine della Terra “per seguir virtute e canoscenza”, realizzando un album in grado di illuminare d’immenso chi lo ascolta, ancora oggi.

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In dettaglio

  • Artista: Donato Zoppo
  • Editore: Aliberti Editore
  • Pagine: 208
  • Anno: 2024
  • Prezzo: 16.90 €