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"40 anni di Musica Ribelle". In attesa del tour del quarantennale dell'uscita di SUGO, rileggiamo un album straordinario della musica italiana

Eugenio Finardi e i 40 di Sugo

Brano dopo brano riviviamo le sue canzoni

Si scaldano i motori per la tournée che Eugenio Finardi porterà in giro per l'Italia nei prossimi mesi per celebrare i 40 dall'uscita di 'Sugo', un album di straordinaria importanza e che a metà degli anni Settanta ha segnato il modo di fare musica in Italia.
Nel frattempo
Rosario Pantaleo ci porta “dentro” quell’album uscito nel 1976 e, brano dopo brano, ci aiuta a riscoprirne la portata tecnica e artistica che quelle canzoni avevano e ancora hanno. Su queste pagine seguiremo da vicino le tappe del tour “40 anni di Musica Ribelle”, titolo che omaggia il celebre brano che apre l’album. Si inizia il giovedì 31 marzo al Teatro Orfeo di Taranto.

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Sono passati quarant’anni eppure dire “sembra ieri” non è così scontato, né retorico, come sempre accade quando ci si impegna a ricordare il passato. Un passato sempre molto presente visto che il tema di queste righe si chiama Sugo, un album di musica italiana inciso nel 1976 per la casa discografica Cramps da un giovane musicista milanese: Eugenio Finardi. Giovane di belle speranze ed immenso talento, l’artista milanese in quei giorni ha già iniziato a costruirsi “un nome” sulla scena musicale nazionale e con il primo album, Non gettate alcun oggetto dai finestrini, è entrato a pieno titolo nel mondo discografico. Un mondo che si accorge subito che questo “ragazzo” ha le idee chiare sullo stile della sua musica. Testi non banali, intrisi di attualità e musica divisa tra sonorità rock (con colori di jazz) e canzone d’autore.

L’esordio è davvero interessante e non passa inosservato (1975), ma ancor più importanti saranno Sugo (1976) e subito dopo Diesel (1977), a dimostrare le grandi capacità artistiche di Finardi che la musica, letteralmente, la possiede nel DNA visto che la mamma (americana) è apprezzata cantante lirica ed il papà (bergamasco), è un valente tecnico del suono. Da un simile “meltingpot dinastico” scaturisce, quindi, la fiammata di un artista che dal 1975 al 1977 produce tre album che, nel loro proporsi al pubblico, dimostrano la sua sbalorditiva capacità di crescita artistica. Certamente l’essere inserito nel crogiuolo creativo della Cramps ha rappresentato per lui una grande possibilità di confronto artistico e di crescita, mutuata dalla possibilità di imparare rapidamente anche grazie al confronto con altri musicisti più esperti. Ovviamente questa crescita è stata possibile in quanto il terreno era fertile e ricettivo. Ma con queste righe, in fondo, dove vogliamo arrivare…?
Semplicemente a ricordare che nel mese di Febbraio di quarant’anni fa, nel pieno della seconda rivolta giovanile, operaia, studentesca post ‘68, nel bel mezzo degli anni di piombo ed all’inizio di una rivoluzione informatica ancora non percepita dalla società italiana, Finardi mette a disposizione della critica e del pubblico il suo secondo album, quel ‘Sugo’ che avrebbe fatto comprendere a tutti di che “pasta” era fatta la sua poetica e la sua musica. Un album dalla durata leggermente inferiore ai quaranta minuti ma praticamente perfetto per quanto era colmo di stimoli, novità, suoni diversi da quelli che eravamo abituati a sentire in quel periodo.

Un periodo certamente fertile che aveva nel rock progressivo (PFM, qui in una foto d'epoca, Banco, etc, per non parlare degli stranieri…) e  nel cantautorato intenso (De André e Guccini, ad esempio) i suoi punti di riferimento. Ma Finardi era qualcosa in più, o meglio, qualcosa di diverso, di speciale ed inusuale perché incamerava, nel suo bagaglio artistico, varie influenze musicali:  un rock sanguigno e progressivo, il blues, la canzone popolare, la canzone d’autore, la lullaby anglosassone, la canzone di protesta, il suono pulsante dei Wheater Report… Insomma, era detentore di un patchwork artistico (senza dimenticare la sua originalità nella scrittura dei testi) ben prima che questo termine venisse utilizzato in ambito musicale.
È importante anche dare merito anche a chi suonò in quell’album e cioè (oltre Finardi alla voce chitarra elettrica), Alberto Camerini e Paolo Tofani alle chitarre elettriche; Lucio Fabbri al violinochitarra acustica, pianofortecori; Patrizio Fariselli (qui in una foto di repertorio) alla tastiera ed ARP Odissey (questa era una tastiera analogica della ARP Instruments che contendeva il mercato dei sintetizzatori alla Moog Music); Ares Tavolazzi al basso elettrico e contrabbasso; Hugh Bullen al basso elettrico e per finire Walter Calloni alla batteria. Da segnalare la presenza di Claudio Pascoli al sax, Lucio Bardi al mandolino e quella di tal Sebastiano alle percussioni (e di cui, dopo quarant’anni, non ho mai recuperato il cognome). Quindi, come si sarà notato, nell’album sono presenti ben tre componenti degli Area, una strepitosa sezione ritmica quale quella rappresentata dal duo Bullen/Calloni ed un Alberto Camerini in piena potenza creativa che aveva le note scritte sulle dita delle mani…

