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Il grande paroliere si è spento a 86 anni

Addio a Giorgio Calabrese

Umberto Bindi, Luigi Tenco e Mina tra le sue tante collaborazioni

In questo dannatissimo 2016 (d’altronde “anno bisesto anno funesto” recita l’adagio popolare), ci lascia anche una delle più importanti figure della prima così detta scuola cantautorale genovese e italiana: Giorgio Calabrese. Autore di alcuni dei più importanti testi di canzoni italiane degli anni Sessanta e Settanta (tra le altre, Arrivederci e Il nostro concerto per Umberto Bindi, E se domani per Mina, per non dire della mirabile traduzione de Il disertore di Boris Vian ripresa anche da Ivano Fossati), Calabrese è stato anche Direttore artistico dell’etichetta Karim (scoprendo, tra le altre, Orietta Berti) autore radiofonico (con Mina sono ben 200 le puntate della trasmissione Pomeriggio con Mina) e televisivo (Senza rete, Fantastico, Domenica In).

Persona per bene. Sempre pronto alla battuta, allo sberleffo. Ti guardava e non sapevi mai se era serio o ti stava prendendo in giro. Ho avuto il grande privilegio di conoscerlo anni fa per il Premio Bindi (di cui è stato Direttore Artistico per diversi anni dopo Bruno Lauzi). Sono stato in giuria con lui in diverse edizioni. E mai una volta che abbia detto una parola di troppo su un cantautore in gara. Sempre rispettoso del lavoro altrui. Anche quando lo sentiva lontano. Imprescindibile il rapporto con Genova e ciò che Genova ha rappresentato per la musica italiana negli anni Sessanta. Amico e collaboratore di personaggi del calibro di Luigi Tenco, Natalino Otto, i fratelli Reverberi, Umberto Bindi, Gino Paoli e Riccardo Mannerini. Praticamente non c’è stato “genovese” che non abbia “usufruito” del suo grande talento e della sua straripante umanità. Anni fa ci regalò - per il nostro (mio e di Marzio Angiolani) Genova storie di canzoni e cantautori - una splendida prefazione in cui raccontava (tra le altre cose):
Credo però che alla fine la fantomatica scuola genovese non sia esistita, perché non c’era la Stoà, eravamo solo un gruppo di amici. D’altra parte è anche vero che avevamo l’idea che la canzone stesse nascendo davvero in quel momento in Italia, e non eravamo soli. Con noi c’erano anche altri genovesi come Riccardo Mannerini e il fratello di Reverberi, Giampiero. E poi ancora musicisti come Vittorio Centenaro e Umberto Cannone, signori musicisti. E non bisogna dimenticare che anche alcuni cantanti non genovesi gravitavano attorno a noi, come Sergio Endrigo, Adriano Celentano, o Giorgio Gaber, che veniva a suonare spesso a Genova.
E bisogna ammettere che la tradizione, poi, è continuata fino ad oggi.
È una tradizione antica, quella di saper suonare a Genova. Nicolò Paganini, ad esempio, era stato sfollato per un periodo in Val Polcevera, e lì suonava nelle locande e nelle osterie, prima di rientrare in città nel 1805 con Napoleone. Paganini ha composto diversi brani per chitarra e “amandorlino”, come scriveva lui, oppure per chitarra e fischio, che naturalmente poteva suonare solo a casa sua o a casa di qualche amico. Io e Reverberi abbiamo scritto un’opera su questi suoi trascorsi da cantautore: Nic. E poi in questo 2011 come non citare Mameli e Novaro. Il fatto è che noi genovesi non riusciamo proprio a prenderci fino in fondo sul serio, soffriamo la retorica, ci rifugiamo nell’ironia, nella parodia. Forse per questo il loro inno, tra noi ragazzi, era diventato subito L’inno delle Mammelle!".  

Con lui davvero si chiude un’epoca. Quella in cui si poteva ancora fare grande arte scherzando e ridendo. Quella in cui – soprattutto – il mercato premiava la qualità. Ci mancherà. E non poco.   


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