Andrea Pedrinelli (a cura di)
Da diversi anni il giornalista Andrea
Pedrinelli, insieme alla Fondazione
Gaber, sta profondendo impegno e passione nel recupero dell'opera di Giorgio
Gaber, attraverso spettacoli, progetti didattici per le scuole, e ora
questo libro, una sorta di ritratto del grande artista milanese «raccontato da
intellettuali, amici, artisti», come recita il sottotitolo del volume. Si
tratta di interviste a personaggi famosi, interventi a festival o convegni,
contributi scritti appositamente, brevi brani che compongono un'opera per forza
di cose disomogenea, ma non per questo meno godibile. Alcuni contributi hanno
un carattere esplicitamente affettivo, altri sono veri e propri saggi volti a
mettere in luce i vari aspetti della variegata vocazione artistica del signor
G, come quello di Lorenzo Arruga che
ne analizza il linguaggio musicale, quello di
Guido Davico Bonino sul rapporto di Gaber con la critica teatrale e
musicale, quello di Luca Doninelli,
un'illuminante riflessione sulla sua libertà intellettuale, o il bel testo di Vincenzo Salemme, che si sofferma sul
carattere innovativo del teatro gaberiano.
Tra i testi di ricordi personali ce ne sono alcuni (pochi) francamente
superflui, e altri (la maggior parte) che aiutano, tassello dopo tassello, a
ricomporre l'immagine di un uomo e un artista di grande interezza e
personalità, con una vocazione irrefrenabile per la ricerca di una libertà
personale e collettiva che allora e oggi appare forse utopica, e che
probabilmente solo pochi, come lui stesso, hanno saputo incarnare.
Tutti, a partire da sua figlia Dalia
che scrive le note di copertina fino a Ombretta
Colli e via via tutti gli altri, sottolineano l'autonomia di Gaber, il suo
essere al di fuori dagli schemi, la sua libertà e onestà intellettuale, la
capacità di autocritica. Ricorre anche il concetto, fondamentale per capirne la
figura e il lascito intellettuale, di come Gaber parta sempre dall'uomo, per
costruire la sua critica sociale e politica, e mai da un'ideologia
prestabilita.
Nonostante un tono spesso inevitabilmente elegiaco, le testimonianze si
susseguono vivaci e interessanti, con qualche punta di commozione (quelle di Jannacci, Battiato, Luporini) e
anche qualche bonaria critica al suo pensiero. È straordinario che i suoi
concetti a distanza di anni facciano ancora discutere e un po' contrariare
tutti, di qualunque provenienza ideologica. Mario Capanna, Francesco
Guccini, Enzo Jannacci, Andrea Majid Valcarenghi provano fastidio
per la sua famosa e pessimistica La mia
generazione ha perso. Un fastidio a cui idealmente risponde Sandro Luporini
nel suo prezioso intervento finale.
Concludono il volume la discografia ufficiale, la videografia e la
bibliografia. Una base da cui partire
per mantenere viva l'opera di quello che appare sempre più come un grande
autore della nostra contemporaneità. Sempre, beninteso, che si legga la sua
opera come un corpus da reinterpretare, non certo da riproporre imitandone il
modo sulla scena. In questo caso, si tratterebbe di un'operazione fallita in
partenza, perché, come emerge anche da questo libro, Gaber è inimitabile e
certamente per questo impossibile da sostituire.