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La grande blueswoman era a Milano nei giorni scorsi, al Teatro 89. Un'occasione in più per conoscerla meglio, sul palco e giù dal palco.

Arianna Antinori, non sulle tracce ma dentro il Blues

L'amore per la musica che diventa amore per la vita

Spesso si dice che il Blues non è musica per le orecchie degli italiani che, invece, preferiscono il rock, il cantautorato oppure il pop melodico. Ma la verità non è così netta e la vicenda artistica quarantennale di Fabio Treves, ad esempio, ci racconta che il Blues ha invece un suo spazio ed una sua dignità nell’area musicale del nostro Pese. Quando poi si incontra una figura carismatica, empatica, emozionante come quella di Arianna Antinori, ci si accorge che di Blues c’è tanto bisogno e quando questo genere è coniugato con un sano rock che ci riporta a cavallo tra i ’60 ed i ’70 non possiamo fare altro che compiacerci di tanta bellezza e della passione che Arianna trasuda da ogni poro. Per fare in modo che tutti possano conoscere questa grande artista, in attesa del concerto che terrà con la sua band il 20 Novembre, presso lo Spazio Teatro 89 di via Fratelli Zoia, 89 a Milano (www.spazioteatro89.org) le abbiamo posto qualche domande alle quali ci ha risposto con la sua consueta cortesia.     

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Il rock ed il blues sono elementi di straordinaria pregnanza nel campo musicale. Per te che cosa rappresentano queste due modalità di espressione artistica?
Sono due modalità di espressione complementari; il blues è alla base di tutto come è ancora oggi, e il rock è stata la sua evoluzione più pura e vera. Sono linfa vitale, e se si osserva bene anche le persone più comuni, non espressamente amanti del genere, sono portate ad amare inconsapevolmente questi mondi musicali. Forse perché tutto è nato dal Blues... la musica del diavolo, ma non è solo sua però!

Sul palco sei davvero molto diversa da come appari “in borghese”. Che cosa ti accade quando sali sul palco…?
Sinceramente io mi sento uguale sia sul palco che tra la gente, ma quando sono sul palco mi rendo conto di entrare totalmente nel mio mondo. La vita mi ha portato a creare in me un mondo da proteggere e dove solo io posso entrare, ma quando canto riesco a condividerlo con le persone che ho davanti e il più delle volte vedo che anche loro entrano in quell’atmosfera, magica, fatta di musica e amore, un amore ancestrale per la bellezza, nel concetto più ampio del termine.

Sei sempre associata all’immagine di Janis Joplin e, in effetti, questo è comunque un complimento e non un limite. Ma di lei, in particolare, che cosa ti attrae?
Come ho già detto, e che ripeto sempre volentieri, quello che mi attrae maggiormente di Janis è la sua vitalità, la determinazione, la sua bellezza (nei termini che dicevo prima), la voce, sono tutte cose che ammiro di questa meravigliosa creatura. Una donna, un’artista, (qui in una foto di Baron Wolman, presa dal suo sito) che ha saputo trasmettere la sua anima interiore attraverso la musica, il suo vivere, e se la guardo alla luce di ciò che accade oggi, in un’epoca come questa dove tutto è finzione e sola apparenza… ecco, mi sembra davvero un monumento. Se ci pensi bene, ogni persona è attirata da colui o colei che riesce ad essere se stesso, nel bene e nel male, e Janis questo me lo ha sempre insegnato. Per me è un grande onore poter ricordare con la mia voce la grande Janis. Ma Janis è Janis, ineguagliabile, ed è per questo che la sento a me vicina, perché anch’io cerco nella mia vita di donna e di artista di essere me stessa, sia quando sono su o giù da un palco.

Se avessi la possibilità di farle una sola domanda che cosa le chiederesti?
Solo una? Beh, con una sola domanda sarei in difficoltà… credo che la guarderei negli occhi e gli direi.. Hey Jan' sei felice? Senti quanto amore oggi si libra in alto per te?

Com’è nato il tuo stile musicale e come lo hai costruito?
Il mio stile musicale è sempre stato improntato molto sul Rock Blues, visto che in casa mia madre e mio padre ascoltavano prevalentemente questo tipo di musica. Ma probabilmente quello che mi ha fatto capire che amavo il blues fu involontariamente mia nonna Aurora, quando ero bambina, dai 5 ai 12 anni. Infatti lei aveva il suo rito giornaliero con me, ci chiudevamo in camera da letto, abbassava la serranda e iniziava a cantare lirica; era una donna che aveva sofferto molto e in quei momenti tirava fuori tutto il suo dolore, cantava e piangeva allo stesso tempo. Nel buio della stanza potevo vedere il suo viso tramite i fori della serranda, cantava e piangeva con le mani rivolte verso l'alto, ecco lì ho sentito il vero blues.. e a volte quando guardo alcune mie foto fatte in live, rivedo in me la sua espressione. Son cose che ti rimangono dentro e diventano indelebili.