Con un gruppo di musicisti come questo, e con le idee nuove e chiare di Finardi, era quasi impossibile non fare un grande disco. Questo schieramento di musicisti rende evidente quanto forte fosse la considerazione che la Cramps) aveva di questo ragazzo di soli ventiquattro anni ma con già una bella nomea artistica "in tasca" e sul quale la casa discografica milanese aveva certamente ritenuto che avesse grandi possibilità di crescita. E, visto che ne abbiamo l’occasione, parlando di Cramps vale la pena ricordare che uno degli artefici principali di quel progetto fu quel Gianni Sassi, straordinario uomo di cultura e non solo musicale (qui a fianco un suo famoso ritratto di Andrea Pazienza) che insieme a Sergio Albergoni, Toni Tasinato e Franco Mamone diedero vita ad un’esperienza unica e per certi versi irripetibile e che dal quel lontano 1973, con l’album Arbeit Macht Frei degli Area, per una manciata d’anni diede spazio e respiro a uomini e idee musicali capaci di segnare un’epoca.

Ma torniamo a ‘Sugo’. Anticipato da due singoli, Soldi/Voglio (1975) e Musica ribelle/La radio (1976), quando l’album arriva sui giradischi degli appassionati di musica italiana il botto è praticamente già avvenuto, perché il secondo singolo è già il 45 giri più programmato dalle radio libere diventate “non perseguibili” solo da un anno e poco più. La radio, brano di poco superiore ai 2’, è una sorta di allegra ed briosa ballata in stile country che, nel tempo, è diventata una straordinaria ballata popolare e sigla di tanti programmi radiofonici. Un brano semplice ed accattivante bissato nel tempo (non dal punto di vista del successo ma dalla capacità di attrarre l’attenzione) dal micro brano Cinquecento sogni, pubblicità nel 1991 (ma come passa il tempo…) dell’allora nuova 500 della FIAT.

Di Musica ribelle è difficile parlare senza apparire banali o ripetitivi. Questa è una canzone che possiamo definire generazionale nel senso più ampio e profondo del termine. Una canzone capace di entrare nel quotidiano di una generazione raccontando, in maniera semplice, diretta, lineare, comprensibile, sincera, i tormenti di un mondo giovanile allora in grande ebollizione, pieno di speranze ed utopie pure schiacciato dalle paure degli “anni di piombo” e dall’incancrenirsi del problema della dipendenza dalle droghe pesanti. Musica ribelle ha incarnato (ed a suo modo ancora oggi incarna) il senso profondo dell’inquietudine dei giovani “che vorrebbero ma non riescono”, dei giovani che scorgono l’orizzonte e non sanno come arrivarci o, peggio, sanno come arrivarci ma hanno paura del “viaggio”, della fatica, della scoperta del sé interiore, profondo e vero.
In 4 minuti e 31 secondi Finardi (qui in una foto di inizio anni Novanta più o meno....), con una capacità di sintesi che sarà sempre parte della sua scrittura delle liriche, disegna lo sguardo di una generazione che aveva nel desiderio di cambiare il mondo, a dispetto di se stessi, l’imperativo principale. Con tanta ingenuità, certamente ma, anche, con un desiderio ed un rigore morale forse non pervenuti alle nuove generazioni.
In merito alle liriche scritte dall’artista milanese, inoltre, sarà opportuno che, prima o poi, si provveda ad una adeguata rilettura dei suoi testi al fine di constatarne l’elevata capacità di sintesi e carica emozionale che queste contengono. Il passaggio da un brano “leggero” e cantabile come La radio al successivo Quasar è la dimostrazione sia della versatilità nella scrittura dell'artista milanese che della feconda impollinazione musicale presente in quegli anni, in particolare nell’area milanese. Questo brano, che vede la partecipazione dei tre membri degli Area, è una sorta di lettura “all’italiana” dei suoni allora prodotti e proposti dai Wheater Report, maestoso ensemble di musica totale (qui in una foto d'epoca) le cui idee sono ancora patrimonio di molti musicisti tutt’ora debitori al genio di Joe Zawinul e Wayne Shorter e degli altri componenti di questo indimenticato gruppo musicale. Quasar è una sorta di fotografia di un pensiero sonoro, di una vertigine musicale, di un quadro in cui specchiarsi ma dal quale fuggire rapidamente per rituffarsi nella canzone “tradizionale” che, però, è consapevole che le sue sono radici molteplici, poste oltre i confini della musica italiana. Soldi con i suoi 5’ e 46”, è il brano più lungo dell’album e si manifesta come un rock blues molto sincopato, con la sezione ritmica che spinge come uno stantuffo ed un testo finalizzato sul tema del denaro, sul suo utilizzo, sulla sua produzione, sulle varie modalità attraverso le quali lo si accumula. Un grande lavoro del gruppo di accompagnamento, con la chitarra del bravo Alberto Camerini a lavorare di cesello per dare al suono una particolare marcia in più fino all’incontro con un tocco di pianoforte, suonato dallo stesso Finardi, che rende “benigno” il finale dove emergono atmosfere sonore, ricche di respiri weathereportiani, sospese tra “sogno e realtà”.
Atmosfere certamente inusuali anche per quegli anni colmi di originalità. Poi, come spesso accade nella scrittura di Finardi, a suoni nervosi e rock si sostituisce la ballata, la lullaby, la canzone dolce e sognante, dai suoni soffusi e delicati. E Ninnananna è il perfetto compendio per arrivare al termine della prima facciata dell’album, con il piano martellante ed il violino suonati da Lucio Fabbri (qui in una foto di qualche anno fa) tesserne la melodia. Sulla strada è una sorta di minuzioso diario di viaggio di una band che si avventura nella vita “on the road”. Ogni immagine è tratteggiata con una sonorità stile country rock idonea alle liriche della canzone, che si presenta come un racconto particolareggiato del viaggio, dell’arrivo a destinazione, della salita sul palco, dell’inizio del concerto. Il bel suono del sax di Claudio Pascoli entra oltre la metà del brano a dare un colore da atmosfera da balera e splendida rimane la citazione del brano Saluteremo il signor padrone del suo album d’esordio così come di Gioia e rivoluzione che gli Area avevano presentato l’anno precedente.

