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Le Voci del Tempo e il tributo a Bruce Springsteen

Il mio nome è Joe Roberts

Il report de L'Isola

Nell'occasione di un nuovo box di inediti di Bruce Springsteen, il Lapsus di Torino ospita uno spettacolo tutto italiano: a salire sul palco il trio "Le voci del tempo", nuovo progetto di Mao, Marco Peroni e Mario Congiu dedicato all'America del Boss vista dagli occhi dei suoi ascoltatori.

I tre danno vita a un misto di letture, musica, recitazione e immagini che dà largo spazio all'inventiva evitando l'usuale, scialbo teatrino delle cover: pochi brani selezionati tracciano la storia di un'icona vivente, una storia vista dagli occhi del poliziotto americano Joe Roberts, interpretato da Peroni, simbolo degli Stati Uniti come sono ritratti nelle canzoni di Springsteen: una bandiera a stelle e strisce fatta di persone comuni, che soffrono, amano, si illudono, muoiono.

Non è facile affrontare un personaggio di queste dimensioni senza gli occhi del fan, tuttavia è da apprezzare la selezione dei brani, interpretati con arrangiamenti acustici volutamente scarni che mettono in mostra il lato meno esuberante di Springsteen, e allo stesso tempo rendono giustizia allo stile di Congiu, interprete principale.

In particolare è efficace la trovata di inserire, come introduzione ai brani, la lettura di parti del testo in traduzione italiana: inizia così "Born in the U.S.A.", il brano che forse più di tutti ha segnato la fama di Springsteen, con un testo che parla di insoddisfazione per il paese e per i suoi cambiamenti, a cui è facile non prestare attenzione, trascinati dalla musica. Congiu sceglie per questo pezzo un arrangiamento lento, quasi un blues susurrato, lontano dalla fiammeggiante chitarra della versione del disco, che scandisce ogni sillaba prima del ben noto ritornello.

Con particolare ironia viene anche affrontato il periodo di massimo successo di Springsteen, prima il ribelle del New Jersey, poi l'artista pubblicizzato da un Ronald Reagan interpretato da Mao, sotto il quale si possono vedere figure politiche più italiane che altro. E sempre Mao, poco più avanti, ritrae un Pippo Baudo ai limiti del farsesco nell'atto di presentare il Boss nella sua comparsa a Sanremo '96, ma purtroppo non c'è satira: è tutto vero.

Uno spettacolo piacevole e mai pesante che ha il pregio di raccontare in meno di due ore una storia di quasi cinquant'anni, mostrando che le canzoni non sono fatte solo di jingle e ritornelli, ma hanno alle spalle storie di persone, spesso persone comuni.


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