 

Quali sono stati gli approcci alla parte live dei tuoi inizi, con che tipo di band ti esibivi?
A 13 anni ho iniziato a suonare la chitarra e creavo le mie prime canzoncine, ma quando lasciai Roma e arrivai a Vicenza conobbi un'amica, Simonetta Cavalli, e con lei iniziammo a creare le nostre prime canzoni. Qualche  anno  dopo,  in una Jam Session organizzata in onore ad un immenso chitarrista vicentino, Massimo Ferrari (che il destino ci portò via troppo in fretta), ho conosciuto dei meravigliosi musicisti e dopo aver jemmato con loro il gestore del locale mi chiese di andare a suonare per lui. Ricordo bene quel che gli dissi e cioè che non avevo neanche la band!, ma lui non ne volle sapere e mi diede una data. La ricordo bene.. era il 27 dicembre 2003... Da quel momento nacque la mia prima band, i Turtle Blues, con Giovanni Joe De Roit, Danilo Guarti, Alessandro Rigobello, Massimo Ceccato e Roberto Genovese.

C’è stato qualche artista, a parte Janis, che ti ha influenzato e perché?
Adoravo  Cat Stevens, Tina Turner, i Pink Floyd, i Beatles, Vanilla Fudge, Jimi Hendrix i Queen, James Brown e Michael Jackson (cercavo di ballare come lui! ahah), Lucio Battisti, Mia Martini, insomma, capisco che sto mischiando generi e periodi diversi, ma tutti questi nomi – così come altri che potrei aggiungere - hanno avuto un importanza fondamentale nella mia crescita musicale, se non altro per capire poi cosa seguire o meno. Non mi sento di dire che sono rimasta imbrigliata o affascinata da un solo genere, seppur coinvolgente. Ho amato e amo la musica per la sua complessità e varietà, perché è solo da un cuore e una mente aperta che si può arrivare alla semplicità delle cose. Nella musica bisogna educarsi all’ascolto, aver voglia di conoscere, ascoltare appunto e non sentire solo un suono o un testo. Bisogna andare più a fondo. Ecco, in questo senso mi sento di aver fatto un percorso personale e di essere arrivata a scrivere e cantare quello di cui sono convinta e che mi fa stare bene con me stessa.

Quando interpreti una canzone che cosa ti aspetti che il pubblico percepisca della tua performance e quando ti è capitato di sentirti in completa simbiosi con lui?
Vorrei che gli arrivasse la mia passione per la musica, perché quando canto è come se donassi letteralmente un pezzo della mia vita. E questa cosa, che è difficile da spiegare e da scrivere, trova il suo coronamento quando alla fine di un concerto ho la sensazione, quasi potessi toccarla, di aver lasciato qualcosa di me in quel luogo e nei cuori delle persone. Quando vedo il pubblico ballare, cantare, divertirsi, è li che mi sento coinvolta in un grande abbraccio, sento che siamo un tutt'uno. E la musica, ma non solo la mia, è l'unica cosa che non mette nessuna barriera tra le persone, bianchi, neri e verdi... Anzi, le frantuma.

C’è una canzone del tuo repertorio che senti più delle altre e perché?
È banale ma lo dico lo stesso: tutte quelle del mio disco le canto di cuore perchè sono parte di me. Se proprio vuoi qualche titolo allora ti direi che adoro Freedom, I Give, Gone, Our Days, You Know, ma anche Can't Be the Only One, quella di Janis che ho messo nel mio disco, perchè mi emoziona e mi onora cantarla sapendo che sono parole scritte di suo pugno... ma alla fine la verità e che sono ancora in una fase della mia vita artistica in cui le amo e le sento tutte a me vicine.

 

Quanto l’essere in una band ti rende ancora più forte dal punto di vista della presenza sul palco e ciò influisce anche sulla tua modalità compositiva? 
Certo, con la band mi sento il punto d'incontro tra il pubblico e il suono prodotto dai musicisti. Hai presente una clessidra? ecco, io (e i cantanti in genere) sono il punto sottile dove tutto passa, il legame tra il pubblico e la band, un catalizzatore di energia che con una mano riceve (suono, ritmo e melodia dai musicisti) e con l’altra offre (voce, testo e interpretazione). Per quanto riguarda la modalità compositiva sarebbe fondamentale avere sempre una band, la stessa band, ma spesso non è possibile e bisogna fare di necessità virtù...

