ultime notizie

Lilith Festival: Genova tra pop, rock ...

di Alberto Calandriello Periodo di intensissima attività per l'Associazione Culturale Lilith, punto di riferimento per la cultura a Genova ed in Liguria, che da pochi giorni ha dato il ...

In esclusiva su L'Isola che non c'era il primo capitolo del nuovo libro su Gaber

Gaber, Luporini e gli anni Ottanta, il nuovo libro di Fabio Barbero

L'autore ripercorre gli anni Ottanta della coppia

Giorgio Gaber, Sandro Luporini e gli anni Ottanta è il nuovo libro di Fabio Barbero, in uscita in questi giorni da Arcana Edizioni. Dopo un primo volume pubblicato nel 2021 e intitolato Giorgio Gaber, Sandro Luporini e la generazione del 68 (incentrato sugli spettacoli di Teatro canzone degli anni '70), l'autore prosegue lo studio dedicato alla coppia, che nel decennio successivo ha prodotto e portato nei teatri di tutt’Italia cinque nuovi spettacoli. Due soltanto, Anni affollati (1981-1982) e Io se fossi Gaber (1984-1986), possono ricondursi in senso stretto alla formula del Teatro canzone. Parlami d'amore Mariù (1986-1988), pur alternando sei lunghi monologhi ad altrettante canzoni, è principalmente uno spettacolo di prosa intervallato da qualche momento musicale. Il caso di Alessandro e Maria (1982-1983) e Il Grigio (1988-1990) sono due vere e proprie commedie di pura prosa, di cui la prima recitata insieme a Mariangela Melato
«Il taglio del libro - dichiara Fabio Barbero - è storico-critico. Non si occupa di tutto l’arco biografico di Gaber. Non è centrato sulla sua persona e sulla sua carriera artistica. Si occupa della collaborazione artistica fra lui e Sandro Luporini e dei frutti di teatro canzone o di teatro di pura prosa che ne sono derivati. Senza tralasciare la portata teatrale e musicale dei loro spettacoli, porta un particolare interesse alla lettera dei testi e alla loro interazione con il clima storico, politico, sociale e culturale italiano degli anni in cui sono stati scritti». 

Per gentile concessione dell’autore e dell’editore, “L’Isola” pubblica - in esclusiva - il primo capitolo del volume 

 

ANNI AFFOLLATI (1981-1982) Fra passato, presente e futuro

La fine di un decennio e di un certo tipo di spettacolo

Gli anni Settanta terminano per Gaber e Luporini con lo spettacolo POLLI D’ALLEVAMENTO, portato in scena nella stagione 1978-1979. Sono stati anni di una nuova consacrazione per l’artista milanese. Da simpatico e intelligente cantante e presentatore Rai qual era, è passato a un tutt’altro pubblico, fatto soprattutto di giovani, impegnati, di sinistra, per i quali è ormai un vero e proprio mito. 
In due occasioni, siamo nella tarda primavera del 1979, ha la possibilità di ripercorrere le tappe salienti di questo nuovo cammino artistico. Lo fa ai microfoni di Radio Popolare, la mitica radio libera milanese e sulle pagine della prima monografia che un suo amico e “collega” cantautore, Michele Straniero, gli ha appena consacrato. Se ci riferiamo principalmente al testo di Straniero è perché ci sembra che, qui, i propositi di Gaber risultino più chiari e forse più “pensati”.  
Innanzitutto, in entrambe le occasioni, l’artista milanese racconta gli esordi del Teatro canzone menzionando la presenza di Sandro Luporini: 
“Quando io comincio a fare il teatro, allora l’apporto del Luporini comincia a diventare davvero determinante, perché in effetti le cose cominciano a essere scritte veramente in due, cioè pensate e scritte in due”. 

Il loro primo lavoro, portato sulle scene dal 1970 al 1972, si chiama IL SIGNOR G ed è, continua l’artista, "uno spettacolo esistenziale, di racconto delle proprie cose, dei problemi di un uomo inserito che si trova a dover scontrarsi, a prendere a poco a poco coscienza di quella che era la situazione di lavoro, la famiglia […] Il Signor G è un signor Gaber, chi sono io, e Luporini, noi, insomma, che tentiamo una specie di spersonalizzazione per identificarci in tanta gente che come noi evidentemente soffre di questo tipo di sfruttamento, di oppressione […] noi cerchiamo di seguire delle tematiche nostre e quindi cantiamo l’uomo inserito, l’uomo oppresso, l’uomo schiacciato dalla società dei consumi, e ci occupiamo della sua quotidianità, non tanto della sua lotta politica: non sono canzoni di lotta, quindi, sono canzoni dei rapporti col proprio lavoro, con la propria donna, con l’albero”.

La fase più prettamente esistenzialista è già finita con lo spettacolo seguente, Dialogo tra un impegnato e un non so (1972-1973). Gaber spiega che “a questo signor G gli comincia a venire il politico che comincia a dire: no, ma evidentemente c’è anche un momento politico, anzi queste cose sono, se vuoi, frutto dello sfruttamento capitalistico. Io gli rispondo: sì, lo so, però in effetti, se noi guardiamo… Qui il discorso diventa a compartimenti stagni, per cui la politica è una cosa il tuo privato un’altra…”. 

È sicuramente uno spettacolo più “politico”, da un punto di vista del linguaggio e di certi temi affrontati. Tuttavia, i due piani, quello personale del Signor G e quello più politico dell’Impegnato corrono ancora su due binari paralleli. “Nel DIALOGO FRA UN IMPEGNATO E UN NON SO – continua ancora Gaber – questa tematica, questo doppio piano, di quello che era l’impegno e di quella che è la tua quotidianità, cioè i due momenti, (restano) per ora divisi, in cui, diciamo così, la contraddizione è molto forte; in quanto allora per esempio le due cose sembravano molto diverse”. 

