Mauro Pagani
Dalla prima riga del suo esordio come
romanziere, Mauro Pagani ci trascina
nel mezzo dell’azione, in un dialogo qualsiasi di una giornata come tante – o quasi
– della vita di Sonny, un giovane che lascia la famiglia per fare della musica
il suo mestiere, tira a campare suonando nei night, frequenta senza successo
l’università e i movimenti politico-studenteschi al
di là di ogni ortodossia.
Un musicista intransigente con se
stesso, che sorride spesso e il cui più grande sogno misura esattamente quanto
la custodia della sua Stratocaster rossa.
Con Sonny e la sua chitarra inseguiamo
un’occasione frugando nel mondo, intratteniamo i passeggeri di una nave da
crociera, facciamo sosta a Miami, visitiamo gli studi di registrazione di Abbey
Road, troviamo approdo a Cuba, giochiamo al tavolo di chemin de fer dove il sorriso della sorte scivola nel dissolversi di
ogni illusione e camminiamo per le vie di Milano, città amata con quel rancore
affettuoso che si può riservare soltanto ai membri della propria famiglia.
Attraverso un viaggio lungo dieci anni – dai giorni che precedono la
strage di Piazza Fontana ai funerali di Demetrio Stratos – impariamo a
conoscere il numerosissimo gruppo fotografato
nel titolo: la pensione di pappa e puttane in Via Archimede, quel bravo diavolo
di Sam Fortuna e le sue giacche di paillettes, Clara “Uacciuari” e la sua vita
da rifare, Walter, Rosa la creola, il professore, l'uomo psichedelico, Sandro,
Sergio e lo stesso Mauro Pagani, l’altro, l’amico musicista che ce l’ha fatta.
Il romanzo scorre piacevolmente
da sé, costituito, più che dalla successione degli avvenimenti, da una
narrazione irrequieta e tenera «con una cadenza troppo da musicista per essere
casuale» che ci restituisce la sensazione di essere realmente parte del gruppo
di Sonny, eppure di ascoltarlo suonare e di seguirlo mentre rincorre il suo
sogno come fossimo in punta di piedi, per lasciare che l’intreccio dei successi
e delle docce fredde si svolga da sé.
Sullo sfondo, come
accompagnamento, c'è la storia, protagonista gregaria del quotidiano, ci sono i
suoni degli anni settanta, un decennio intenso ed entusiasmante, indifeso nei
confronti dei propri difetti, che è stato molto altro rispetto a ciò che ne può
far rivivere la nuda cronaca.