Claudio Sessa
Primo di tre volumi previsti,
questo corposo tomo di Claudio Sessa,
già direttore di “Musica Jazz” nonché critico del “Corriere della Sera” e
docente di Storia del Jazz al Conservatorio di Trieste, prende le mosse proprio
dalle lezioni in conservatorio, seguendo itinerari perlustrativi su diversi
aspetti del jazz contemporaneo (grosso modo dagli anni ottanta in poi), con
agganci, però, che risalgono fino agli albori o quasi della musica nata nei
ghetti neroamericani. Il procedimento, che può rimandare anche a un progredire
di matrice radiofonica (ambito in cui Sessa ha pure operato e opera), prevede
infatti un preambolo, verso l’ascolto di uno o più brani presi ad esempio, e
così via.
Dei nove capitoli, uno dei più significativi
è senz’altro il quarto, dedicato al jazz italiano, del quale, in ventiquattro fitte
pagine, viene ripercorsa, sia pur per sommi capi, l’intera genesi, visto che,
in quanto scuola nazionale, il jazz di casa nostra presenta rimandi più o meno massicci
a un retroterra autonomo, ponendosi già di per sé, in tal modo, su una linea –
appunto – “contemporanea”, in quanto rivitalizzatrice della strada maestra
americana attraverso la contaminazione transidiomatica.
Non mancano, qui come altrove,
quegli spunti critici (nel senso proprio di non-allineati, non incensatori a
tutti i costi) che rappresentano uno dei maggiori pregi del volume (la cui
prefazione si deve a Uri Caine), in
un’epoca in cui il diritto/dovere – appunto – di critica appare merce sempre
più rara. Attendiamo quindi con curiosità le altre due parti dell’opera.