Leda Rivarolo
I “perdenti”, in ogni ambito
della vita, hanno sempre avuto un fascino particolare; è una categoria davvero
strana, dallo charme quasi perverso: chi “avrebbe potuto ma...”, chi “è
arrivato quasi a...”, chi “c’è mancato un nulla a...”, ed in ambito musicale
rappresenta un mondo a parte.
La storia di Giovanni
Bambacioni, tenore di grandi, grandissime potenzialità, raccontata da Leda
Rivarolo con il taglio appassionato del feuilleton a cavallo tra la fine
dell’800 e la metà del ‘900, è la storia delle occasioni perdute, del talento,
non compreso e non sfruttato dall’artista stesso, dei rapporti umani “veri”,
importanti, solidi, messi da parte a vantaggio di occasionali e momentanei
slanci emotivi, è il trionfo della vanità, dell’istinto, a scapito di una
maggiore razionalità che, nel lungo periodo, avrebbe probabilmente condotto a
ben altri esiti; se ci si passa il paragone calcistico è la vicenda di un
fantasista creativo, bello, entusiasmante, ma del tutto incapace di gestire il
proprio estro, vittima di paure immotivate, pasticcione nella vita privata, in
definitiva non all’altezza delle proprie capacità.
L’uomo che non fu Caruso non
lo fu per la paura di attraversare l’oceano, giocandosi i palcoscenici
americani, per l’incapacità di capire che la concorrenza non lo stava a
guardare, ma piano piano gli erodeva consensi, per la trascuratezza con cui
trattò la propria voce, non la curò, tralasciando la necessaria applicazione,
lo studio, l’allenamento, non lo fu perchè l’alcol ne fece una vittima, perchè
l’aver abbandonato la famiglia, la moglie i figli, inseguendo amori tanto
improvvisi quanto fatui, minò, alla base, la sua solidità personale; non lasciò
incisioni, esclusivamente per responsabilità propria, creando di fatto i
presupposti per l’oblio e la miseria che lo avvolsero dopo il ritiro dalle
scene, così che la sua fine, solitaria, silenziosa, sopraggiunta nel 1954
quando era ospite della Casa di Riposo Giuseppe Verdi di Milano, altro non fu
che la malinconica conclusione di una vita trascorsa ad inseguire infatuazioni
occasionali; un grande talento, in gran parte inespresso, intrappolato in un piccolo uomo, si potrebbe
sintetizzare, ma proprio per questo una storia commovente, quasi un tributo,
postumo, ad una colpevole ma inevitabile debolezza.