Si continua con Voglio e Oggi ho imparato a volare, due brani che danno la sensazione d’essere parte di un unico concetto che porta alla trasformazione del sé. L’ego di Voglio infatti trasmigra in una sorta di sublimazione del noi di Oggi ho imparato a volare, dove la dimensione dell’io si trasforma nel desiderio del noi. Due brani che si incontrano/scontrano nella loro duplicità lessicale di volere/volare quasi a dimostrare che il desiderare è positivo se sa puntare (volare) in alto, se è capace di osservare la realtà con il giusto distacco al fine di riuscire a raggiungere il migliore risultato senza farsi trascinare nei meandri dell’egoismo (personalmente l’ho sempre definito un brano alla ricerca della “buddità”). In entrambi vi è forse, in trasparenza, la nascita di un brano che arriverà, da lì a breve, a riassumere in maniera mirabile gli umori di una generazione delusa: Extraterrestre. Ma questa è un’altra storia…
Altro rock blues nervoso ed asciutto, con un testo politico, invettiva contro le malefatte dell’Amerika (che negli anni ’70 non scherzava per niente…) è La C.I.A., brano da ascoltare con attenzione soprattutto per percepire il cantato iniziale, in inglese, che Finardi rende con un timbro vocale di stampo lennoniano. Costruito con liriche semplici ed immediate, si avvale di un suono di buon spessore, complice un mixaggio particolarmente accattivante.
La chiusura dell’album viene lasciata a La paura del domani che rappresenta una sorta di chiusura del cerchio iniziato con Musica ribelle. Un brano che invita a prendere sul serio l’esortazione a “mollare le menate e metterti a lottare” perchè “il futuro che si sceglie lo si crea nel presente”. Ed il rumorismo sonoro finale (quasi una sorta di atmosfere alla John Cage) altro non è che l’inizio dell’attesa dell’album successivo, quel Diesel che, a parere di chi scrive, rappresenta uno dei dieci album migliori della discografia italiana.

‘Sugo’ non è stato un album meteora, “solo” un bell’album, ma ha rappresentato una sorta di finestra sul mondo giovanile di quegli anni, non limitandosi ad uno sguardo cristallizzato “dal e nel” tempo ma ha saputo rappresentarsi come una metafora delle aspirazioni, reali e profonde, di una generazione. Una generazione che “forse” qualche problema l’ha avuto insieme a tanti miraggi, ma che nella sua storia ha cercato di trovare le porte dell’Utopia e qualche volta le ha anche incontrate, anche se quasi mai ha avuto il coraggio di attraversarle. La realtà trasferita nella musica, trasfigurata dal desiderio, manifestata come dimensione in divenire, vissuta come elemento di crescita e di sguardo dentro se stessi prima di affrontare la vita, con le sue complessità, dolori e gioie, con la ricerca di una dimensione diversa e nuova della dinamica dell’affettività in anni, invece, pieni di conflitto anche nel rapporto uomo/donna. Con ‘Sugo’ nasce una nuova fase della musica italiana e del rapporto tra musicisti ed ascoltatori non più visti come meri consumatori ma “compagni” in un viaggio verso mete lontane anche se quella più importante è sempre quella più vicina…noi stessi e gli affetti che ci circondano.

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