Un primo tentativo di fusione del politico e del personale avviene con FAR FINTA DI ESSERE SANI (1973-1974), in cui “le due cose confluiscono, cominciano a tentare una fusione”. 
La divisione tra impegno e quotidianità diventa la divisione tra mente e corpo all’interno di uno stesso individuo. Sono gli anni in cui queste tematiche cominciano a penetrare anche nel Movimento nato dalle contestazioni del 68: 
“In FAR FINTA DI ESSERE SANI questo momento è anche confortato dal fatto che tutta la gente che muove in fondo le cose, che chiamano il Movimento, in senso molto lato, scopre insieme a me questo tipo di scissione, di situazione schizoide nella sua linea… E quindi io arrivo a una certa identificazione con questi ragazzi che mi piacciono di più, perché anche loro in effetti si trovano in questa “impasse”; cioè la politica incomincia a essere anche alienante, la gente sente che i propri problemi cominciano a riversarsi sulla politica, che non solo il personale è politico ma forse anche il politico diventa personale,tutte le cose si cominciano a fondere”.
Gaber lo ricorda come il momento più alto di identificazione con questi ragazzi. Cerca di aiutarli a mettere insieme i due momenti, quello esistenziale e quello politico. Lo fa in una delle sue canzoni più famose: Chiedo scusa se parlo di Maria, anche se, adesso, a qualche anno di distanza, riconosce che “allora era un po’ prestino per parlare di queste cose e allora qualcuno non era mica tanto d’accordo, la politica era una cosa dura…”. 

Che fosse un po’ “prestino” lo si vede bene nello spettacolo che porta in tournée nelle due stagioni successive (1974-1976), ANCHE PER OGGI NON SI VOLA. La corrente più “ideologica” del Movimento non ha capito quel tentativo suo e di Luporini di unire la dimensione personale e quella politica. “L’anno dopo – continua a raccontare Gaber – in ANCHE PER OGGI NON SI VOLA, nella canzone della realtà, ‘La realtà è un uccello che non ha memoria’, c’erano alcune battute su certo vecchiume dei festival dell’unità del PCI, e sull’invenzione nuova di essere… di inventare il partito… E su questa trama un po’ se vuoi polemica nei confronti del politico che non inventa ma che è sempre vecchio dentro”. 

È nelle due stagioni successive, mentre porta sulle scene il nuovo spettacolo LIBERTÀ OBBLIGATORIA, che quelle vecchie incomprensioni si trasformano in critiche violente. I fatti si svolgono a Roma: 
“Insomma, arrivo da Milano e questi qui dicono: dunque tu ti devi confrontare col Movimento… Qui siamo agli sketch, il Movimento! … Confrontarsi col Movimento vuol dire che tu devi fare questo, questo e questo… Dico: ma questo non vuol dire confrontarsi, questo vuol dire che io devo fare quello che volete voi, praticamente… O fai così, o spacchiamo tutto! E allora, no, questo non è un confrontarsi, questo è un ricatto. C’è questa piccola discussione, grossa, anzi, che va avanti per cinque o sei ore, finché a un certo punto all’Università succede qualche casino, si scontrano, fascisti, eccetera, per cui questi qui mollano l’obiettivo marginale che era il mio spettacolo e vanno all’università, e io riprendo a fare lo spettacolo. E scoppia il movimento del 77, praticamente, da lì, in quei giorni lì”.

Il Movimento del 77 è costituito da ragazzi più giovani. Queste critiche, reciproche a dir la verità, diventano poi il filo conduttore dell’ultimo spettacolo del decennio, POLLI D’ALLEVAMENTO, quello che Gaber sta portando o ha appena portato in scena mentre si racconta ai microfoni di Radio Popolare e a quelli di Michele Straniero. È un Gaber “incazzato”: “E quindi a un certo punto ti incazzi – confessa senza fronzoli – e dici: ‘Quando è moda è moda’, non si può andare avanti così, non è questo il modo”. Siamo alla rottura.
Finisce un certo dialogo con un tipo preciso di pubblico, quello dei ragazzi del 68. Nello spettacolo precedente, questo scambio aveva raggiunto il suo punto culminante: “LIBERTÀ OBBLIGATORIA – spiega l’artista – era esclusivamente questo, era l’inserimento, la crisi d’identità, il modo di far politica, la politica… cioè, era solo questo dialogo con questa gente, insomma”. 
Adesso sta cambiando tutto: “Oggi questo dialogo per me si interrompe”. 
L’artista sente che un certo modo di fare spettacolo è agli sgoccioli: “Io ritengo che questo ciclo sia un po’ finito. Ecco, è un po’ come se fosse finito questo momento in cui abbiamo pensato che tutto fosse politica”. 
Alcuni insinuano che Gaber non voglia più fare teatro. Non è di questo che si tratta, è un cambiamento più sostanziale: “Io continuerò a fare delle canzoni, a fare dei monologhi, probabilmente continuerò a fare le cose che ho sempre fatto, non subito, probabilmente, ma nella mia vita farò ancora delle canzoni. Ma sento che è cambiato l’atteggiamento nei confronti della formula, che non era solo la canzone e il monologo, ma era il pubblico che ti veniva a vedere, il rito dei bis, le discussioni teoriche alla fine dello spettacolo, eccetera. Mi sembra che in questo momento queste cose stiano finendo”.

Siamo nella primavera del 1979 e lui e Luporini sentono che una pagina si sta voltando definitivamente.


Share |

0 commenti


Iscriviti al sito o accedi per inserire un commento