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Gli ottant'anni di un'icona.

Buon compleanno, Mina

Esserci o non esserci, questo (non) è il problema.

 

Quattro lettere, due occhi e una voce a volte bastano per comporre il ritratto di un’icona. Ottant’anni di Mina, oggi, soffiati su candeline di un’età lasciata indefinita per scelta, bloccata in un preciso tempo, stampata in mille fotogrammi di un’epoca che fu, quella in cui sapevamo chi era e come. Pochi accenni visivi dell’oggi, qualche scatto rubato, voluto, studiato. Ogni tanto una treccia rossa in studio, due occhiali da sole, un microfono.
In campo, adesso, la voce, nei dischi, la voce, da lontano, solo la voce. Niente più occhi, niente capelli morbidi, vestiti cortissimi, stivaloni, abiti da sera. Niente bolle blu tra dita e labbra, non più microfoni calati in studio, niente sigle, nessuna pettinatura. Si è passati dal pieno al vuoto, giocando per sottrazione: lei stracolma di tutto, di scale inaccessibili ai più, di voce stentorea e sussurrata, di chiari e di scuri, di luoghi e stili musicali, tutti, in qualunque geografia volesse aggirarsi, di mani, quelle mani che hanno accompagnato, volteggiando e chiudendo pollice e indice in un cerchio, centinaia di canzoni, a un certo punto ha tolto. Vent’anni di tanto, dal ’58 al ’78 e poi stop. Mina ha portato via sé stessa, per non occupare tutte le poltrone e gli intervalli a disposizione, giocando la carta vincente e cantandocela pure come nel più dolce e suadente degli sberleffi, a labbra semichiuse: non gioco più, me ne vado.

E se gli eroi son tutti giovani e belli, per dirla con Guccini, lei ha stravinto, da vera regina, donna intelligente e lungimirante. Ha saputo cogliere il momento esatto in cui sparire essendoci, mantenendo i nostri sensori puntati sul desiderio. Esattamente come fa un amante abilissimo nel non farsi dimenticare, dando ragione al mantra più odioso che l’essere umano abbia coniato, secondo cui in amor vince chi fugge, in bilico su due assi: il se e il sé. Lui entra con grande rapidità nelle pieghe più profonde della tua milza, del tuo cuore, stacca i contatti della testa e si infila dentro, come una presenza silente che c’è e non va via. Ti inonda d’amore, ti seduce, ti ammalia, ti riempie la vita di tutta la bellezza che ha a disposizione e poi sparisce fisicamente, lasciandoti alla fermata del bus o in quel bar dove aspettavi che arrivasse, seduto al tavolino giù in fondo. E tu non sai che non arriverà, lui è già via, senza pietà, lontano, improvvisamente non c’è. Per sempre ti chiederai il perché, lo chiamerai al telefono, ma lui non ti risponderà. Non ti darà spiegazioni, ma resterà impigliato nello sterno come un cruccio, una malìa. Una speranza segreta, una ipotetica di primo grado, giocata tra quei due assi, il se e il sé.

Dal 1978, dall’ultimo concerto alla Bussola, fino ad oggi, noi tutti siamo intrappolati nelle dolcissime maglie della signora Mazzini, che ci tiene in pugno in quella ipotetica, seducendoci quando e come vuole. Ci ha tolto tutto, non risponde alle interviste, non parla, non ci racconta nulla di quel passato, ma c’è senza esserci, giocando a dadi con il domani, dando e togliendo sé e sottolineando se. Buon compleanno, Mina. 

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