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Una tre giorni all’insegna della musica e degli incontri tra gli operatori di un mercato che vuole rialzare la testa

6-7-8 febbraio: il MEI festeggia i vent’anni e arriva a Roma

Intervista a Giordano Sangiorgi

Il MEI (Meeting delle etichette indipendenti) festeggia i suoi primi vent’anni, e lo fa a Roma con l’evento Roma Caput Indie il 6, 7 e 8 febbraio presso la Factory Pelanda del Macro di Testaccio. Tanti gli eventi e i live di questa tre giorni, a cominciare da venerdì 6 dove, allontanandosi dall’area del Macro fino alla libreria IBS di Via Nazionale, si darà il via con la presentazione del volume “I MEI vent’anni” edito da Vololibero. Nella giornata di sabato, alle 17.00 la premiazione PIVI, concorso che mette in evidenza e premia i migliori videoclip (tra i premiati Marta sui Tubi, Zen Circus, Paolo Benvegnù), a seguire l’anteprima del nuovo disco dei Gang e dalle 20 la premiazione PIMI, dedicato alle produzioni discografiche (tra gli altri, vincono Virginiana Miller e Riccardo Sinigallia).
Domenica spazio a workshop e tavoli di lavoro (tra i tanti
Youtube per gli artisti emergenti, Dall’autoproduzione all’autopromozione, Il futuro dei festival emergenti, I lavoratori della musica, Il diritto d’autore e nuove forme di tutela dell’opera), a cui seguirà il live di Giulia Anania in set acustico in omaggio a Gabriella Ferri, il Campus MEI con la possibilità per le band emergenti di far ascoltare il proprio demo a giornalisti e produttori, E infine l’incontro del giornalista Federico Guglielmi con i Bud Spencer Blues Explosion, vincitori del PIMI come migliore live act (qui nella foto).

 

A poche ore dall’inizio di Roma Caput Indie abbiamo fatto qualche domanda al Coordinatore del MEI Giordano Sangiorgi su questa importante iniziativa che segna un traguardo invidiabile e che pone il Mei come una della manifestazioni in assoluto più conosciute e longeve del nostro paese.

Vent’anni sono tanti. Guardandosi indietro, quale credi sia il merito più grande del MEI?
Certamente quello di aver sdoganato un termine: indipendente, che a metà degli anni Novanta era purtroppo ancora sinonimo di “sfigato”, insieme a quello di aver creato sicuramente un punto di riferimento nazionale per il settore. Ci sono stati ostacoli da superare in questi vent’anni, tra i più grandi certamente quelli messi lungo la strada dagli enti pubblici, sia nazionali che locali, istituzionali ma anche mediatici, che ancora adesso comprendono con difficoltà la portata innovatrice di tali proposte musicali. A volte un “ostacolo” è stata anche la frammentazione della nuova scena indie, troppo spesso attraversata da inutili rivalità e gelosie.

Secondo te, che ci vivi dentro, qual è lo stato dell’arte della scena musicale indipendente in Italia oggi?
Creativamente è un periodo molto fertile. Un’ondata di cantautrici e cantautori giovani di grande interesse ci sta attraversando, insieme ad un rinnovato rap capace di parlare direttamente alle giovani generazioni. Inoltre sta crescendo una nuova scena indie rock di grande rilievo, che è  ancora in fase di maturazione, ma che fa ben sperare. Lasciami però aggiungere che se parliamo di nomi nuovi, anche il mondo del jazz e del folk popolare esprimono punte di eccellenza internazionali.

Quali difficoltà hanno di fronte tutti questi giovani artisti?
Purtroppo il tema più importante - e grave - è la scarsità di risorse. Credo che questa battaglia si possa vincere solo se si è tutti uniti, sia per sgravare i live dai troppi costi, sia per avere più spazio a disposizione nelle tv e nelle radio, cercando di ottenere più fondi dalle piattaforme on line (di multinazionali monopoliste del settore) richiedendo loro rendiconti analitici, per quel che riguarda i live come nello streaming. Importante sarebbe avere sgravi, come accade nel cinema, per le opere prime e i concerti degli esordienti. Queste leve mosse tutte assieme potrebbero portare maggiori entrate al settore con un conseguente incremento occupazionale, così come vedo una grande potenzialità per poter far crescere e sviluppare festival e opere prime.

A proposito di Festival, le manifestazioni musicali, grandi e strutturate o piccole che siano, sembrano diano sempre più “fastidio”, in giro si vede davvero poca collaborazione da parte degli enti locali, da chi ha il potere di concedere spazi e finanziamenti. Perché la musica è ancora considerata un’arte minore?
È una questione che si trascina culturalmente da lontano. I discografici milanesi, che purtroppo ancora governano parte della discografia tradizionale, hanno sempre inteso la musica come un mercato puramente commerciale, gli è sempre bastato solo lo spazio televisivo di Sanremo e quello estivo del Disco per l’Estate e del Festivalbar (solo per citare i più noti). Era il 1970 quando alcuni discografici illuminati proposero una Legge sulla Musica nel nostro Paese, per dare alla musica popolare anche un profilo culturale, l’idea fu naturalmente bocciata. Da quel modo di intendere la musica non siamo mai usciti, tanto che sopravvive il Festival di Sanremo dove le nuove canzoni sono proposte solo in termini di competizione sportiva. Ora forse però intravedo una nuova generazione, alla guida del Paese, che ha vissuto in pieno la cultura musicale indipendente e credo che possa lavorare per far diventare la musica un nuovo elemento integrante della cultura italiana, accanto al cinema, al teatro, alla letteratura, alla danza.

Nella conferenza stampa odierna, in cui avete presentato la tre giorni romana, si sentivano ancora operatori e artisti scherzare sulla battuta (!?!) che ancora gira in questo Paese della serie “che mestiere fai?” e alla risposta “il cantautore” ri-chiedere “sì, ma poi che lavoro fai?”. Succede spesso a chi lavora con, e nella, musica. Non è avvilente?
Esatto, anche a me lo chiedono. Dici che organizzi da vent’anni il MEI e poi ti chiedono “sì ok, ma che mestiere fai davvero?”. In Paesi più avanzati del nostro, come la Francia per citarne uno, chi organizza per tanti anni una manifestazione come il MEI è accolto come parte integrante della cultura del Paese e viene di solito chiamato a ruoli di responsabilità dal punto di vista pubblico e sociale. In Italia questo non accade, Se fai Sanremo sì, se fai il “Sanremo degli Indipendenti” no: ecco perché siamo ancora almeno 30 anni indietro.

 

 


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