Moni Ovadia
Raccontare una storia complessa e
per molti versi tragica di quasi cento anni, nella fattispecie quella
dell’Unione Sovietica, attraverso barzellette, aneddoti, piccole storie, e
brani che la censura aveva provveduto a “far sparire” è operazione che pochi
artisti possono permettersi fare.
Parliamo di artisti che, ed è il
caso di Moni Ovadia, hanno la
credibilità, l’onestà intellettuale ed il profondo senso della critica e
dell’autocritica per narrare fatti importanti con quella sottile ironia capace
di toccare profondamente le coscienze, ironia che spesso, più di quanto non
facciano analisi, esami ed approfondimenti, riesce a solleticare l’interesse e
l’attenzione delle persone.
Del resto La Bella Utopia,
per stessa ammissione dell’autore, non ha un intento prettamente didattico, per
ovvie questioni di tempo e di “pagine”, ma costituisce un veicolo, un approccio
al periodo storico/politico/sociale cui fa riferimento, un tentativo che ha in
sé l’obbiettivo di incoraggiare, questo sì, l’approfondimento successivo, di
stimolare la lettura, l’informazione, la ricerca, così che la conoscenza dei
fatti non si fermi alla banalità ed alla superficialità di qualche slogan
spesso ripetuto più per abitudine che per convinzione.
L’argomento è, storicamente,
abbastanza ostico e complesso nei suoi vari aspetti; i rapporti tra Lenin e
Stalin, le tristemente note “purghe”, la povertà ed il coraggio di un popolo
che di fatto fermò l’avanzata del nazismo in Europa pagando un pauroso prezzo
di vite umane, la “guerra fredda”, la sorte degli ebrei russi, le ingombranti
figure dei “leader” che hanno guidato negli ultimi settant’anni un colosso che
nel tempo si è scoperto più piccolo e più debole di quanto non credesse, e che
ancora oggi cerca di riposizionarsi sullo scacchiere mondiale.
Eppure Ovadia riesce, anche
attraverso frasi ironiche, pungenti, sapide, a “far passare” il messaggio, ad
accendere la curiosità di saperne di più, perché la storia di una nazione così
importante si lega attraverso mille laccioli con la storia dell’Europa moderna.
Scenografia essenziale ma capace
di evocare epoche, situazioni ed ambienti, musica e canzoni incalzanti, perché
il racconto va sostenuto ed accompagnato, narrazione vivace, priva di cali di
tensione o di tempi morti, abilmente giocata tra parole, suoni e silenzi,
insomma un sostanzioso spicchio di sapere in periodi di “magra” culturale.
Moni Ovadia: recitazione
Maxim Shamkov: recitazione
Luca Garlaschelli: contrabbasso
Janos Hasur: violino
Massimo Mercer: tromba
Albert Mihai: fisarmonica
Vincenzo Pasquariello: pianoforte
Paolo Rocca: clarinetti
Emilio Vallorani: flauti e percussioni