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La musicista che cercava i suoni e trovava le persone

Alla scuola di Giovanna Marini

Una vita dedicata alla ricerca e agli allievi

Il tesoro dei martedì
(Su un’aria popolare georgiana)

Chiusa nella testa quassù e vi guardo chiusi laggiù
Quanti fili d’oro tesi fra di noi
quanti, quanti martedì […]
Quanto amore corre, gira e torna […]
Lungo i fili il pensiero va, quando questo finirà
Nei momenti bui lui dirà così
“C’è il tesoro dei martedì”

 

È un componimento intimo, breve e dolente, che scrivesti per noi, i tuoi allievi di Testaccio, quattro anni fa, all’inizio della fine. Fu il lockdown a costringerti lontana da noi, perché tu non l’avesti mai fatto. Quando ancora diventare tua allieva era molto di là da venire, mi scrivesti a un’ora dal nostro primo appuntamento che eri sommersa dalla neve nella tua campagna, ma che comunque stavi per prendere l’auto per raggiungere la scuola, e a tra poco, dunque. Ecco: nulla poteva tenerti lontana dalla tua scuola.

Ah, che privilegio essere stata tra i tuoi allievi! Che tesoro, sì, inestimabile davvero, i martedì! Eri uno spettacolo continuo: accattivante nel tuo modo di narrare i canti, prima di farceli ascoltare ci facevi assaporare i luoghi in cui erano nati e si erano trasformati, le circostanze che li avevano generati, le persone che te li avevano fatti conoscere, che fossero chi li cantava o chi li aveva scoperti e portati alla tua conoscenza, e anche quelle erano nuove storie e nuovi aneddoti. La vita di quei canti era indissolubilmente legata alla tua vita, e tu ce ne regalavi un pezzetto ogni sera, con una generosità illimitata.

 

Amavo immensamente guardarti mentre ascoltavamo insieme le registrazioni dei canti che ci proponevi, osservare il tuo sogghignare divertito dai vecchietti che cantano le allusioni sessuali di “E me pezzecau”, il tuo viso assorto nella meraviglia di “Se ton” o di “Quasi cedrus”, l’emozione da cui ti lasciavi invadere nell’insegnarci certi canti anarchici, che pure avevi insegnato già mille volte, come “Battan l’otto”, cantandoci il quale una sera ti interrompesti commossa, d’improvviso, pronunciando un disarmato e puro: “È bellissima”.

E poi il tuo spirito… strepitoso! Le tue battute erano sempre nuove, non ti ripetevi mai; acutissima, riuscivi ogni volta a farci ridere e a stupirci, creativa com’eri anche con le parole. E potevi dire qualunque cosa a chiunque, sia per scherzo che per rimprovero, perché dentro ogni frase mescolavi una tale dose di ironia e di affetto, con quei tuoi occhi luminosi e ridenti, da non poter ferire nessuno.

Musicista sopraffina, dotata di uno stupefacente orecchio assoluto, nella musica capivi il senso di tutto: la natura di ogni singolo suono, il perché dell’andamento di una melodia, il segreto delle dissonanze nelle armonie che riempivano di emozione, quegli “urti” – dicevi tu – che arrivano dritti nello stomaco e non si capisce il perché. E poi cercavi di farle comprendere a noi, tutte queste cose. E osavi persino farcele cantare. Qualcuno ci riusciva benissimo, qualcun altro arrancava, la maggioranza era un disastro, e tu ti divertivi ancora di più, e noi con te.

Mai autoritaria, sempre autorevolissima, nessuno metteva in discussione le tue parole e a volte ti spaventava, persino, quella nostra totale fiducia in te, modesta e dolce quanto ferma e decisa come eri, indiscutibilmente La Maestra.

E ci portavi in viaggio con te, a Pasqua, dal Nord al Sud d’Italia, a intrufolarci tra i cantori delle confraternite, custodi dei suoni più antichi, con il registratore tra le mani, gli occhi sgranati e il cuore in tumulto, mentre i riti della Settimana Santa si svolgevano in gesti e canti tutto intorno a noi, accolti, solo grazie a te, con pazienza e rispetto.

Conservo le nostre lettere, le nostre confidenze, in cui trovo il mio amore come pure la mia deferenza, perché tu eri la Maestra. Ma tu rifiutavi le gerarchie e non ti vergognavi a esprimere le tue insicurezze e le difficoltà di certi momenti. Non ho il rimpianto di non averti detto il bene che ti volevo.

La scuola di Testaccio, il coro di Monteporzio, la Sorbona di Parigi, i teatri, le piazze e i raduni, la moltitudine di allievi di ogni età, i laboratori, i cori, la presenza nelle fabbriche a suon di chitarra, di invettive e di inni quando c’era una lotta da sostenere. Tu eri lì, con i tuoi canti venuti da lontano, dalla voce tremante di un vecchio che intona una storia antica, dalla fatica della terra da lavorare, laddove il canto è il solo modo di sopportare il dolore e di reclamare i propri diritti di esseri umani. Il canto necessario.

Ecco, in questi ultimi giorni un coro di voci nuove si sta levando: in tutta Italia, fino in Europa, giornali, radio, televisioni e “social” brulicano di foto, video e ricordi di te. Il coro più imponente che tu abbia mai ascoltato. E ancora una volta a dirigerlo sei tu, adorata Giovanna nostra. Canteremo ancora, per te e con te, infintamente e per sempre grati.
 


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