Hai ristampato il tuo primo album ‘ariannAntinori’. Che cosa non ti aveva convinto della precedente edizione?
Non si tratta di rinnegare la prima stampa, anzi in quel primo disco c'erano i suoni che volevo, dal sapore vintage, a mo’ di vinile, ma adesso ho allineato i suoni rendendoli più vicini al gusto, diciamo… “moderno”. All'interno ora si trova anche una versione re-editata del signolo Shut Up che è rimasta in classifica per 10 settimane, sempre tra i primi 3 posti in classifica. Come dire… vai a capire tu cosa funziona meglio oggi. Posso però dirti che anche per questo è in uscita il formato vinile dell’album (sul sito www.ariannaantinori.com tutte le info), per accontentare al meglio due tipi di pubblico con due supporti diversi, uno dai suoni più caldi e vintage e l’altro con la perfezione e la pulizia di suono ottenuto grazie alla tecnologia attuale. Prova ad indovinare a quale sono più affezionata?

Ancora oggi gli eroi del blues sanno raccontare storie “antiche”, andando a scavare nelle profondità delle emozioni. Perché questo accade ancora nell’era del tutto digitale? Perché le 37 incisioni di Robert Johnson fanno tutt’ora spavento e meraviglia?
Forse perché le cose semplici sono le più vere, dove tutti si possono rispecchiare in esse. Ricordiamoci che il blues è fatto di tre accordi base.. ed è solo la fantasia umana che rende il tutto magico, le cose troppo complesse a lungo andare si perdono, il blues no! e questo rimarrà per sempre, è la voce dell'anima.

A tuo avviso quanto sono importanti i testi nel rock e nel blues?
Dipende, sono le emozioni che ne scaturiscono che sono fondamentali. Di solito i testi blues o rock trattano di vita vissuta e di cose semplici, di tutti i giorni, possono rappresentare testi rivoluzionari o come anche la simpatica Savoy Truffle dei Beatles, dove mischiano amore ad una ricetta di cucina!! ma l'importante è che parlino di vita.

Se non avessi scelto la vita artistica che cosa avresti voluto fare?
Probabilmente avrei lavorato nell'ambito artistico o comunque a contatto con le persone, sono più brava ad interagire con gli esseri umani che avere un lavoro da scrivania, impazzirei in meno di due ore!

I tuoi musicisti ti assecondano con un suono potente ed intenso. Ma come ti piacerebbe che si posizionassero per darti un suono sempre più vicino a quanto hai nelle tue corde artistiche?
Anche se ci sono ancora margini di miglioramento, con la band ho fatto un grande lavoro per portare il sound al livello che avevo in testa. Nella storia della mia band son passati molti musicisti, quindi anche di gusti musicali diversi, ma cerco sempre di ottenere quello che sento, perchè è la musica (in questo caso la mia) che ha in mano il timone, che detta la linea.

 

Dieci album e cinque libri da portarti sulla classica isola deserta.
Allora, pensando ad un isola devo assolutamente essere furba..quindi cofanetti a gò gò e preferisco 4 libri e 11 dischi!!!!
Per gli album: Box of pearl (di Janis Joplin, così le ho tutte! ahah), Stand Up (Jethro Tull), Odetta and the Blues (Odetta), White Album (Beatles), How the west was won (Led Zeppelin), Way to blue (Nick Drake), Oh by the way ( Pink Floyd), Songs of freedom.. 1 2 3 4 (Bob Marley), Django Reinhardt  1910 – 1953, The Antology (Peter Green), Cold Fact ( Sixto Rodriguez).
Per i libri vado su cose più classiche ma che vorrei avere con me perché ognuno a modo loro mi da’ un senso di concretezza e attaccamento alla vita, da ‘Il gabbiano Jonathan Livingston’ di R.Bach e la sua irriducibile voglia (che nello stesso tempo è un invito a noi lettori) a migliorarsi a ‘L’Alchimista’ di Paolo Coelho, dove il viaggio e il sogno la fanno da padrone, come potrei non amarlo? E poi ‘Il Giovane Holden’ di Salinger (ma giuro che non ho brutte intenzioni e non voglio far del male a nessun artista…) e per finire qualcosa che mi faccia accettare, con tanta pazienza, di essere appunto su di un’isola deserta… ma Siddharta, ovviamente!

 

 

 

 

 

Servizio fotografico a cura di Cristina Arrigoni

 


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