Massimo Poggini
Raccontare un mito non è mai
impresa facile. E farlo conciliando l’amicizia che ti lega al protagonista con l’oggettività
cronachistica del giornalista è ancora più complicato. Ma Massimo Poggini si è cimentato egregiamente in questo compito, ottenendo
un risultato ancora più lodevole se si pensa che il libro su Vasco Rossi lui l’ha consegnato alle
stampe quasi trent’anni fa. L’edizione Rizzoli è infatti una riedizione di
quella biografia del signor Rossi ormai introvabile, oggetto di aste online,
scambi tra fan e continue richieste di ristampa.
Questa versione ha, in aggiunta,
fotografie inedite e la riproduzione del diario tenuto da Vasco durante il tour
del 1983, ma mantiene inalterato lo spirito con cui è nata: descrivere le
origini di uno dei personaggi più rappresentativi, nel bene e nel male, della
musica italiana, riportandone soprattutto i lati più intimi ma più peculiari.
C’è tutto il primo Vasco, quello
che vinceva l’Usignolo d’oro nel ‘65 e quello che apriva dieci anni dopo con i
suoi amici di sempre Punto Club prima e Punto Radio poi, diventando uno dei dj
più in voga della riviera romagnola di quegli anni; c’è anche il Vasco Rossi
che di cantare proprio non ne voleva sapere, e quello che invece poi si lascia
travolgere da eventi e fama con la consacrazione a Sanremo e la diatriba
indiretta con Nantas Salvalaggio, tra vizi, capricci, problemi di droga ma
anche consapevolezza del suo ruolo. «Certo, il successo è bello, ma il guaio è
che quando sto in mezzo agli altri devo essere sempre lucido, devo sapere
esattamente quello che faccio, quello che dico, controllare persino le
espressioni del viso. Devo essere sempre Vasco Rossi, insomma, perché gli altri
da me si aspettano questo e io non posso deluderli», dice a un certo punto.
Non è solo, però, biografia nuda
e cruda: tra una trascrizione di alcune delle sue canzoni più belle e i
retroscena dietro la loro scrittura, si legge tra le righe la storia sociale
dell’Italia un po’ bigotta di quegli anni, dalla nascita delle radio libere
alla censura Rai, tanto per rendere ancora più evidenti certi corsi e ricorsi storici.
Duecentosedici pagine che si
fanno leggere bene insomma, che emozionano i vecchi fan e cercano di
conquistarne altri, e non è detto che non ci riescano.